56- L'amore dentro l'odio

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"La gente pensa che dentro sia una persona amara
Volevo solo che i cattivi avessero una chance
Perché il loro oblio ha qualcosa di struggente
Libero dalle catene del giudizio della gente
Libero dalle rime, libero dalle pastiglie
Niente da insegnare, non voglio figli né figlie
Vorrei soltanto essere una sagoma di gesso
Un angelo disegnato al suolo fra i cocci di bottiglie".

Lowlow - Arirang

P.O.V.
Michael

Il sogno si ripete. Il cielo è di un grigio molto pallido. Le statue intorno sono immobili, in un tono di colore più scuro.

Nelle orecchie ho come un suono, una specie di leggero fischio. Sembra essere il rumore del vento, seppure non si muove nemmeno una foglia dagli alberi presenti.

Delle rovine sono collocate tutto intorno, infilzate come cocci di vetro nella terra. Trasmettono una strana malinconia e, al tatto, una sensazione umida e fredda.

Sento un carico enorme sulle spalle e mi stanca, vorrei sedermi, ma quando penso di farlo l'appoggio scompare e i polpastrelli non sfiorano che fili d'erba, sottili come capelli.

Ruoto la testa per poter definire i limiti percettivi di questo posto e cercare una porta che possa essere un'uscita. Scopro che niente del genere è presente, ed il peso sulle spalle raddoppia.

Prendo un profondo respiro per potermi liberare dallo sforzo di trascinare dietro di me un simile masso. Il torace si tende, la bocca forma una O in cerca di ossigeno e niente è sufficiente. Piegato a terra, sento di star affondando ancora di più nel suolo. Le unghie si conficcano nel terriccio, sporcandosi di uno smalto nero, e tramite loro tento di avanzare.
Risulta difficilissimo. Sto strisciando verso la più alta delle statue che ancora non riesco a definire. Sto avanzando mentre la pioggia, incastrata tra i ricci di questo pavimento, mi bagna gli abiti sempre di più, appesantendoli.

E tutto diviene nero. Per alcuni minuti perdo il completo controllo della scena ed è solo quando una luce, circolare, dall'alto mi viene puntata contro che sento il peso sparire completamente dalle spalle. Sono al centro di un cerchio bianco e perfetto, su di un pavimento composto da assi di legno. Di fronte ho il nulla. Al fianco ho il nulla.

A pancia in giù fisso, ormai privo di fiato, quello che sta accadendo con il cuore che batte a una strana tachicardia.
Regna il silenzio per molto, finché dei passi lo spezzano, e appartengono come a dei piedi scalzi.

Di colpo compaiono nella mia visuale, ballerini di una musica che non riesco a sentire. Mi ruotano intorno. Saltano e si muovono con grazia. Un paio di caviglie fini governano le loro mosse, e su una di loro c'è una piccola catena d'oro composta da dei sonagli. La loro musica evoca alla mente un ricordo piacevole, un suono che non mi è ostile e che si somma alla leggerezza che provo.

Mi metto a sedere e non mi perdo niente di quel ballo che, lentamente, viene accompagnato da una serie di altri suoni. La luce illumina parzialmente la femminile gamba, loro padrona, scoprendone la pelle nuda, intervallata a un vestito bianco con drastico taglio al contempo con un sottofondo di dolci risate, rumori di gente, applausi e lo scontro di qualche calice.

Il luogo nel quale siamo è come se avesse un contesto. Come se nel buio, a fianco a noi, ci fossero altre mille persone intente a parlare tra loro, a vivere, a scherzare, a ridere.

Immagazzino tutte queste emozioni e all'improvviso avverto l'impulso di afferrare la caviglia della ballerina per arrestare la sua danza.

Mi sporgo in avanti... ma quando la mano si chiude in un pugno, desideroso cacciatore perso nella brama, quelle gambe scompaiono e la cavigliera viene avvolta nel buio. Non c'è più alcun suono.

Esiliato dal tuo cieloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora