𝖉𝖎𝖊𝖈𝖎: 𝖈𝖔𝖒𝖇𝖚𝖘𝖙𝖎𝖔

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(trigger warning: aggressione, stup*o.)

combustio: bruciare.

Elara poteva sentire il sangue scenderle giù alla gola.

Il pavimento di pietra era freddo contro la sua pelle, era arricciata in sé stessa, in una posizione fetale, le sue braccia intorno alle sue ginocchia portate al petto.

Era buio nella cella—non aveva senso tenere gli occhi aperti perché non riusciva comunque a vedere niente—e c'era qualcosa di bagnato e appiccicoso intorno a lei.

Era passato così tanto da quando non vedeva più nessuno. Le visite di Bellatrix erano state brutalmente interrotte e da allora Mulcibar scendeva per soffocarla e scaraventarla al pavimento, sbattendole la testa su di esso fin quando non usciva il sangue, nessuno era andata a vederla.

Quanto tempo era passato? Non riusciva nemmeno a dirlo. Avrebbe potuto essere qualsiasi cosa, da un giorno a un anno.

No. No. Lei aveva i pasti.

Ogni giorno appariva magicamente del pane alla stessa ora e lei l'avrebbe dovuto usare per calcolare i giorni che passavano ma la sua mente era completamente distrutta, spezzata in mille pezzi.

Non riusciva a dare senso a niente—non dove fosse, com'era finita lì, nemmeno i frammenti di memoria che persistevano nel suo cervello.

Poteva sentire il suo corpo morire, lentamente. Ogni giorno in quella cella scura il suo corpo diventava sempre più debole, le sue ferite iniziavano a sopraffarla. Sarebbe morta molto tempo prima se non fosse per il pane che le deva un po' di sostanza.

L'acqua appariva più frequentemente ma non sapeva quante volte al giorno. Sapeva solo che non appena sentiva il 'pop' della magia, lei raccoglieva l'energia rimasta e strisciava verso la porta per ingoiarlo, non risparmiando nemmeno una goccia.

Il suo cervello sembrava essere affondato in un posto senza ritorno. Voleva che finisse- avrebbe dovuto soccombere ad una vita di quelle torture senza fine?

Era meglio di un Mangiamorte che tornava indietro per torturarla, suppose.

Quel pensiero era maledetto. Non appena si formò nella sua testa, poteva sentire degli stivali scendere verso la sua cella, voleva rannicchiarsi ma non aveva la forza.

Qualcuno stava arrivando.

Non poteva nemmeno capire se i suoi occhi erano chiusi o aperti. Da quando Mulcibar le aveva spaccato la testa, la sensazione nelle sue orecchie e nei suoi occhi era distorta e qualche volta, e  vedeva cose che non potevano essere vere.

Come una piccola ragazza con capelli crespi e ricci, che la salutava da un tavolo di una biblioteca. O di una più alta con capelli oro che arrossiva a qualcosa che aveva detto un tipo rosso. O di un'altra ragazza ramata, distesa tra le sue braccia, occhi senza vita.

La serratura scattò e la porta di ferro si aprì. La luce entrò dentro ed Elara realizzò che i suoi occhi erano aperti e si affrettò a chiuderli.

"Che vista spettacolare"
La sua voce grattava nelle sue orecchie e questa volta, radunò abbastanza energie da farsi indietro di qualche centimetro—anche se non c'era altro posto dove andare.

"Ora, dolcezza" tubò, aggirandosi più vicino e lei tenne gli occhi chiusi. "Non andrai da nessuna parte."

Un rantolo le uscì dalle labbra quando lui le prese il braccio, forzandola a sedersi e lei cercò di colpirlo con le gambe, i suoi occhi scattarono aperti.

ᴛʜᴇ ɢɪʀʟ ᴡʜᴏ ʟᴏꜱᴛ ɪᴛ ᴀʟʟ/ᴛʀᴀᴅᴜᴢɪᴏɴᴇ ɪᴛᴀʟɪᴀɴᴀDove le storie prendono vita. Scoprilo ora