3. Odio, miedo o indiferencia?

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Per fortuna il vassoio non le aveva rotto il naso, anche se la violenza con cui Zulema lo aveva abbattuto sulla sua faccia le aveva procurato un taglio sullo zigomo. Nulla di grave, ma in quelle prime ore aveva potuto constatare come l'intero carcere la odiasse davvero, secondini compresi. Sapeva che incontrare Zulema non sarebbe stata una passeggiata, ma non si aspettava di ritrovarsi in infermeria dopo appena qualche ora dal suo ingresso.

Era stata assegnata ad una cella in cui vi erano solamente 3 detenute, nonostante il carcere fosse sovraffollato e le celle fossero da 6. A quanto pareva, in quella stanza non era mai stato inserito nessuno, motivo per il quale il suo ingresso non era stato esattamente ben accetto.

"Se non ti fai spostare in un'altra cella, ti facciamo spostare noi in isolamento", le avevano detto appena entrata. 

Era riuscita in poco tempo a scoprire i loro nomi e ad inquadrarle un minimo: quella che sembrava essere la capa della banda si chiamava Julia ed era l'unica da temere davvero in quella cella, mentre le altre due, sue tirapiedi, si chiamavano Rosa ed Angela e, a quanto sembrava, non erano dei fulmini di intelligenza, ne tanto meno sembravano forti fisicamente. Si era ripromessa, però, di non abbassare mai la guardia, ma aveva anche capito che per sopravvivere in quel luogo avrebbe dovuto farsi rispettare e che l'unico modo era di incutere timore. Se avesse colpito Julia, in qualsiasi modo e di fronte a tutto il carcere, forse avrebbe ottenuto un po di rispetto, anche se nessuna avrebbe mai smesso di guardarla male o di tramare contro di lei: era pur sempre una poliziotta e non poteva nascondere le azioni che aveva commesso a Cruz del Norte in quanto tale.

Entrò in cella e vide che il suo letto era stato completamente disfatto, le lenzuola strappate ed il materasso impregnato di qualcosa che era meglio non sapere cosa fosse.

Fece un respiro profondo, senza scomporsi, mentre le sue compagne di cella la fissavano ridendo ed a braccia incrociate.

Aveva un piano, ma doveva essere cauta. Il fallimento avrebbe rappresentato la sua fine, non poteva sbagliare. 

Raccolse le lenzuola, i cuscini ed il materasso e li rimise al proprio posto, rifacendo il letto il meglio possibile nonostante le condizioni e l'odore che sprigionavano. 

Quando ebbe finito, si voltò ed uscì, senza dire una parola. Non voleva mostrarsi debole, non voleva perdersi l'ora d'aria ma, soprattutto, non voleva rischiare di farsi scoprire passando del tempo in cella prima della messa in atto del suo piano. 

Andò in cortile e si sedette sola, osservando le altre detenute giocare goffamente a pallacanestro mentre il sole si apprestava a tramontare. 

La sua attenzione fu attirata da qualcuno che si avvicinava a lei. Si mise immediatamente sulla difensiva, temendo un altro attacco, ancor di più quando si rese conto che ad avvicinarsi era proprio Zulema, camminando con difficoltà a causa delle stampelle, ma pur sempre con uno sguardo fiero. Macarena, poco più lontano, sembrava farsi gli affari suoi, ma Alicia capì subito che stava facendo il palo ed avrebbe impedito a chiunque di interrompere la conversazione che stavano per intrattenere. 

Attese che Zulema si arrampicasse fino a sedersi al suo fianco, stremata dalla fatica e dal dolore che la gamba le procurava nonostante fossero passate già un paio di settimane. 

Alicia la fissava, sospettosa, allerta, ma aveva capito che non ci sarebbe stato nessun atto violento da parte di sua. Forse voleva solo minacciarla, o insultarla. Invece, con tutta sorpresa, si accese una sigaretta e, successivamente, gliene offrì una, senza dire una parola. 

- No, grazie, Zulema. - 

Zulema scoppiò a ridere e la osservò. 

- Fumare è l'unica cosa che ti può dare un senso di libertà in questo fottuto inferno. - le disse. 

No tengo miedo a llorar (sequel di -No me jodas-)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora