22.
"Le scelte si fanno in pochi secondi e si scontano per il tempo restante.
Era rimasto impassibile ed in silenzio, ad aspettare che fosse troppo tardi."Mi massaggio la nuca, e guardo fuori dalla finestra con occhi senza espressione. Non ho ancora avuto il coraggio di scendere giù e dire a Francesco e a mia madre che mi dispiace. Non ho mai avuto il coraggio di fare niente in realtà, neanche quella volta in cui mio padre fu portato nella sala di rianimazione. Non volli vederlo, anche se andavo tutti i pomeriggi in ospedale dalle tre fino alle cinque, seduta su una delle sedie verdastre che si trovavano nei corridoi lunghi e tanto stretti da non poter far passare neanche la speranza. Non ho mai avuto il coraggio di dire a mia madre che, assieme a Francesco, è la cosa più bella che ho sempre avuto e che mi è rimasta. L'unica cosa stabile nella mia vita. Sono le quattro del mattino, ed io non ho chiuso occhio se non per permettere alle lacrime intrappolate dentro, di uscire fuori. Sono le quattro del mattino, e provo un senso di angoscia già assaporato, e al quale non volevo più appartenere. Sono le quattro del mattino, e il mio telefono non vibra.
***
"Giulia?" Una mano mi scuote delicatamente.
Apro gli occhi stordita, e volendo spostarmi quasi cado dalla scrivania.
Giuseppe, mi aiuta a scendere e poggia una busta con dentro un cornetto ed un bicchiere di latte macchiato, sul comodino. -"Come stai?"
Raccolgo i miei capelli in uno chignon disordinato e mi siedo sul letto. -"Indovina."
"Ohm, il tuo aspetto parla da se." Mi affianca. -"Ho visto tua madre, è preoccupata per te, ma anche assai arrabbiata."
"Immagino."
"Non ti ha richiamata?"
Scuoto la testa.
"Perché non provi ad andare da lui?"
"Si, cosi gli spacco la faccia."
"Almeno non stai così. Preferisco veder lui con dei lividi in faccia, che te con dei lividi dentro."
"Mi accompagneresti?" Gli chiedo.
Mi guarda, e annuisce.
Quando busso alla porta, ovviamente non mi aspetto nessuna risposta, ma ovviamente mi sbaglio. Ci mette un po' ad aprire, e quando lo fa, ha in mano una bottiglia di birra e formula un sorriso incosciente. -"Ehy, ma chi si vede!" Grida buttandosi addosso. E' praticamente ubriaco, ed ha delle grosse occhiaie sotto gli occhi. Lo lascio appoggiare su di me, chiudendo la porta. Guardo come inciampa nei suoi stessi passi, e come borbotta cose incomprensibili.
"Sei arrabbiata? Che ti è successo?" Si avvicina passandomi la mano sulla guancia.
Gli sposto la mano ed indietreggio da lui,fino a toccare il muro, ma lui non sembra fregarsene e mi segue mettendosi dinanzi a me. -"Giulia." Soffia il mio nome piano. Mi accarezza i capelli, e gioca con delle ciocche. "Smettila." Gli dico infastidita, togliendogli la mano dai capelli.
"Che ce, eh? Ti sei già stancata di me!" Urla improvvisamente, tanto da spaventarmi.
"Dove sei stato?" Cambio discorso.
"Non cambiare discorso." Urla.
"Mattia, non t'ho detto niente. Se sono qui è perché non ti sei nemmeno degnato di chiamarmi, dopo esserti accorto delle mie numerose chiamate. Volevo sapere come stavi."
"Oh si, le tue pallose chiamate." Borbotta allontanandosi. "Se sei venuta qui per farmi la morale, puoi anche andartene. Non sei mia madre, ed io sto meglio di te." Dice riprendendo la bottiglia dal tavolo. -"Non lo vedi che sto meglio di te?" Urla barcollando, e lancia la bottiglia contro al muro, in un punto distante pochi centimetri da me. Mi sposto impaurita, e lo guardo accasciarsi a terra e infilarsi le mani tremanti nei capelli. Sul braccio destro scoperto ha una grossa cicatrice, che probabilmente ha fasciato con un panno vecchio. Mi avvicino lentamente, temendo una sua reazione. Gli tolgo le mani dai capelli e le tengo strette, ma lui le ritira furiosamente. "Non voglio più vederti." Ha gli occhi pieni di lacrime, mentre guarda i cocci rotti di vetro sul pavimento.
"Mattia, adesso basta. Che cazzo c'hai?" Non sto capendo molto, ho la mente offuscata dopo questa frase, e non capisco neanche il suo cambiare umore improvviso.
Non risponde.
Lo scuoto nervosamente. "Dimmi che t'ho fatto, non sto capendo più niente, Mat." Alzo la voce.
"T'ho detto vattene." Ha il tono deciso, convinto, e ciò mi spaventa.
"Non me ne vado, se prima non mi dici che ti prende."
"Mi prende che non ti sopporto più, okay? Mi hai scocciato, avresti dovuto capirlo. Sei pesante. Ti lamenti. Non mi lasci un attimo vivere. Hai visto che non ti ho risposto, e ti presenti qua, che coraggio però." Sorride compiaciuto.
Sto provando una sensazione orribile, e penso lui se ne sia accorto. "Ops, come ci si sente a stare dall'altra parte, eh piccola Giulia?"
"Sei.. sei uno stronzo!" Urlo spingendolo. "Sono stata tutto il tempo col telefono in mano, aspettando una tua chiamata, non sapevo più che pensare mentre tu te la spassavi chissà dove, chissà con chi."
Rimane a guardarmi con un ghigno sulla faccia. "Oh andiamo, avrai abbastanza forza da superarlo, come me. Potevo approfittarne di più, ma la mia stupida bocca non ha voluto star zitta." Ride. Ride mentre mi vede piangere e, va ad aprire un'altra bottiglia di birra. Prendo tutta la mia forza, per non sbottare in un pianto isterico e vado via, chiudendo la porta di legno di casa sua e chiudendo la porta di ferro tra noi.
***
Mi scuso per gli eventuali errori, e per questo capitolo che non è venuto come volevo.
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Sei una tempesta non prevista.
Genç KurguVorrei dirti che l'estathè lo prendo sempre alla pesca, e sulle patatine non metto sempre il ketchup, vorrei dirti che quando piove di solito dimentico l'ombrello, vorrei dirti che mi giro sempre le dita tra le mani quando sono nervosa e che se rido...