75- Ricordi di gentilezza, ferite di rabbia

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P.O.V.
Caitlin

Vorrei che il destino fosse più clemente verso le persone che si vogliono bene. Mi piacerebbe pensare che nella vita mia e di Evie ci fosse già stato scritto il capitolo della nostra ricongiunzione ed al contempo desidero sperare che non avvenisse così.

Per strada, di fronte al tribunale, mentre ci teniamo strette l'una all'altra in un abbraccio che torna a donarci il respiro. Sento il profumo sulla pelle di Evie e vorrei piangere per la presenza della mia amica più instabile al mio fianco. Desidero maledire l'avvocato che l'ha portata fino a me e rassicurarle che non può più accaderle niente, niente di male.

«Pulcino...» sussurra la sua voce al mio orecchio, e d'impulso l'abbraccio più stretta, scoppiando a piangere.

«Mi dispiace... mi dispiace, Evie, mi dispiace...»

«Shh, non devi preoccuparti di niente, calmati. Sono qui, con te.»

La sua mano mi accarezza i capelli ed io tremo, sentendomi cullata dalla donna che avrebbe bisogno di amore più di qualsiasi altra. Non voglio che si trovi qui, voglio che si salvi, che se ne vada lontano.

«Avanti, Katrina, non piangere.»

Il problema è che non sono in grado di impedirlo. Vengo scossa da un profondo singhiozzo quando mi trovo a sollevare la testa e cadere negli occhi di lei. La paura è scomparsa, adesso. In loro non viene covata che la tristezza, mista al rimpianto.

«Ti prego, andiamocene da qui» le sussurro piano, in modo che il mondo non senta.

«Dobbiamo aspettare il tuo avvocato...»

«No» l'avvocato ha sbagliato. «Ti prego, andiamo via.»

Montare sulla sua auto è come tornare a respirare la libertà. È desiderare che il suo piede prema sull'acceleratore e mi trascini via da questo inferno... ma non posso scappare. Le indico la strada verso la casa di Lexie e la raggiungiamo. Torniamo ad occupare l'ultimo luogo che mi è rimasto come rifugio, riempendolo di parole contratte.

«Evie... Evie, mi dispiace, i-io... io...» la voce si spezza, chiudendo la frase come si chiude la porta di casa vincolandoci all'interno. Il cuore va in tachicardia ed il petto mi si solleva ed abbassa in fretta, vittima di un panico che è la mia amica a scongiurare, chinandosi verso di me dai suoi tacchi alti per raccogliere i miei cocci.

«Pulcino, prendi un respiro profondo. Parlami con calma, non abbiamo fretta. Non vado da nessuna parte.»

Purtroppo, è questo il punto. La nostra amicizia la costringe a rivivere un incubo che si è lasciata, da molto tempo, alle spalle, ed io non posso permetterglielo. Quando camminava per strada, da sola, sotto i commenti squallidi degli uomini che le passavano vicino, io non le ero vicino. Io... odiavo quello che aveva fatto, mentre vivevo dall'altra parte del mondo ignara e ora lei non può darmi il suo appoggio, non può rivivere tutto da capo.

«No, Evie, devi andartene da qui.»

«Cosa stai dicendo? Sono qui per il processo...»

«Non è niente che ti riguarda!» Urlo sul suo viso, e la forza della mia voce le fa strabuzzare gli occhi. La paura mi fa tremare ed arrivo a contrarmi in me stessa, vittima di me come di nessun altro. «Non è niente che ti appartenga» sussurro, e detto ciò scivolo fino a terra, facendo i conti con il pavimento gelido.

Evie rimane in piedi, sopra di me, lasciandomi da sola a disprezzare il carattere patetico che ha assunto la mia anima. Sono così diversa da lei, così ridicola al suo confronto...

«Ehi, guardami» sussurra ad un tratto, e mi accorgo che è chinata alla mia altezza adesso e mi sta fissando negli occhi. In un primo momento vedo sfocato il suo volto ma poi questi assume, nuovamente, chiarezza e mi permette di reggere il suo sguardo.

Esiliato dal tuo cieloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora