La terra promessa

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Dagda non si fece vedere per un bel po'.

Ogni volta che chiudevo gli occhi speravo con tutta me stessa di ritrovarmi in un sogno indotto dalla sua magia, ma per ben tre volte dovetti accontentarmi di inutili incubi che avevano come protagonisti Finvarra, i cui occhi non facevano che perseguitarmi, e Lúg, che ogni volta mi terrorizzava a morte con le sue urla e le sue maniere brusche.

Il Sovrano mi sfidò per altre due volte a scacchi, e in entrambe le occasioni fui brutalmente sconfitta. Ne approfittai per scoprire più dettagli possibili sulle fate, ma mi resi ben presto conto che, se Dagda non si fosse fatto vivo al più presto con un piano di salvataggio, sarei impazzita nel Regno delle Fate.

Quando vivevo nel mio mondo non me n'ero mai accorta, ma gli orologi erano importantissimi nella mia vita. A casa, guardavo molto spesso lo schermo del cellulare solo per leggere l'ora e, ancora più spesso, mi rivolgevo alle lancette del mio orologino da polso, anche solo per noia. Se poi non ero in possesso di sveglie, mi affidavo al sole: indicativamente, la luce mi aiutava ad orientarmi nel tempo.

Nel Regno delle Fate, però, il tempo non esisteva: non c'erano finestre, né pendoli o orologi, ed era quindi impossibile capire in quale momento della giornata ci si si trovasse... sempre che di "giornate" si potesse parlare. Le fate, infatti, non seguivano uno stesso ritmo: mentre alcune dormivano, altre pranzavano con l'arrosto e altre ancora bevevano il tè con i biscotti. Ai miei occhi tutto ciò appariva folle, perché non avere un ritmo era completamente contro la mia natura di essere umano.

Fu per questo che persi quasi da subito il senso del tempo: ci pensai stesa sul letto, mentre aspettavo che il sonno mi cogliesse, e mi resi conto che non avevo la minima idea di quanto fosse passato da che ero giunta nel Mondo Sotterraneo.

Inizialmente non diedi molto peso allo scorrere – o non scorrere – del tempo, ma poco dopo mi resi conto di soffrirne: cominciai a controllare ossessivamente il quadrante del mio orologio, le cui lancette erano sempre ferme sulle dieci e ventidue, e, quando ero sola, iniziai a contare i secondi, cercando di scandire in qualche modo le mie giornate.

Mentre attendevo impazientemente qualche segno da parte di Dagda, lessi svariati libri e mi aggirai come un fantasma per il Regno, cercando di raccattare più informazioni possibili.

Un giorno, mentre passeggiavo con la testa fra le nuvole nel vano tentativo di arginare l'estrema noia a cui ero soggetta da che ero stata imprigionata, mi ritrovai in un'ala del regno che non avevo mai visitato.

In realtà, stavo cercando di raggiungere la sala del banchetto per soddisfare un certo languorino, e mi accorsi di essere nel corridoio sbagliato solo quando notai quanto l'illuminazione fosse debole e rada. Quando mi voltai per tornare sui miei passi, però, mi ritrovai di fronte a due corridoi identici.

«Merda!» sbottai, pestando un piede per terra con frustrazione.

«Stavo venendo da... da lì. Sì, credo da lì. E diamine, ci sarà in giro qualcuno a cui chiedere indicazioni!» strillai, immensamente seccata dal Regno delle Fate e dalle sue stranezze.

A passo di carica, marciai nella direzione che credevo fosse corretta, cercando invano di riconoscere qualche porta o corridoio per riportarmi in un'ala conosciuta.

Proseguii per una decina di minuti a zonzo, imboccando corridoi a caso, fino a quando mi ritrovai di fronte ad un antichissimo portone in legno, con un singolo battente a forma di ferro di cavallo.

Mi guardai intorno con circospezione e, vedendo che nessuno era nei paraggi, diedi libero sfogo alla mia curiosità. Spinsi il pesante portone che, cigolando, si aprì solo di qualche centimetro.

Sangue di DiscendenteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora