«Dopo questo lauto pranzo, vorrei proporre un interessante gioco alla mia... prigioniera» esclamò Finvarra non appena avemmo finito di pranzare, indugiando sull'ultima parola e facendomi chiaramente intuire che mi riteneva più un'ospite sgradita che un bottino di guerra.
«Gioco? Che tipo di gioco?» domandai, non fidandomi affatto del tono goliardo con il quale il sovrano mi aveva fatto la sua proposta.
Un ghigno comparve sul suo volto incantevole: «Mi sembravi decisamente informata sulle usanze del mio popolo... vuoi forse dirmi che non conosci la mia passione per gli scacchi?» domandò con voce melodiosa.
«Scacchi... certo, che bello» mormorai, ma un principio di angoscia mi strisciò nelle viscere: le poche volte che avevo giocato a scacchi, quando ancora andavo alle elementari, mi ero fatta stracciare brutalmente da Keira e addirittura da mia cugina, che aveva quattro anni in meno di me.
«Sai...» mormorò Finvarra, «...Io ho due passioni: gli scacchi e i segreti. Per conciliare le due cose, ho inventato un brillante gioco: sfido un mio suddito a scacchi e, ogni qualvolta io mangio una sua pedina, ho il diritto di porgli una domanda... anche personale. Lo stesso vale il mio sfidante, ovvio, ma è raro che qualcuno riesca a mangiarmi più di dieci pezzi. Modestamente, sono il miglior giocatore di scacchi del mondo» gongolò, orgoglioso.
Aggrottai le sopracciglia: «E allora perché mai dovrei giocare contro di te?» domandai, non morendo dalla voglia di spiattellare tutti i miei segreti ad una creatura infernale come il sovrano delle fate.
«Perché lo decido io, strega. Ricordi? Sei ancora una prigioniera e, se io voglio giocare a scacchi con te, tu mi accontenti. Non c'è nulla di irrispettoso in una tranquilla partita fra amici, non credi?» domandò, ghignando.
«Non usare mai più quella parola in mia presenza» borbottai, irritata.
«Quale parola? Amici?» rise Finvarra, «Sei quasi divertente, giovane strega. Sei una maledetta piantagrane e sei fin troppo sveglia per i miei gusti, ma sei decisamente...».
Sfortunatamente – o forse no – non seppi mai come Finvarra aveva intenzione di concludere la frase, in quanto il sovrano delle fate fu interrotto da una voce sottile e dolce come il miele: «Non mi avevi detto che avremmo avuto ospiti, sposo mio».
A parlare era stata una figura eterea, comparsa da chissà dove, che in quel momento si trovava alle spalle di Finvarra, con le mani candide ed eleganti strette in grembo.
Indossava una tunica lunga fino ai piedi, viola ametista, con un enorme spacco laterale che lasciava intravvedere la pelle alabastrina della coscia, e al suo collo spiccava una collana all'apparenza pesantissima, con una grossa pietra viola proprio nel centro.
La fata aveva una lunga chioma castana e i riccioli del colore del cioccolato fuso le sfioravano la vita. I suoi occhi erano immense gemme verdi, luccicanti come due smeraldi, e le sue labbra erano voluttuose, di un pallido rosa pesca.
«Oona, sposa mia... oggi sei una visione» mormorò Finvarra, voltandosi verso la moglie.
«Lo sono sempre» ribadì la fata con un ghigno perverso che cancellò completamente l'idea che mi ero fatta di lei, ovvero quella di un tenero agnellino finito nelle fauci del lupo cattivo.
Oona si chinò sulla sedia del marito e graffiò la sua guancia barbuta con le sue unghie lunghe e laccate di viola, voltando il volto di Finvarra verso di sé. Con un sorrisetto di maligno trionfo si appropriò delle sue labbra e io distolsi lo sguardo, non volendo osservare oltre.
«Vieni con me, sposo mio...» mormorò la regina, arpionando Finvarra per la tunica, e il sovrano, proprio come un burattino, si lasciò guidare da lei verso una porta sul fondo della sala dei banchetti.
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Sangue di Discendente
FantasySecondo volume; seguito di "Stirpe di Strega". SPOILER SUL PRIMO LIBRO (da non leggere se non ci si vuole rovinare il finale del primo!): Rowan O'Brien è stata rapita. Il Generale delle Fate l'ha attirata con l'inganno e intrappolata nel Regno Sotte...