49- Questione di scelte

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P.O.V.
Evie

Ai miei occhi l'arroganza dell'uomo si mostra reale tangenza di intonaco su pietra, a fondamento di un impero basato unicamente sul guadagno.

Sono qui per la sua intervista, Reiner mi dedicherà le due ore tra una riunione e l'altra. Non lo contesto, nonostante non apprezzi completamente il suo modo di fare affari.
Quello che ho detto a Katrina è vero, sono certa della sua bravura, così come della sincerità che ha avuto nell'offrirle il posto di lavoro.
Perché lei se lo merita.

Per la storia che ha, per la donna che è e per ciò che è in grado di raccontare tramite l'arte, o meglio tramite l'amore che dimostra verso tutte le persone o cose. Persino verso di me.

È stata in grado di amare un simile relitto pur con la garanzia di non ricevere indietro che malandrini dispetti.
Non concepisco come possa aver fatto ma questo la rende migliore di tutti noi.

La rende pura, come non crede di essere.

Aggiusto il microfono appeso al bottone del mio cardigan nero mentre mi fumo la sigaretta, e mi domando se mi sono mai prestata a farlo in sua presenza.

L'immunodeficienza del suo corpo è contraria al fumo, attivo o passivo.
Mi chiedo se Michael le fumi vicino. Se abbia rispetto, o pensiero, di ciò sta vivendo da sola, con estremo coraggio.

Sono in grado di colpevolizzarmi di un simile sbaglio, come lo sono per tutti gli imbrogli nella quale l'ho intrappolata, per quanto innocui e divertenti.

Lei mi aveva vista e mi aveva accettata con la semplicità che può avere solo un bambino, nella sua innocenza.

La testa mi gira nel rivedere di fronte agli occhi l'immagine di Michael con la figlia di Stephany affianco. Le tempie subiscono la stilettata di atroci fitte e non esiste altro che l'orrore provato nel sentirmi, di nuovo, troppo vicino il suo respiro.

L'odore che ormai ho imparato a riconoscere e che mi ha schiavizzato come un assetato incapace di bere a una fontanella di cristallina acqua.

Con lui non è mai stato almeno quanto è stato desiderato, e ciò mi ha spinto verso una prigionia eterna dalla quale sto ancora tentando di fuggire.

Quanto si può essere ciechi nel non vedere l'errore di ciò che si arriva a commettere? A bramare?

«Va tutto bene, signora?»

Una voce limpida mi chiama. Delle braccia mi hanno afferrato e adesso mi sorreggono.
Il capogiro ha minato il mio equilibrio e adesso mi trovo sotto le premure di uno strano soccorritore, che mai mi sarei aspettata di vedere.

Annuisco lentamente, fissando i riccioli dei suoi capelli biondi in armonia con la sua pelle pallida, gli occhi particolarmente chiari.

Avrei dovuto prevedere il suo arrivo qui, visto il posto nel quale mi trovo, eppure è una sorpresa, al tempo stesso.

«Sì, va tutto bene, grazie.»

Inevitabilmente abbasso lo sguardo, perché nonostante gli anni passati non mi sento ancora sufficientemente donna per reggere il confronto con un uomo.

Temo un'inesistente sfumatura della mia barba, l'accenno sporgente del pomo d'Adamo, le spalle troppo grosse, un milione di difetti... ma se anche li nota mi sorride, e presta solo attenzione a rimettermi in piedi.

Nessuna malizia. Nessun secondo fine.
Solo un uomo mi aveva trattato con altrettanta gentilezza ed avevo finito con lo sposarmi alla sua dolce scaltrezza, ma in questo volto non vi è nulla di provocatorio, predatore di involontarie reazioni.
Non esiste altro che la premura, e in un certo senso ciò mi sconvolge.

Esiliato dal tuo cieloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora