VII

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(Amore)

Uscii da quell'ala sbattendo i piedi, lasciandomi alle spalle i borbottii delle donne e quelle dei rimanenti principi, scandalizzati dalla mia reazione. Avevo assimilato troppe informazioni e avevo bisogno di tempo per smaltirle: avevano accusato il Nido di essere dalla stessa parte dei traditori, che ai piani alti si nascondesse un impostore e lo trovai così assurdo. Il generale Joseph mi aveva vista crescere, mi aveva allevata come una figlia adottiva e mi aveva insegnato a combattere. James e Joachlin erano sempre in prima linea in ogni battaglia, non avevano mai risparmiato nessuno e quella missione era stata pianificata da loro.

Amore cercò di afferrarmi un polso e farmi fermare, costringendomi a restare in quella stanza fino alla fine per rispettare gli altri principi. Il problema era che, seppure fossero dei Demoni nobili, non valevano niente per me.

Non udii Mammon, ma scattò al mio fianco in un lampo e io saltai contro il muro. «Lasciami in pace. Ho chiuso» sbottai fuori di me, puntandogli un dito contro il petto e spingendolo via.

Mi bloccò la strada. «Rilassati e parliamone.»

«Parla tu da solo. Io me ne vado» ripetei ancora, scivolai sotto il suo braccio e proseguii in avanti.

Salii la stessa scalinata da cui eravamo arrivati. Avvertivo i suoi passi dietro i miei, più lunghi e pesanti. Amore ci corse incontro. Mammon dovette dirle qualcosa mentalmente perché si fermò e tornò indietro senza parlare. Sollevai il vestito dalle caviglie e aumentai il passo, cercando di sciogliermi il nodo alla fusciacca.

«Enola, dove pensi di andare?» mi riprese l'uomo, indurendo il tono di voce.

«Ovunque.» Girai a destra in un corridoio e Mammon si fermò, capendo che non stessi seguendo alcuna direzione logica e che volessi solo allontanarmi da lui. «Lontano da te.»

«Enola, torna qui» mi ordinò.

«No.»

Mi innervosii così tanto in quel momento che mi fermai di botto, girai la cintura e strappai il nodo. Respirai immediatamente meglio, avendo lo sterno non compresso. Un Demone svoltò un angolo e rimase a fissarmi con aria scomposta.

Allargai le braccia. «Spogliami.»

Il mio tono non era affatto scherzoso e gli bastò un singolo sguardo di Mammon a farlo sgusciare dalla parte opposta, evitandomi. Imprecai e mi slegai i lacci che tenevano il kimono legato alla vita, quasi aprendo la veste.

«Ora basta fare i capricci» si scocciò, mi afferrò il collo e mi piegò in avanti.

Legò le stringhe dietro la schiena e diede uno strattone, stringendomi la veste oramai spiegazzata addosso. Mi prese per la vita e mi sollevò, girandomi tra le sue braccia e immobilizzandomi. Avevo il braccio incastrato sotto il suo e con l'altro cercai di colpirlo.

«Non ne hai alcun diritto! Voglio andarmene via! Mi hai sentito?» urlai fuori di me e agitai i piedi.

Incrociammo altri Demoni e si fermarono a guardare quella buffa scena, di Mammon che mi trascinava come un sacco tra le braccia e di me che lo insultavo con un vestito metà pendente.

Aprì la porta delle sue stanza e mi gettò sopra uno dei divanetti. Sprofondai tra i cuscini e il tessuto largo delle maniche per un momento mi si strinse addosso, impedendomi i movimenti. Rotolai giù dal divano e lo vidi chiudere la porta a chiave.

Affilai lo sguardo guardinga. «Voglio andarmene via! Voglio tornare a casa, non mi importa del Patto, ho fatto ciò che mi hai chiesto e voglio andarmene!» mi impuntai.

«Non puoi uscire» mi liquidò, alzando le spalle.

«Non puoi tenermi qui contro la mia volontà! Questo è rapimento!» dissi angosciata.

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