1. El puto infierno

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Aveva immaginato molte volte come sarebbe stata la sua vita se mai qualcuno avesse fatto emergere i crimini che aveva commesso "in nome di uno scopo più grande". Tutte quelle torture illegali insabbiate e soffocate, tutto quel dolore. Erano davvero azioni necessarie per una causa maggiore? Sicuramente, dopo i recenti accadimenti, avrebbero scavato nel suo passato ed era certa che si sarebbero aggrappati a qualsiasi cosa pur di infierire sulla sua condanna. 

Per il momento, era stata accusata di sequestro di minore, corruzione, sequestro di persona ed intralcio alla giustizia. Non male per un'ex poliziotta. Ma sapeva che le autorità non vedevano l'ora di allungare la sua condanna di ancora qualche anno, giusto il tempo di garantirle una vecchiaia travestita di giallo. 

Appoggiò la testa contro la parete fredda della cella di isolamento dove si trovava da ormai quasi dieci giorni. Non ne era sicura, il tempo in quel luogo diventata quasi incalcolabile, scandito solamente dai rari e disgustosi pasti che le venivano serviti. 

Prima di essere portata a Cruz del Norte, era stata chiusa in uno scantinato per giorni, deprivata di cibo, sonno e luce. Un po' come aveva fatto lei con Rio, mesi prima. L'unica differenza, era che nessuno era mai venuto ad interrogarla, a cercare di cavarle un'informazione, o, semplicemente, a cercare una qualche forma di sadico divertimento. Era come se l'avessero messa in purgatorio, lasciando che fossero la disperazione ed il dolore a fare tutto il lavoro. 

Non aveva più visto Tamayo dal giorno della sua cattura. Non le aveva rivolto la parola, solamente uno sguardo di disgusto. Non aveva avuto l'opportunità di parlare con un avvocato, di difendersi davanti ad una corte attraverso un processo equo. Forse non l'avrebbe mai avuta. 

Una volta, durante uno degli ultimi giorni di reclusione e sofferenza, prima che la portassero a Cruz del Norte, Prieto era venuto a farle visita. Aveva uno sguardo che trasmetteva pena. "Chi semina raccoglie" aveva solamente detto. Alicia era così distrutta che non aveva avuto la forza di rispondere ma, in ogni caso, quella era un'affermazione a cui non c'era nulla da replicare. La dura e fredda verità di una vita trascorsa a seminare dolore per ... 

Per cosa? 

Era davvero la persona crudele e spietata che tutti erano convinti che fosse, o quella era solamente un'armatura che si era costruita durante tutta la sua vita, una corazza per difendere la vera Alicia dal resto del mondo? Per nascondere le proprie debolezze, piano piano, anche a sé stessa? 

Quel vortice di pensieri fu interrotto dalla pesante porta della cella di isolamento che si apriva, lasciando entrare una luce accecante. 

- Vestiti. - le intimò una voce femminile, mentre qualcosa di morbido la colpiva in viso. 

Intontita, guardò cosa le era arrivato addosso: una tuta gialla. Era giunto il giorno, dunque. Infilò con fatica il pantalone e la camicia, su cui erano cuciti il nome di quel fottuto inferno ed il suo numero di identificazione. 

- Forza Sierra, muoviti. Non ho tutto il giorno. - disse imperativa la stessa voce di poco prima. Alicia si sforzò di guardarla in volto, ma non riuscì a riconoscerla, anche se le pareva familiare. 

Quando ebbe finito, si alzò in piedi barcollante, appoggiandosi alla parete per non cadere. 

- Sei ancora ridotta male, eh? Mi dispiace. Alcuni dicono che non durerai una settimana in mezzo alle altre. Spero per te che si sbaglino e che tu sia molto meno forte di quanto credono. Altrimenti sarà davvero un inferno. - aggiunse la donna, con un tono ironico misto al dispiacimento. La prese per un braccio e la aiutò ad uscire, un po' spingendola ed un po' sorreggendola. 

In fondo al corridoio un secondino le diede un cestino con l'essenziale: delle lenzuola, della biancheria pulita, uno spazzolino. Sierra lo prese in mano, incerta se sarebbe riuscita a sorreggerlo per più di qualche secondo, ancora accecata dalla luce del giorno che filtrava da... da nessuna parte. Non c'erano finestre. Quella non era la luce del giorno, era una semplice luce artificiale. Quando era entrata in quel posto per ricattare Raquél e Zulema non aveva fatto caso alla tristezza della luce artificiale. 

Scosse il capo, cercando di trovare una lucidità che forse non sarebbe arrivata in tempo. Stava per fare il suo ingresso ufficiale a Cruz del Norte, in mezzo a decine di detenute spietate ed assetate di vendetta nei suoi confronti. E nessuna di loro, immaginava, sapeva del suo arrivo, il che avrebbe reso tutto ancora più sorprendente ed elettrizzante. 

Per non parlare di Zulema e Macarena che, se conosceva bene i suoi colleghi, erano state nuovamente recluse in quel posto. 

Davanti al cancello che si affacciava sul corridoio principale, il suo ultimo pensiero andò a Clara, sua figlia.

Come aveva potuto? Lasciarla sola per un'insulsa sete di vendetta nei confronti di Raquél. O forse, della persona che Raquél era riuscita a diventare, a differenza sua. Una persona realizzata, libera di essere sé stessa indipendentemente dal resto del mondo. 

Sentì gli occhi gonfiarsi di lacrime e diventare lucidi, ma impose a sé stessa che nessuna lacrima avrebbe mai il suo volto. Non aveva pianto durante tutte quelle settimane di sofferenza, non aveva pianto alla morte di suo marito. Non avrebbe di certo pianto davanti alla porta di uno stupido carcere, davanti a decine di detenute, diventando una preda agli occhi di tutte fin dal primo istante. 

- Apertura modulo 3, entra la detenuta Alicia Sierra. - disse la secondina ancora al suo fianco. Finalmente riuscì a riconoscerla, era Millàn. La squadrò, senza dire una parola, prima di rivolgere lo sguardo verso quella che ora sarebbe diventata la sua nuova casa. 

Da dietro le sbarre vedeva solamente tante donne che passeggiavano per i corridoi, chiacchierando, scherzando, fumando. Qualcuna era seduta, altre stavano appoggiate contro le pareti. Sembrava un luogo del tutto tranquillo, ma Alicia sapeva che non era così. Che dietro quell'apparente tranquillità venivano commessi ogni giorno crimini e violenze, costantemente insabbiati e nascosti dalle altre detenute o, a volte, dai secondini stessi, pur di mantenere una pace apparente agli occhi di chi vedeva quella comunità dall'esterno. 

Un brivido le corse lungo la schiena quando la sirena che segnalava l'apertura della porta risuonò e la marea gialla le piantò gli occhi addosso. 

Testa alta, sguardo fiero, si fece coraggio. 

Era sopravvissuta una vita intera. 

Sarebbe sopravvissuta anche stavolta. 


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Ciao ragaaaa!

Non vi ho fatto aspettare molto... La verità, è che appena finita 'no me jodas' non ce l'ho fatta e ho dovuto rimettermi a scrivere!

Ed ora, eccoci di nuovo qui ... Spero che questa terza parte vi piaccia. Sarà l'ultima, quindi spero anche di non deludervi.

Grazie infinite per tutto il vostro supporto!!

Ciao!

Gina.






No tengo miedo a llorar (sequel di -No me jodas-)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora