47- Il dolore

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"Ho conosciuto il dolore
E ho avuto pietà di lui,
Della sua solitudine,
Delle sue dita da ragno
Di essere condannato al suo mestiere
Condannato al suo dolore;
L'ho guardato negli occhi,
Che sono voragini e strappi
Di sogni infranti: respiri interrotti
Ultime stelle di disperati amanti
-Ti vuoi fermare un momento? - gli ho chiesto-
Insomma vuoi smetterla di nasconderti? Ti vuoi
Sedere?
Per una volta ascoltami! Ascoltami
... e non fiatare!
Hai fatto di tutto
Per disarmarmi la vita
E non sai, non puoi sapere
Che mi passi come un'ombra sottile sfiorente,
Appena - appena toccante,
E non hai vie d'uscita
Perché, nel cuore appreso,
In questo attendere
Anche in un solo attimo,
L'emozione di amici che partono,
Figli che nascono,
Sogni che corrono nel mio presente,
Io sono vivo
E tu, mio dolore,
Non conti un cazzo di niente."

Roberto Vecchioni – Ho conosciuto il dolore

P.O.V.
Michael

Da diverse notti, nei miei sogni, un corpo di femminile bellezza mi tormenta, senza rivelarmi mai il suo volto.

Ne scorgo unicamente piccole parti. Un busto, dei seni piccoli ma perfetti, un piatto ventre ma mai il suo collo, né il suo viso.

Quei tre elementi concorrono a creare un quadro dai colori teneri, in grado di rilassarmi... ma non trascorre molto, prima che tutto si scurisca. Una torre incompiuta si sostituisce, per prima, al ventre della misteriosa bellezza, dando il chiaro segno di una mancanza, quasi interiore. I seni si tramutano in piccole ossa ed il busto altro non è che il percorso che devo seguire, e che non sono in grado di capire verso dove mi conduca.
A quel punto della storia, il cielo si fa nero e non vi è alcun soffitto o suolo, tutto è indistinto ed io, perso in quella macchia scura senza più punti di riferimento, a un tratto, mi trovo sveglio in un bagno di sudore, alle volte in grado di togliermi anche il fiato.

Oggi non ho avuto sconto a questa condanna, ed ancora una volta sobbalzo di scatto dal letto, trovandomi a fare i conti con un'onirica confusione mentale e un freddo in auspicabile al fianco, dove da tempo si stende Cat.

Tento di ritrovare il mio giusto equilibrio tra il sonno e la veglia, passandomi le mani sul viso a voler scacciare via lo strano incubo, ma ci sono delle immagini che restano impresse e non vogliono allontanarsi dai miei pensieri. Pagherei qualsiasi somma, dalle mie tasche bucate, per farli andare via, pur sapendo che non servirebbe a niente.

Scivolo fuori dalla prigione di coperte che mi ospita per potermi dirigere in cucina. Un bicchiere d'acqua mi rischiarirà le idee e mi darà la forza di tornare alla ragionevolezza, penso, con i dovuti tempi.

La mano trema leggermente afferrando il bicchiere di vetro, e la vista risulta tanto offuscata da lasciare passare in secondo piano la luce accesa della stanza, quasi governasse lo spesso velo oscuro cucito sulla mia iride.

Sono solo sogni ma stanno a simboleggiare qualcosa, lo stesso significato dal quale rifuggo, svegliandomi.

Ho giusto il tempo di pensare a un simile paradosso, prima che la mia attenzione venga catturata dal tagliere bianco, abbandonato al di sopra dei fornelli spenti, sul quale sono stati lasciati dei pomodori tagliati, in parte, alla julienne. Rimango immobile mettendo da parte il sogno e lasciando che si sostituisca alla catena di ricordi di una vita precedente, impossibile da controllare. Quasi mi viene da ridere nel ripercorrere il tracciato che sembrano suggerirmi, perché niente accade per caso. Né quegli assurdi sogni, né questi stupidi pomodori.

Esiliato dal tuo cieloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora