Una settimana e un giorno dopo la triste scoperta sull'identità del possessore della Spada (triste per me, s'intende: Grania, da che l'aveva saputo, se ne andava in giro con un sorriso a trentadue denti stampato sul volto, gongolando manco avesse vinto alla lotteria), io e Declan ci stavamo incamminando verso la casa di Rìan.
Erano quasi le dieci di una notte senza luna, e il villaggio era avvolto da uno spesso manto di tenebre. Le stelle brillavano in alto ma la loro luce, quella sera, appariva fredda, quasi maligna.
Era ormai metà maggio e il clima cominciava a farsi un po' più caldo; nonostante ciò, rabbrividii nel maglione, cercando invano di proteggermi dalle sferzate fredde provenienti dall'oceano, che mi si infilavano sotto i vestiti come spiriti dispettosi.
I nostri passi erano rapidi e silenziosi ed io mi sentivo un po' come quando, da bambina, mi veniva chiesto di scendere in cantina per prendere il vino: non appena spegnevo la luce di quell'angusto seminterrato, mille occhi si spalancavano nel buio dietro di me ed io cominciavo a correre, cercando di fuggire da qualcosa che, pur sapendo non esistesse, riuscivo comunque a percepire.
Più di una volta dovetti reprimere l'impulso di voltarmi per cercare quella cosa che sentivo alle calcagna, ma alla fine, alle dieci in punto, io e Declan ci trovavamo sulla veranda della casa di Rìan, lui un po' più avanti, con il dito premuto sul campanello, io appena più indietro, con le mani infilate nelle tasche dei jeans e lo sguardo basso, fisso sullo zerbino davanti alla porta.
Dopo qualche istante di attesa, ci venne ad aprire Rìan che, dopo aver borbottato un "Venite, accomodatevi", ci scortò in salotto, dove ci ritrovammo a fissare più di una faccia conosciuta.
Sui divani della sala, infatti, vi erano accomodati Solamh e Neacht, intenti a chiacchierare fitto fitto; poco più in là, invece, accoccolata su una poltrona di velluto verde vi era Grania, i cui occhi nocciola erano fissi sul luminoso schermo del cellulare.
Infine, il mio sguardo incredulo si posò sulla figura di Daghain che, dritta come un fuso, se ne stava davanti alla libreria, sbirciando qua e là i volumi posti sugli scaffali.
«Nonna?!» sbottai, «Che diavolo ci fai tu qui?» borbottai in tono inquisitorio, lanciando poi un'occhiata di sbieco a Rìan.
«Oh, nipote» mi salutò la vecchia, «Io sono qui per la compagnia» mi prese in giro. Dopo qualche istante di pausa, mi rimbeccò: «Che domanda sciocca, Rowan. Perché credi che io sia qui? Secondo te io, Daghain O'Moore, sono talmente scema da non capire quando le streghe del mio clan stanno preparando un'Evocazione in grande stile?».
Rìan tossicchiò e, in tono piuttosto scocciato, borbottò: «Ti ho invitata io, Daghain, e l'avrei fatto anche se tu non fossi venuta a ficcare il tuo brutto naso nei miei affari».
«Qualunque affare che coinvolge i Daoine Sidhe è un affare mio, ragazzino» gracchiò mia nonna, scrutandolo con i freddi occhi verde giada ridotti a due punte di spillo.
Rìan sbuffò impercettibilmente, ma non controbatté.
«Ora che ci siamo tutti...» cominciò, «...possiamo cominciare. Seguitemi, per favore» mormorò e, dalla compostezza delle sue parole e dal suo tono contrito, mi resi conto che, quella sera, Rìan non era per nulla a suo agio.
Gli andai dietro come un cagnolino, ma Solamh mi afferrò per l'avambraccio: «Ehi» mi salutò con un luminoso sorriso sul volto rilassato, «Lo sapevi e sei riuscita a non dirmi nulla?» mi prese in giro affettuosamente.
Un calore diffuso mi scaldò le guance, e immaginai di essere arrossita: «Io... ecco... Rìan aveva detto di tacere» bofonchiai, vagamente a disagio.
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Sangue di Discendente
FantasiSecondo volume; seguito di "Stirpe di Strega". SPOILER SUL PRIMO LIBRO (da non leggere se non ci si vuole rovinare il finale del primo!): Rowan O'Brien è stata rapita. Il Generale delle Fate l'ha attirata con l'inganno e intrappolata nel Regno Sotte...