14. caffè

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In quella stanza non si respirava, per il terribile odore di chiuso misto a quello del sangue, e quando Zero fu fuori dall'Academia l'aria fresca le diede l'energia che i tre caffè che aveva appena bevuto non gli avevano dato. Trovò un'auto di cui non conosceva il proprietario, il che nemmeno le importava, parcheggiata fuori dall'accademia. La prese senza farsi scrupoli e si diresse dove era sicura fosse il furgoncino in cui Cinque era appostato.
Doveva assolutamente dirgli di Harold Jenkins perché smettesse di perdere tempo dietro alla storia dell'occhio e andassero a cercare l'uomo.
In quel momento l'unica cosa importante era salvare il mondo, non le importava delle persone che aveva quasi investito, e neanche dei passanti scioccati dalla visione di una ragazzina che guidava indisturbata. Sentiva solo l'adrenalina della libertà apparente, quella che viene quando credi di avere il controllo e che quello che vuoi sia ad un soffio da te. Tutta apparenza, qualcosa che si inventa la testa, ma funziona terribilmente bene.
Trovò il ragazzo nel furgone all'angolo opposto della fabbrica, che parlava, probabilmente con Dolores. Si teletrasportò nella vettura e spostò il manichino perché si potesse sedere al suo posto.
<Scoperto qualcosa?> chiese lei.
<Forse il dottore spaccia protesi oculari. Tu?>
<Non molto dall'interrogatorio, ma un tubo è apparso nell'armadio e dentro c'era l'ordine della Commissione di proteggere un uomo>
Cinque aggrottò le sopracciglia, pensò per un attimo e disse: <è una trappola>
<Ci potrebbero ancora volere giorni per trovare il proprietario dell'occhio e non abbiamo tutto questo tempo. Se questo Harold Jenkins muore potremmo risolvere tutto e subito>
<Sai che non funziona così. Non sai neanche perché dovrebbe c'entrare qualcosa con la fine del mondo, e poi la Commissione non avrebbe mandato un ordine a uno che non si muove da giorni, casualmente all'Umbrella Academy, se non fosse una trappola. Conosco il mio capo abbastanza da dirlo con certezza>
<Allora scoprirò cosa c'entra Harold Jenkins con l'apocalisse, e anche prima che ti accorga che quel manichino non può sentirti quando gli parli> così disse e si dileguò fuori dal furgone.
<È incredibile. Ci sono stato nell'apocalisse, perché continua a voler fare solo di testa sua?> disse seccato riponendo Dolores accanto a lui.
Il piano di Cinque alla fine non era male e anzi, c'erano più che molte possibilità che funzionasse. Sarebbe apparso all'improvviso nell'auto del medico e lo avrebbe minacciato perché gli facesse vedere dove teneva i registri delle attività in nero. Così fece infatti, e stava andando tutto bene, fino a quando non arrivò davanti alla fabbrica. Le finestre dell'edificio sputavano fuoco e l'aria lì intorno era completamente invasa da così tanto fumo da renderla irrespirabile. Non appena vide le fiamme Cinque si mise a correre in direzione dell'ingresso prima che fosse troppo tardi, ma quando gli fu davanti la fabbrica esplose, lanciando il ragazzo in aria e facendolo cadere molti metri più indietro. La forza dell'esplosione era decisamente più forte di quella che aveva provocato insieme a Zero nel palazzo, e nonostante l'impatto della caduta gli avesse fatto meno male non riusciva a trovare la forza di reagire. L'unica cosa a cui riusciva a pensare era la lista bruciata, come tutte le sue speranze e i piani studiati per anni. L'unica possibilità che credeva di avere era diventata cenere.
Un Cinque più lucido si sarebbe alzato in piedi, avrebbe preso l'auto del dottore e se ne sarebbe andato a cercare altre soluzioni, e invece non poté fare altro che disperarsi stando a guardare le fiamme ricoprire le macerie dell'edificio.

Zero nel frattempo aveva passato il resto della giornata a cercare Harold o un Jenkins qualunque in quella città, e dopo ore e ore di ricerche sentiva che gli occhi le sarebbero uscite dalle orbite se avesse letto altre scritte minuscole dagli archivi cittadini.
La voglia di arrendersi e lasciare che il giorno del giudizio arrivasse indisturbato e se la portasse via saliva ogni secondo sempre di più. Non esisteva traccia di nessun Jenkins in città, se non di persone sepolte al cimitero. Sapeva che avrebbe potuto trovarlo se avesse voluto, ma era troppo stanca per potersi sforzarsi ancora. E per cosa poi? Per dimostrare a Cinque che aveva ragione?
Si sentiva svenire, le gambe cedere. Doveva dormire, era l'unica cosa che avrebbe dovuto fare in quel momento.
Sarebbe tornata a casa, se non avesse visto Vanya ed Allison parlare sul marciapiede dal lato opposto della strada con un uomo mai visto prima. Zero, non amando particolarmente socializzare o preoccuparsi per gli altri era tentata di tirare dritto facendo finta di niente, ma pensò che del resto erano le sue sorelle, e che era suo dovere sforzarsi di preoccuparsi per loro ogni tanto. Così attraversò la strada e gli apparì davanti.
Osservando i loro volti da vicino notò che Allison sembrava piuttosto irritata, e Vanya, come il tizio accanto a lei, molto a disagio. Nonostante il modo in cui si sentivano si sforzarono entrambe di accennare un sorriso e di salutare Zero, che non faceva che fissare l'uomo sospettosa. Soltanto il suo sorriso forzato le fece capire che aveva qualcosa che non andava.
Vanya parlò per prima: <Lui è Leonard, Leonard lei è...>
<Numero Zero, giusto?> disse Leonard bruscamente. Aveva l'aria nervosa, come se stesse cercando di nascondere qualcosa, e di certo quella risposta così immediata confuse tutti e non poco.
<Come fai a sapere il suo nome?> chiese seria Allison.
<Beh, alla televisione si parlava sempre di voi> disse ancora più nervosamente di prima.
Zero non era convinta che fosse normale che si ricordasse i nomi di ognuno di loro, nonostante i telegiornali. Leonard cambiò espressione nel notare il logo dell'Umbrella Academy sulla giacca della ragazza, e suoi occhi iniziarono a infiammarsi leggermente di rabbia. Proprio in quel momento Zero iniziò a sentire nella testa riecheggiare la parola "vendetta", così insistente da farle venire il mal di testa.
<Posso sapere il tuo cognome?>
<P-Peabody> iniziava a sudare.
<Come no, conosci qualche Jenkins qua in città?>
Leonard la guardò male, cercando di non farlo notare, e le disse di no.
Gli tirò un'occhiata scocciata e spostò lo sguardo verso Vanya, che era completamente imbarazzata.
<Ti devo parlare, vieni?> disse Allison mettendo una mano sulla spalla della sorella "minore".
Zero annuì. Prima di andarsene tirò un'ultima occhiata a Leonard, abbastanza inquietante da fargli attraversare la schiena da un brivido.
Appena svoltarono l'angolo Allison disse: <Anche a te sembra strano vero?>
<Certo che sì. Ha detto il mio nome senza esitare, ha pensato prima di dire il suo cognome, tremava come una foglia. E poi sudava troppo>
<Già, credo che nasconda qualcosa. E poi Vanya lo conosce da troppo poco tempo>
<Ma chi è lui esattamente? Stanno insieme?>
<Si conoscono a malapena da tre giorni. Le ha mandato dei fiori, l'accompagna alle prove... è troppo perfetto>
<Sentirsi apprezzati da qualcuno annebbia la vista, quando non si ha mai provato questa sensazione prima> disse sospirando <Per questo Vanya ci è cascata subito>
Allison la guardò come se avesse realizzato qualcosa per la prima volta, senza rispondere.
