cambiare la storia.

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23.

"Siamo partiti da niente, davvero, da meno di zero.
Sul serio avevamo soltanto la voglia di fare qualcosa e cambiare la storia, per noi che veniamo dal buio più nero, ammiriamo davvero le luci dell'alba.
Ci siamo inventati una vita dal nulla, quindi tu adesso ti cuci le labbra."

Stringo la calda tazza di cappuccino e ne prendo un sorso, guardando uno stupido programma trasmesso in tv.
"Oggi torna Sofia, andrò a salutarla." Dice Giuseppe mentre aiuta a colorare Francesco. "Ti va di venire con me?"
"Sofia?" Chiedo confusa inarcando le sopracciglia.
"Oh si, non te ne ho mai parlato?"
Scuoto la testa.
"Strano." Dice meravigliandosi di se stesso.
"Non è molto strano, visto che ogni volta ti ho sempre riempito la testa dei miei problemi, non pensi?"
"Non mi hai riempito la testa, sono stato io a chiederti di parlarne ogni volta."
"Perchè lo fai?"
"Perchè faccio cosa?" Mi guarda.
"Perché ti prendi tanto cura di me?"
"Perché non sono una testa di cazzo, e perché non voglio vederti così, non lo meriti." Scrolla le spalle.
"Ti voglio bene."
Viene ad abbracciarmi." Ti voglio bene."
Si siede sul divano, rubandomi dei biscotti dalle mani.
"Allora, chi è Sofia?" Gli chiedo guardandolo.
"Sofia è una mia amica, abbiamo fatto le medie assieme e tutt'oggi abbiamo un buon rapporto, anche se poi abbiamo scelto indirizzi di studio diversi. É partita un mese fa, e oggi ritorna."
"Dov'è andata?"
"A Bari, con suo padre."
"Capisco."
"Le voglio bene, siete simili. È per questo che ti obbligo a venire con me nel pomeriggio, così posso presentartela."
"Sarà per un'altra volta."
"Sarà per questa volta, invece."
Scuoto la testa.
"Giulia, per una volta si fa come dico io."
"Giuseppe, davvero no, non ho voglia di conoscere altra gente ne di muovermi da questo divano."
Alza gli occhi al cielo. "Quando hai finito di imitare mia nonna, dimmelo."
Gli tiro uno schiaffo sul polso.
"Bene, allora ti aspetto tra due ore alla fine della strada." Si alza e ruba un altro biscotto, mandandomi un bacio volante e scompigliando i capelli di Francesco che lo guarda divertito.
Sbuffo sonoramente. "Ti odio!"
"Ciao tesoro." Urla dall'altra parte della casa, sbattendo la porta di casa.
"Il tuo amico è forte." Dice Francesco, prendendo un altro pastello consumato dal barattolo, mentre mi alzo svogliatamente per scegliere un qualcosa di decente dal mio incasinatissimo armadio e andarmi a lavare.

Giuseppe mi aspetta puntuale alla fine della strada.
"Tua nonna è qui." Annuncio sorpassandolo fingendo di essere arrabbiata.
"Spero che almeno mia nonna si sia messa la dentiera, non voglio fare brutte figure."
"Giuseppe!" Urlo rincorrendolo.
"Oh Dio ti prego, fermati." Si piega a pochi passi da me, affannato.
"E poi sarei io la nonna."
"Sh, cammina."
Arriviamo davanti ad una piccola casa pitturata di giallo, con un piccolo cortile in cui vi è un gazebo che copre un tavolo di legno con delle sedie. Giuseppe suona il citofono, e poco dopo la porta viene aperta da un uomo di circa quarant'anni con dei capelli scuri, e gli occhi verdi. Ci accoglie con uno splendido sorriso. "Ciao ragazzi."
Io e Giuseppe rispondiamo in coro, ed entriamo.
"Alfredo, lei è Giulia." Giuseppe mi indica all'uomo difronte a noi.
"Alfredo." Pone la mano, non spegnendo mai il suo sorriso, tanto da far sorridere anche me.
"Sofia è su, sta sistemando i numerosi vestiti che si è portata dietro."
Giuseppe annuisce sorridendo, e mi prende la mano trascinandomi sopra.
Vi è un corridoio largo e corto con solo tre porte, di cui l'ultima è la camera di Sofia. Giuseppe apre la porta di scatto, e si catapulta sulla bellissima ragazza girata dalla parte opposta del letto. Quest'ultima si gira confusa, e appena si accorge dell'idiota che la strattona e le fa il solletico sorride di un sorriso immenso. Ha dei lunghissimi capelli neri ondulati, gli occhi grigi con delle sfumature chiare dentro, e le labbra curvate così come quelle del suo papà. Si staccano e lei sembra solo ora accorgersi della mia presenza. "E tu scommetto che ti chiami Giulia!" Urla felice raggiungendomi, con le braccia spalancate.
"Esatto." Ricambio l'affettuoso abbraccio.
"Sei davvero bella."
"Oh, ti assicuro che lo sei anche tu." Le schiaccio l'occhiolino e ride.
"Mi piace questa ragazza, bravo Giuspi." Ritorna dal suo amico, che le cinge le spalle con il braccio.
"Giuspi?" Chiedo confusa.
"Oh, quando la smetterai di chiamarmi con quel dannato nome!" Urla esasperato, buttandosi come un sacco di patate sul letto.
"Fossi in te, smetterei di sperarci." Gli si avvicina, spostandogli le scarpe dalla trapunta lilla a pois. "Giuspi." Rimarca quel nomignolo.
"Sono stanco di questa vita." Dice piagnucolante Giuseppe dal letto, fingendo un pianto isterico e strappandosi quasi i capelli.
"Pensa chi ti sopporta!" Urla dal corridoio Sofia con in mano una decina di maglie che infila nella lavatrice.
Rido, guardando la faccia rossa del ragazzo sul letto.
"E io che ho dovuto farmi a piedi tutte quelle strade per venirla a salutare, pensa te."
"Guarda che ti sento, stupido idiota!" Urla Sofia.
"Brava, almeno sei a conoscenza dei miei sacrifici per te!" Imita la sua voce.
"Io non parlo così!"
"Io non parlo così!" Rifà il verso.
"Giulia diglielo che non parlo così, per favore, prendi una posizione!"
"Se ti azzardi a darle ragione, non ti parlerò più." Sussurra Giuseppe.
"Giuseppe, lei non parla così!" Alzo la voce tanto da farmi sentire.
"Che stronze." Si alza dal letto. "Addio, vado dal mio amico Alfredo." Esce dalla stanza, e scende lentamente le poche scale.
Mi dirigo nello stanzino da cui provengono gli insulti di Sofia, diretti sia a Giuseppe che alla lavatrice che non da verso di partire.
"Giulia, sai fare la lavatrice?" Mi fissa speranzosa, mentre è seduta a terra esasperata.
"Mh.. no."
"Dannazione!"
"È la prima volta che la fai?"
Scuote la testa. "Se non la farei, dovremmo comprare abiti nuovi ogni giorno."
"Non puoi chiedere a tuo padre?"
"Oh no!" Si alza. "Mio padre è capace solo di cucinare, mai commettere l'errore di attribuirgli tali incarichi."
Ridacchio. "Beh, allora penso che devi aspettare tua madre."
Sofia mi guarda di scatto, e poi cerca nervosamente di far ripartire per l'ennesima volta quella lavatrice che non ne vuole proprio sapere di accontentarla. "Magari." Sussurra.

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MATTIA.
Il rumore delle chiavi nella serratura, mi fa alzare il capo sperando che sia lei, ma quando vedo Luca guardarsi intorno spaesato, rigetto la testa fra le braccia. Sento il rumore dei suoi passi marcare il parquet di quella casa che ora sembra un posto offuscante, pieno di ricordi che mi danno la nausea. Si inginocchia a me. "Che cazzo è successo qui?!" Urla arrabbiato, da cui riconosco delle sfumature di spavento.
"Mattia rispondimi, merda." Si alza in piedi e va avanti e indietro, fermandosi tra i cocci di vetro. "Sono venuti qui?"
"Non è venuto nessuno."
"E..e allora chi ha fatto tutto questo?"
Ritorna davanti a me, indicandomi con un dito. "Sei stato tu?"
"Congratulazioni, hai vinto un sacco di merda."
Sbuffa sedendosi sul divano. "Che altro hai combinato?"
"La smetti di fare mio padre?"
"Oh scusa se sono preoccupato per te dal momento che hai una cicatrice sul braccio, la faccia da spavento e se nel tuo appartamento c'è del vetro rotto!"
"Vorrei scappare e dar fuoco a questa casa."
"Non puoi scappare da qualsiasi posto in cui fabbrichi momenti che poi diventano ricordi."
"Invece si, tanto la mia vita va avanti così. Sono così stanco, cazzo!"
"Mi dici cos'è successo, una volta per tutte?"
"Giulia."
Mi guarda sorpreso e terrorizzato. "Cosa..?"
"No, non c'entra niente con quello."
"Ah." Abbassa le spalle, e poggia sollevato la schiena al divano. "E allora cosa?"
"È venuta qui. Era preoccupata e mi ha chiesto che fine avessi fatto."
"Perché preoccupata?"
"Perché non mi sono fatto sentire, per l'ennesima volta."
"E perché?"
"Perché sono una testa di cazzo."
"Mi sorprende sempre questa tua consapevolezza, anche se nonostante ciò le merdate le fai sempre."
Mi passo la mano su quella grossa cicatrice che ricopre il mio braccio e quasi urlo per il dolore bruciante.
"Le ho detto un sacco di cazzate, in realtà."
"Tipo?"
"Le ho fatto credere che l'ho presa per il culo, per fargliela pagare di quello che m'ha fatto passare."
"Ah dio, Mattia sei veramente un coglione."
"Lo so, ma dimmi c'era un altro modo per allontanarla da me?"
"No, e non doveva esserci. Non puoi allontanarla, proprio ora che eravate partiti da zero."
"Non dovevamo partire proprio."
"Perché sei voluto partire, allora?"
Lo fisso, capendo dove vuole andare a parare, ma so che va a parare nel punto giusto, perché ha ragione.
"Non senti le farfalle nello stomaco quando la vedi?"
"Si."
"E il cuore che batte forte, lo senti?"
"Si, lo sento."
"L'ami a tal punto da rinunciare a lei?"
"Si."
"L'ami a tal punto da rinunciare alla tua felicità?"
"Si."
Mi rivolge uno sguardo compassionevole, come se fossi un cucciolo bastonato. Prende la scopa e mi aiuta a raccogliere quei cocci rotti di vetro.

Sei una tempesta non prevista.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora