Cinque's pov
Un giorno indefinito
Anni. Sono passati troppi anni dal giorno in cui non diedi retta al vecchio e a mia sorella, e rimasi bloccato nell'apocalisse. Se fosse venuta con me sarebbe stato tutto più facile, anche se avrei sofferto nel vederla nelle condizioni in cui sono io adesso. Ma lei è impulsiva, e ho paura che ne abbia fatta una delle sue. Anche se sono contento che lei non stia vivendo questo inferno, ho paura che quello che sta passando lei sia peggio.
Il suo corpo non l'ho trovato, e non so se la cosa dovrebbe rassicurarmi o preoccuparmi. Sicuramente mi avrebbe ucciso vederla morta, e forse è un bene che non l'abbia trovato. Non ho trovato neanche quello di Ben, ma a lui so cos'è successo. Nel libro di Vanya c'è scritto che è morto in una missione, ma di Zero c'è solo scritto che è sparita lo stesso giorno in cui me ne sono andato io.
In ogni caso non sono completamente solo qui, c'è Dolores, che è molto di aiuto, ma non c'è lo stesso rapporto che con Zero. Cosa farei per vedere quegli occhioni rossi che mi fissano, o vederla fare uno dei sorrisini tanto carini che fa solo lei. Me la immagino qui con me ogni tanto, per superare i momenti più difficili. Dolores crede che io sia pazzo a immaginarmela, ma se non facessi così dovrei riversare tutto il mio nervoso su di lei, e non mi sembra il caso di farle pesare una cosa di cui non ha colpa.
Devo tornare a casa e salvare il mondo, e per questo uccido gente da quattro anni per la commissione. Non mi piace, non provo gusto nel togliere la vita a delle persone che vivevano senza aver mai fatto niente di male, o almeno nella maggior parte dei casi. Ma è l'unico modo per tornare a casa, e nel frattempo sto calcolando come poter tornare indietro prima dei 5 anni di servizio accordati con la commissione, e salvare il mondo.
Nonostante questo lavoro, che mi occupa il tempo che di solito usavo per pensare e disperarmi, penso di aver dato di matto nell'ultimo periodo. Ogni volta che ripenso a lei sento il vuoto sotto di me, come se stessi cadendo in un vortice infinito. Ho paura di non trovarla quando tornerò. E se dovessi trovarla, ho paura che non le importi più di me, o che abbia trovato qualcuno a cui tiene più di quanto teneva a me. A quest'ora avrà quasi trent'anni, si sarà fatta una nuova vita. Se scoprissi che è sposata, non oso neanche immaginare cosa farei. Se stesse soffrendo, per colpa mia...
Non passo una nottata decente dal giorno in cui sono qui, ho iniziato a mangiare e bere qualsiasi tipo di schifezza che trovo, e quando trovo abbastanza energia piango. Lei non vorrebbe vedermi così lo so, e so che mi prenderebbe in giro se sapesse che piango così spesso.
Mi manca da morire.
L'unica cosa che vorrei è rivederla e sapere che sta bene.La camera di Zero aveva le pareti blu scuro, dello stesso colore della sua divisa, gli scaffali colmi di libri, le pareti tappezzate da tele dipinte. Sopra al letto c'erano ancora tutte le note, i foglietti e delle foto, esattamente come li aveva lasciati. Accanto alla scrivania vuota c'era un cavalletto per dipingere, dove era appoggiata una tela mezza dipinta che aveva lasciato lì prima di andarsene, senza essere riuscita a finirla.
Rimase chiusa in quella stanza per giorni. Stava sul letto a fissare il soffitto a cercare di non pensare, fallendo miseramente.
Ricordava i momenti felici passati con i suoi fratelli quando erano bambini, come ad esempio quando facevano a gara a chi faceva arrabbiare Pogo per primo, o a chi rubava più biscotti dalla cucina.
Per noia si mise a frugare nelle sue vecchie cose, e ognuna la riportava negli anni della sua infanzia. La fece sorridere un bigliettino con su scritto: "Vieni sul tetto alle sette. 5". Risaliva al giorno del loro tredicesimo compleanno, l'1 ottobre 2002. Per l'occasione il ragazzo le aveva comprato i pennelli che Zero voleva tanto, per cui stava risparmiando ogni centesimo della paghetta, e voleva farle una sorpresa.
Alle sette andò, come ordinato dal bigliettino, sul tetto con in mano una bomboletta di panna spray. Trovò il regalo, lo scartò e appena Cinque apparse da dietro nell'intento di spaventarla, gli spruzzò la panna addosso.
<È così che mi ringrazi?> disse ridendo Cinque.
<Questa era la mia sorpresa> disse mentre assaggiava un po' di panna. <Scherzo, la mia sorpresa è questa.> Gli porse un pacchetto. Era uno dei libri sul viaggio nel tempo introvabile che il padre gli aveva vietato di leggere, con cui probabilmente aveva condannato Cinque alla solitudine per 45 anni.
Come farebbero due fratelli normalissimi, iniziarono a fare a gara a chi sporcava più l'altro di panna. Conclusero la giornata sedendosi sul cornicione del tetto, guardando il sole che tramontava nei palazzi e il cielo che si tingeva di rosso, felici e sporchi dalla testa ai piedi. Se lo ricordava come uno dei giorni migliori della sua vita, nonostante la sgridata riguardante il contegno e la dignità da parte del padre.Era difficile non pensare a suo fratello quando tutto quello che aveva intorno le ricordava lui.
Capì che se non avesse parlato con qualcuno avrebbe dato di matto, quindi decise di andare da Vanya, l'unica che l'avrebbe ascoltata e che non l'avrebbe giudicata. Non c'era Cinque, perciò doveva accontentarsi. Si teletrasportò nella vecchia cameretta di Numero 7, senza perdere tempo a compiere gesti banali ed educati come bussare alla porta.
Sobbalzò dallo spaventò e posò il violino che stava suonando. <Santo cielo Zero, non potevi usare la porta?>
Non rispose e guardò la custodia del violino sul letto <Lo suoni ancora quindi?> disse la ragazza.
<Sì, mi stavo esercitando.>
Si avvicinò a lei e la invitò a sedersi <Come va veramente da queste parti?>
<Mi odiano. Ho scritto un libro, un'autobiografia, e non l'hanno presa bene.>
<E per quale motivo? Io l'ho trovato molto interessante.>
Vanya aggrottò le sopracciglia.
<Ho visitato un bel po' di spazi temporali. L'ho trovato qualche anno fa, quando l'avevano appena pubblicato. Non sai quanto mi ha fatto ridere la parte in cui parlavi di papà.> Vanya sorrise.
<Almeno a te è piaciuto.> sospirò.
<Anche a Cinque sarebbe piaciuto, fidati.>
<Se foste rimasti sarebbe stato tutto più facile. Ma perché è voluto andarsene?>
<Lo conosci. È testardo.>
<Mi dispiace per quello che ti è successo.>
<Già anche a me. Vanya, per qualsiasi cosa puoi parlare con me, okay?>
La verità era che da quella conversazione non ci aveva tratto niente, e non l'aiutò neanche a distrarsi. Così rimase a sentirla suonare, aiutandola con gli spartiti come faceva tanti anni prima.Passarono dei giorni, Zero li superò girovagando per le stradine del quartiere più degradato della città, non a caso il suo quartiere preferito. Le piaceva e l'affascinava tutto ciò che le sembrava far più schifo di lei.
Uno di quei giorni stava tornando a casa dalla "passeggiata" del mattino. La giornata era iniziata incontrando un uomo che le fece dei commenti non molto graditi sul suo aspetto, e dopo averlo minacciato in un modo inaspettato da una ragazzina con la divisa scolastica, e dopo averlo quasi fatto soffocare e aver preso un caffè si era sentita molto meglio.
Aveva appena deciso che ce l'avrebbe fatta, con o senza Cinque, ad andare avanti. Zero esisteva anche senza Cinque al suo fianco, e che non avrebbe potuto piangerlo per sempre. Forse sarebbe tornato, forse no, ma in ogni caso doveva riprendere in mano la sua vita.
Era comunque arrabbiata con suo fratello per non averla ascoltata. E poi dopo tutto quel tempo, sarebbe stato un adulto e lei una ragazzina, e magari nel frattempo aveva anche trovato una vita migliore ed era rimasto lì per quello.
Se c'era un momento sbagliato per autoconvincersi di una cosa simile, era senza dubbio quello.
Spazio autrice
Sì lo so cosa state pensando.
Vi prometto che il prossimo capitolo sarà più allegro.No direi che non è vero :/
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𝑰 𝒂𝒎 𝒁𝒆𝒓𝒐 𝑯𝒂𝒓𝒈𝒓𝒆𝒆𝒗𝒆𝒔 || The Umbrella Academy
FanfictionZero era il suo nome, ed era quello che pensava di valere senza l'unica persona al mondo per cui non provava disprezzo. L'ultima briciola del suo cuore sarebbe sparita se non fosse stato per il quinto dei suoi 7 fratelli, numero Cinque. Reginald Har...