Zero continuò: <Lei ha bisogno di sentirsi apprezzata, e se crede che quell'uomo alquanto ambiguo possa darle l'affetto che non ha ricevuto per anni beh, il suo problema non è Leonard>
<È ingenua. Io voglio solo aiutarla
<Lo so. Solo non incolparla di qualcosa di cui non ha colpa. Non lo sai proprio cosa significa sentirsi apprezzati da qualcuno dopo tempo in cui non si sente l'ombra di un briciolo di affetto da un essere umano>
<Ti ho già detto che non la sto incolpando, vorrei solo essere una sorella più presente>
<Cerca solo di non farla stare peggio>
Detto ciò iniziò a sentire un'altra voce riecheggiarle nella testa, che diceva "sono in ritardo, sono in ritardo" in ripetizione. Sparì nell'esatto momento in cui lei smise di guardare un uomo in giacca e cravatta che stava correndo per il marciapiede, e andata via la voce si ripresentò il terribile mal di testa. Non capiva, l'immaginazione le dava miriadi di idee sul perché le stesse succedendo così spesso ultimamente, ma comunque non trovava una risposta che avesse senso.
Non l'aiutò la domanda che fece Allison subito dopo: <Dov'è Cinque?>
Si dimenticò per un attimo del mal di testa per ricordarsi di quello che gli aveva detto quella mattina. Il dolore tornò insieme ad un lieve senso di colpa, e dalla sua bocca uscirono le parole: <Non lo so>
La sorella sospirò, ma non si rassegnò: <Cos'è successo?>
<Non è successo proprio niente> tentò di rimanere seria.
<Sai, il tempo potrà essere passato, però voi due siete ancora una cosa sola come lo siete sempre stati>
<In questa cosa sola ci sono in mezzo anni di solitudine e un manichino senza gambe>
<Allora qualcosa è successo> disse con un po' di orgoglio per aver indovinato che c'era un problema.
<Non credi che se due come voi, indipendenti e testardi, possano stare così male per qualcuno vuol dire che c'è qualcosa di grande fra voi?>
Questa domanda la mandò completamente in confusione. Non aveva mai neanche pensato a vederla da quel punto di vista, e quel pensiero non la fece stare meglio. Cosa significava "qualcosa di grande"?
<Io davvero non ricordo il giorno in cui ho chiesto a tutti il proprio parere su quello che mi rigurda. E poi non credo che dovrei ascoltare i consigli su queste cose di una che ha avuto una cotta infantile per Luther ed ha divorziato sei mesi fa> diede una risposta scorbutica per nascondere il male che le aveva provocato il ricordo della solitudine.
Continuò <Sai, trovo la tua idea di usare le voci per diventare un'attrice e la tua bassa integrità morale molto d'ispirazione. Ho visto qualche tuo film, non mi ricordo in che anno. Non hai idea di quanto tu faccia ridere doppiata in giapponese>
Allison non si prese nemmeno la briga di innervosirsi per la sua risposta, ricordando che per Zero controbattere in quel modo era la cosa più naturale che potesse fare in un momento di crisi. Così disse con tutto il garbo che aveva: <Adesso devo andare, ma tu per favore vai a casa a riposarti. Non sembri stare tanto bene>
<Cosa importa, tanto il mondo finirà fra quattro giorni>
<Scusami, che cosa?>
<Niente Allison, niente>
E andò nella caffetteria più vicina a prendersi il quarto caffè della giornata, abbandonando l'idea di tornare a casa, che a quel punto era del tutto fuori discussione. Andò correndo alla biblioteca pubblica, a cercare informazioni su Jenkins, e avrebbe cercato pure su quel Leonard. Non poteva perdere tempo in quel modo, o almeno lei non lo avrebbe perso dormendo.
Il tempo però non fu quello che le scivolò dalle mani.







Spazio autrice
Indovinate chi è tornata dopo un mese come se niente fosse? Sì, io

𝑰 𝒂𝒎 𝒁𝒆𝒓𝒐 𝑯𝒂𝒓𝒈𝒓𝒆𝒆𝒗𝒆𝒔 || The Umbrella AcademyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora