11. (death's your) kismet

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1989, The City

Nella grande città in cui i fratelli Hargreeves sono cresciuti era una gelida giornata del 1989, e Zero era arrivata da poche ore in quell'anno. Non dormiva da giorni, non aveva idea dell'anno in cui fosse e aveva perso il conto dei giorni passati a vagare nel tempo. Stava seduta sul cornicione del tetto di un palazzo proprio di fronte all'Umbrella Academy e fissava le finestre dell'edificio stranamente senza tende a coprirne la visuale, cercando di intravedere qualcuno o qualcosa, ma sembrava deserto. Ne capì il motivo quando vide Reginald Hargreeves con il suo bastone da passeggio camminare a passo svelto con una fila di carrozzine numerate che lo seguivano. Comprese che si trovava nell'anno in cui era nata, e dopo aver smesso di respirare per qualche istante si accorse che le carrozzine erano solo sette, e non ce n'era una con il numero zero sopra. Credeva che avrebbe dovuto fare qualcosa, come a parlare a suo padre, ma rimase lì immobile senza capire il motivo per cui non era stata adottata insieme ai suoi fratelli.
Stava per alzarsi per andare a cercare qualcosa da mangiare, dato che non si nutriva di qualcosa di commestibile da giorni, quando sentì una voce eccessivamente entusiasta chiamarla per nome, o meglio per numero. Non sentiva quel nome pronunciato da qualcuno da molto tempo, e si girò confusa a cercare il proprietario della voce, sperando per un attimo che fosse la voce di Cinque.
Ma al suo posto vide un ragazzo poco più grande di lei in mezzo alla strada che si sbracciava e urlava per farsi notare. La stava raggiungendo sul tetto quando Zero apparì davanti a lui, e senza che facesse in tempo ad accorgersene gli aveva già prontamente puntato la pistola allo stomaco.
<Non uccidermi, voglio solo chiederti un favore> disse sorridendo troppo per i gusti di Zero, che con molta calma gli urlò chiedendogli chi fosse e cosa volesse.
<Proprio di questo volevo parlare. Ti interessa far parte del "Kismet service"? Siamo una specie di organizzazione segreta e tu saresti perfetta per noi. Ci occupiamo di eliminazione immediata degli individui che in passato intaccarono l'onore dei grandi signori Ophelis che cercavano vendet...>
<Vai al punto>
<Assumono dei disperati come noi e ci lasciano fare il lavoro sporco per far sì che loro raggiungano i loro obiettivi senza ostacoli, insomma. Eseguiamo gli ordini e in cambio ci offrono la possibilità di ricominciare a vivere, per soli dieci anni di servizio. Sei sotto osservazione da noi da molto tempo, e crediamo tu sia una degli assassini migliori degli ultimi due secoli. E credo che a te serva, dato che vaghi nel tempo da un bel po' ormai. Io sono Jo comunque.>
Zero era stanca di viaggiare nel tempo ritrovandosi sempre in un epoca a cui non apparteneva senza una meta. Le serviva uno scopo nella vita dopo non aver raggiunto l'obiettivo di trovare Cinque, e non voleva tornare a casa senza di lui. Così quel giorno fece una delle scelte più sbagliate della sua vita, abbassando la pistola e accettando il lavoro.
Per tutta la vita rimpianse di non aver ucciso quel Jo subito. Se lo avesse fatto non avrebbe dovuto lavorare con quello strano ragazzo per tre anni, non avrebbe dovuto uccidere tutte quelle persone per niente e probabilmente adesso la sua sanità mentale sarebbe meno compromessa di così. Tutti quei viaggi nel tempo sfumavano i ricordi delle emozioni e riuscivano a farti dimenticare alcune cose, ma a certi momenti era difficile anche solo pensarci.

Oggi
Zero stava sullo stesso cornicione del tetto nello stesso punto dove era stata seduta nell'89 con le gambe ciondolanti nel vuoto, e pensava a cosa non sarebbe successo se non fosse nata con quegli stupidi poteri. Osservava il tatuaggio che aveva sul polso con disprezzo. Non riusciva a dimenticare la casa di sua madre e a quanto sarebbe stata diversa la sua vita se quell'uomo che si faceva chiamare papà non l'avesse portata via da lì.
Non si era mai sentita parte della famiglia Hargreeves, e odiava quel cognome. Lo disprezzava a tal punto che quando lo sentiva nominare sentiva il vuoto nella pancia. Si era sentita a casa più in due giorni con la sua vera madre che in tredici anni nell'Umbrella Academy, e la cosa che la frustrava di più era che non riusciva a tornare nella sua vera casa in nessun modo, nonostante ci avesse provato molte volte. O finiva nel posto o nell'anno sbagliato o non riusciva a viaggiare nel tempo dalla stanchezza.
Il rumore di alcuni passi la riportarono alla realtà. Per un attimo ebbe il terrore che potesse essere di nuovo Jo con la sua offerta di lavoro e il suo stupido sorriso irritante, ma senza nemmeno girarsi capì che era Cinque, che se ne stava dietro di lei con le mani in tasca. Era ancora arrabbiato per quello che era successo poco prima, ma era anche preoccupato, dato che Zero era seduta sul quel tetto da tre ore senza muoversi, e credette che era meglio provare a parlarle che lasciarla lì un altro minuto di più a rimuginare sui suoi pensieri.
<Non ti sembra ora di parlarne?> chiese il ragazzo.
<Sapevi che non sono stata adottata nello stesso vostro giorno?> disse senza distogliere lo sguardo dal suo polso.
<No. Come fai a saperlo?>
<Nell'89 ero esattamente qui. Ho visto papà che portava sette donne che portavano una carrozzina a testa in casa e ognuna aveva un numero sopra. Non ce n'era una con lo zero>
<Credi che ti abbia adottata prima di noi? Avrebbe senso>
<Forse. So che mi ha adottata nel 1992, tre anni dopo di voi. Non so neanche perché, dato che ho gli stessi tuoi poteri. A che gli serviva un doppione, per lo più dopo tre anni dall'adozione dei primi sette bambini?>
Non ci fu una risposta, ma Zero cambiò discorso: <Ti dispiace se ti faccio vedere un posto?>
Cinque scosse la testa, e con uno strattone la ragazza gli tolse il braccio dalla tasca per prendergli la mano e lo teletrasportò davanti ad una palazzina abbandonata in una città non identificata, di cui la ragazza stava osservando i dettagli cercando di non far notare che da quel posto ne era terrorizzata. Anche se Cinque aveva voglia di chiederle perché fossero proprio lì non disse niente e continuò a tenerle la mano. Capiva che parlare sarebbe stato inutile, e aspettò in silenzio che finisse di stritolargli la mano e iniziasse a spiegare da sé.
<È abbandonato da qualche anno, ma dovrebbe esserci ancora quello che cerco> disse impassibile entrando dal portone semi-distrutto. La seguì senza fiatare.
Oltrepassato l'ingresso camminarono lenti per i corridoi. Zero osservava le pareti di quel posto come se fossero quelle di un museo, anche se tutto quello che c'era da vedere erano crepe, ragnatele e polvere. Secondo lei quel posto era meno spaventoso così, senza le persone dentro, e non smetteva di amare il fatto che suo fratello capiva sempre quando doveva starsene zitto.
Salirono varie rampe di scale accidentate e si fermarono davanti ad una porta, di cui il nome sulla targhetta era ormai illeggibile. Dietro a quella porta si celavano alcuni dei peggiori ricordi di Zero, e la voglia di rivivere quei momenti non era particolarmente viva in lei in quel momento, ma aprì comunque la vecchia porta scricchiolante. C'era un piccolo appartamento che sembrava essere stato inabitato per secoli: i muri erano percorsi dalle crepe e da buchi, la vernice bianca che una volta li ricopriva era per la maggior parte sgretolata per terra e non mancavano schizzi di rosso sangue qua e là. Nella prima stanza che sembrava aver avuto la funzione di salotto, c'erano solo un piccolo divano grigio dalla polvere tutto consumato, un tavolo con molti fogli sparpagliati sopra e una sedia caduta sul pavimento. Le uniche due cose a renderlo più "allegro" si trovavano nella stanza che veniva subito dopo, dove si trovavano un vecchio letto sfatto, una moltitudine di quadri appesi alle pareti malconce, un cavalletto per dipingere e pennelli e colori sparsi sul pavimento.
Cinque stava lì fermo a fissarne i particolari, senza capire perché sua sorella avesse quell'espressione così inquietantemente calma.
La ragazza tirò un sospiro e annunciò: <Benvenuto a casa mia, o meglio, quella che era una volta l'umile dimora del signor e della signora Miles. Mi è dispiaciuto vederli morire in quel modo, erano così simpatici. Erano delle persone gentili...>
<Eh?> chiese Cinque.
Spostò lo sguardo verso un lampadario cadente. <Credo che avessero un negozio di fiori o qualcosa del genere>
Il ragazzo aggrottò la fronte e disse secco: <Perché siamo qui?>
<Ci abitavo quando lavoravo per... no, non riesco a dirlo> gli porse un bigliettino da visita con una grande scritta eccessivamente colorata al centro.
<Lavoravi davvero per quella gente?>
<Ero stufa di viaggiare nel tempo con la costante paura di rimanere bloccata da qualche parte. Così ho fatto una cosa stupida e ho accettato il lavoro. Ma a te non è andata diversamente, o sbaglio?>
Ci fu una breve pausa di silenzio.
<In questo palazzo abitavano praticamente tutti i membri dell'organizzazione. In ogni singolo appartamento abitava un assassino certificato, me compresa. È stato abbandonato quando la Commissione scoprì che il nostro quartiere generale non era altro che una palazzina in mezzo ad una città qualunque e ci attaccò uccidendo più della metà del personale. Mi dispiace abbiano ucciso solo la metà, avrebbero potuto fare sicuramente di meglio>
<E quel Jo, abitava qui con te?>
<No, lui abitava nell'appartamento di fronte. In teoria ero affidata a lui, ma in pratica io facevo il lavoro sporco e lui stava a scrivere in uno stupido quaderno relazioni su chi uccidevo. Era sempre qui a trovare un pretesto per parlare, voleva che gli raccontassi della mia famiglia e tutte quelle stronzate. Era davvero convinto che fossimo amici... e un giorno gli ho sparato in testa> rise nervosamente. <Probabilmente è stata una reazione esagerata, ma purtroppo non è servito a niente dato che è ancora vivo. Scusami un attimo> disse alzandosi dal davanzale polveroso dove era seduta e si diresse all'appartamento di fronte. Cinque rimase lì a dare un'occhiata alle pile di fogli sul tavolo e notò un foglietto più appariscente degli altri, intriso di sangue. Attirò la sua attenzione la firma di Jo su di esso e le poche parole scarabocchiate sopra. Diceva:

"So che sei troppo per me ma sono anni che me lo tengo dentro e non posso resistere oltre, io ti amo."

Inutile dire che la reazione di Cinque non fu delle migliori. Gli scappò una risata nervosa e pensò che fosse la cosa più patetica che avesse mai letto in vita sua. Questo ragazzo non aveva la minima idea di cosa significasse amare qualcuno per davvero, sentirsi mancare una persona come l'aria e non sentirsi mai abbastanza. Come poteva un tale stronzo credere di poter pensare di meritare anche solo l'affetto di Zero? Stava sperando con tutto il cuore che la ragazza non pensasse le stesse cose, anche se da come ne parlava non sembrava proprio.
Aveva voglia di piangere dalla rabbia, ma si limitò a mettersi in tasca il bigliettino e raggiungere Zero dall'altra parte, che era ancora sulla soglia senza riuscire ad entrare a cercare di trattenere la rabbia che quel posto gli ricordava.
<Quello stronzo, ti ha fatto male?>
<Non so se ti ricordi che siamo stati addestrati per difenderci da qualsiasi cosa. Ma comunque la cosa più azzardata che abbia mai fatto è stata scrivere un patetico biglietto dove ha scritto che non era abbastanza per me o cose del genere...dovrebbe essere ancora di là.>
Non disse di averlo trovato, per il semplice motivo che in quel momento non trovava necessario dirlo, ed era sollevato che l'avesse definito anche lei "patetico".
Zero trovò il coraggio di entrare cercando di non esitare e si sedette per terra al centro della stanza. Diede vari pugni al pavimento cercando di toglierne un'asse.
<Cosa hai nascosto lì, il corpo dei signori Miles?>
<No. Qui ci sono le pagine di quel diario, sempre che ci siano ancora. Mi aveva detto che li nascondeva qui, probabilmente nella speranza che andassi a leggerlo, ma non l'ho mai fatto. Lo devo bruciare, non ci scriveva solo cose di lavoro, e ci sono cose là dentro che non devono venire a sapere>
Riuscì a togliere un'asse, e dal buco nel pavimento tirò fuori un pacchetto di fogli ingialliti. Mentre andava a cercare dei fiammiferi Cinque prese il primo dei fogli della pila, l'ultimo che aveva scritto prima che venisse sparato. Diceva:
"26 giugno 1992. Oggi è stato assassinato Richard Lenkins, anni 37, lavoratore presso la..."
Quanto doveva essere noioso questo ragazzo per segnare tutti i dettagli sulle vittime che uccideva?
"Zero si è irritata senza motivo, ritenendomi poco professionale nei suoi confronti. Ma come potrei essere professionale se la amo? Siamo entrambi soli, è il destino che ci ha fatti incontrare. Potremmo essere felici insieme, ma è ostinata a ignorarmi e ad arrabbiarsi per ogni cosa che le dico. Se solo fosse meno testarda ammetterebbe quello che pensa veramente, sembra quasi che preferisca uccidere la gente che stare in mia presenza. Ma io so che per lei questi anni sono stati meglio di quanto voglia ammettere."
Erano queste le ultime parole che scrisse su quel quaderno.






Spazio autrice:
Ciauu mi sa che l'ho fatto troppo lungo, spero che non vi dispiaccia troppo
Ho cringiato troppo per scrivere la parte di Jo sappiatelo

Luv u all❤️

𝑰 𝒂𝒎 𝒁𝒆𝒓𝒐 𝑯𝒂𝒓𝒈𝒓𝒆𝒆𝒗𝒆𝒔 || The Umbrella AcademyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora