La rigogliosa e verde erba dei campi era piegata da forti raffiche di vento, e nessun animale pascolava nei recinti: le pecore erano state chiuse negli ovili e i cani erano scappati a casa, impauriti dal tuonare del cielo.
Solamh parcheggiò in un minuscolo parcheggio sterrato e, prima di uscire dall'abitacolo, mi infilai la giacca vento e mi calai sulla testa il cappuccio, cerando inutilmente di sfuggire all'aggressione delle violente folate di vento.
«Dov'è questo maledetto posto?» sbottò Declan, tirando su fino in cima la lampo della giacca di pelle della tenuta dei guerrieri.
«Lassù» esclamò Saoirse, indicando in un punto distante qualche centinaio di metri.
Del vecchio monastero non erano rimaste che rovine: arroccata sulla sommità della collina e circondata da alti e incombenti pini vi era una costruzione di sassi, raggiungibile solamente mediante un sentierino sterrato che si inerpicava fra arbusti, cespugli, e alberi dalle ampie fronde.
Il rudere pareva in parte crollato: quella che avrebbe dovuto essere la torre del campanile non era altro che un pinnacolo spezzato, e anche un paio di muri della costruzione non sembravano intatti.
«Forza» ci esortò Daghain e uno dietro l'altro, in fila indiana, ci incamminammo su per la collina.
Il vento fischiava fra le fronde degli alberi, producendo un sibilo sinistro che mi fece accapponare la pelle. Sotto le rigogliose chiome, la luce, già scarsa a causa dell'imminente temporale, sembrava completamente assente: distinguere le irregolarità del terreno era praticamente impossibile, infatti ben presto inciampai in una radice sporgente e caddi rovinosamente a terra, pestando malamente il sedere.
Declan, che era dietro di me, mi aiutò immediatamente a rialzarmi, ma una risatina maligna proveniente dall'ombroso sottobosco ci fece bloccare entrambi di colpo.
«L'hai sentito anche tu?» mi sussurrò Declan, e il suo respiro caldo mi sfiorò la guancia.
Annuii piano e, con espressione sgomentata, rimasi a guardare centinaia di occhi rossi e malvagi comparire fra gli arbusti.
«Ragazzi...» esclamò a mezza voce Declan, cercando di richiamare l'attenzione degli altri senza irritare i folletti, ma fallendo miseramente.
«Cos'abbiamo qui?» cantilenò infatti una voce gutturale, e una creaturina alta circa trenta centimetri si lasciò penzolare a testa in giù dal ramo di un faggio.
Il folletto aveva lunghe orecchie a punta, con ciuffi di peli grigi che sporgevano dalle estremità, e un berretto ottenuto da una grossa foglia di acero rosso calcato sulla testa, a coprirgli i crespi capelli sporchi.
Indossava una casacca sgualcita dalla quale sporgevano i suoi arti lunghi e sottili, di un cupo verde muschio. Le sue unghie erano acuminate come veri e propri artigli, e in quel momento erano conficcati nel ramo dell'albero dal quale egli si stava dondolando.
«Umani?» domandò di nuovo, fissandomi dritto negli occhi con sguardo incuriosito, ondeggiando le braccia verso il terreno e annusando prepotentemente l'aria.
«No, non siamo umani» rispose Rìan, avvicinandosi ad ampie falcate. Si fermò di fronte al folletto e, senza distogliere lo sguardo dalle sue iridi rosse come il sangue, aggiunse: «Siamo in visita, non vogliamo rogne».
Le sue parole, però, furono accompagnate da un forte fischio e, prima che me ne potessi rendere conto, iniziarono a piovere folletti dalle cime degli alberi.
Il primo atterrò sulla testa di Rìan e, per attutire la caduta, arpionò i suoi lunghi capelli biondi e glieli strattonò con forza, causando una violenta imprecazione da parte dell'uomo.
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Sangue di Discendente
FantasySecondo volume; seguito di "Stirpe di Strega". SPOILER SUL PRIMO LIBRO (da non leggere se non ci si vuole rovinare il finale del primo!): Rowan O'Brien è stata rapita. Il Generale delle Fate l'ha attirata con l'inganno e intrappolata nel Regno Sotte...