Confessioni

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Mi svegliai sentendomi osservata. Sbattei le palpebre e mi sfregai una mano sugli occhi, cercando di riconnettermi al mondo. La stanza era avvolta nell'oscurità, e una figura solitaria era immobile davanti alla mia brandina.

«Chi... chi c'è?» sbadigliai, tirandomi a sedere e assottigliando lo sguardo.

L'uomo fece un paio di passi in avanti e, quando entrò nel cono di luce lunare che si riversava nella stanza, io lanciai un urlo terrorizzato.

Davanti a me c'era Lúg in tenuta da battaglia, con la spada stretta ad un fianco e un rivolo di sangue luccicante che gli scorreva placidamente lungo un braccio.

Il Generale fece un paio di passi verso di me, ma io mi coprii gli occhi con le mani e strillai, con quanto più fiato avevo in gola: «Sta' lontano da me! Vattene, vattene!».

Improvvisamente, la porta della stanzina si spalancò e le luci furono accese.

«Tesoro, cosa c'è? Che succede?» domandò la voce di mia madre, ed io mi guardai intorno spaesata.

Non ero più nel bugigattolo buio e polveroso che occupavo nel regno delle fate e non stavo dormendo in una brandina dura e sporca: ero in camera mia, nel mio accogliente letto da una piazza e mezza, insieme a Moira e a Laidhgeann.

I miei occhi corsero ai piedi del letto e, invece che Lúg pronto ad uccidermi, trovai un Rìan dallo sguardo basso e colpevole.

«Che diavolo ci fai tu, qui?» tuonò Laidhgeann, fissando il figlio con ira, «È ancora sotto shock, non puoi piombarle in camera nel cuore della notte coperto di sangue!» lo rimproverò ancora, squadrando la superficiale ferita che il Guerriero aveva sull'avambraccio superiore.

«Per la miseria, ma cos'hai in quella testa, Rìan? Sei ubriaco?! Dovrai darti una regolata, prima o poi!» rincarò, e io mi stupii nel sentire Laidhgeann parlare al figlio in quel modo: Rìan era sempre stato motivo di orgoglio, per lui... fino a quel momento.

«Io...» mormorò Rìan, spaesato, «Mi dispiace» sussurrò, avviandosi verso la porta con la testa bassa.

«No, resta» lo fermai, mettendomi a sedere.

«Credevo... credevo tu fossi Lúg, è per quello che mi sono spaventata. Lui... lui mi buttava giù dalla brandina ogni qualvolta Finvarra desiderava vedermi» spiegai, lisciando il lenzuolo pulito con espressione piuttosto imbarazzata.

«Voi non l'avete visto... non l'avete visto» balbettai, cercando di nascondere il tremito che ancora non aveva lasciato le mie mani.

«Ma Rìan sì» aggiunsi piano, e poi, fissando solo le grigie iridi del ragazzo, così simili eppure così diverse da quelle del Generale, proseguii: «Tu l'hai visto, quel giorno alla grotta. Quell'essere... era Lúg, il mio carceriere. Il Generale dell'esercito, il braccio destro di Finvarra... il mio incubo» esalai piano, pentendomi immediatamente di quella confessione non appena vidi gli occhi verde giada di mia madre riempirsi di lacrime.

«Ti ha... ti ha fatto del male, Rowan?» sussurrò Moira, stringendo con forza la mia mano e lasciando che scorgessi tutte le profonde paure che si celavano dietro quella così semplice domanda.

Una risata roca e priva di divertimento lasciò le mie labbra secche: «Oh, l'avrebbe sicuramente fatto, se solo avesse potuto...» esalai e, fissando gli occhi al soffitto, tornai con la mente a tutte le volte in cui il Generale non era riuscito a trattenersi dal colpirmi, nonostante il Patto di Sangue.

I miei occhi rimasero fissi in un angolo e, nella vernice bianca del muro, rividi i suoi crudeli occhi d'argento promettermi sofferenze inimmaginabili: «Mi avrebbe sicuramente torturata...» mormorai, con un ghigno inquietante che si apriva via via sul mio volto, «...Oh, l'avrebbe sicuramente fatto... penetrandomi con i canini la carotide e godendo mentre mi succhiava la vita dal corpo» mormorai, esprimendo a parole ciò che avevo letto nelle pupille del Generale in più di un'occasione.

Sangue di DiscendenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora