III

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(Joachlin Mordecai)

Mi stiracchiai e persi alcuni momenti a godermi quella pace. Finalmente la giornata era finita, sarei potuta tornare a casa dopo una settimana e rilassarmi, nonostante il mattino dopo sarei dovuta partire di nuovo. Era una cosa stressante essere sempre in viaggio, specialmente dopo una missione così estrema, ma almeno dopo di quella sarei stata calma per un tot.

I due colonnelli si alzarono, parlarono di andare in mensa a mangiare insieme e non mi rivolsero uno sguardo, segno che non fossi invitata. Joachlin mise a posto il proiettore e alcune carte sul tavolo, decisi quindi che il mio posto in quella sala fosse finito.

Mi pregustai il momento in cui sarei potuta andare a mangiare il primo pasto caldo, magari avere una bella fetta di torta all'arancia e ficcarmi sotto la doccia per almeno due ore. Il generale alzò una mano verso di me e mi chiamò. Abbassai le spalle sconfitta appena vidi che James lo affiancò.

«Buona fortuna, io ti aspetto fuori!» mi prese in giro Joachlin e io gli lanciai un'occhiata tagliente, supplicandogli un'ancora di salvezza.

Camminai verso il generale e gli feci un sorriso, provando a mostrarmi serena. «Posso fare qualcosa per lei, generale Mordecai?» domandai cordiale.

L'uomo mi guardò dall'alto in basso, avevo addosso il giubbino asciutto di un altro soldato, nonostante quello avevo la maglia, i pantaloni e persino le solette ricolmi d'acqua e dovetti proprio parergli un cucciolo disperato. «Ho saputo cosa è successo nella fossa. Dovresti fare più attenzione, devi essere un esempio per la tua squadra e avresti potuto rischiare di farti davvero male. Che diamine è questa puzza?»

«Temo di essere io» ammisi imbarazzata.

Lui sospirò. «In ogni caso fa' attenzione la prossima volta, sei l'ultima Foster e la tua famiglia è stata per generazioni un ramo portante del Nido, sarebbe un peccato finire la discendenza per simili atti eroici» mi rimproverò.

«So di aver trasgredito il regolamento, mi dispiace. Non accadrà più» promisi.

«Hai pensato a ciò che ti dissi prima di partire, riguardo alla faccenda d'ufficio?»

La famosa faccenda d'ufficio di cui tanto parlava era il mio fidanzamento. I Dominatori non erano semplici umani, qualcosa in noi, nei geni, ci riusciva capace di gestire Demoni e sopravvivere alle più cruenti battaglie. Eravamo destinati alla guerra, i bambini nascevano per questo, e così doveva restare. Non mi era mai interessata l'idea della famiglia, né sposarmi, per questo il Distretto aveva un programma interno che ti affidava un compagno "d'ufficio". Pratico e inquietante.

Mia madre e io padre si erano sposati per quel motivo, per avere un erede e far finire le prediche del generale. Si odiavano, non erano mai riusciti ad andare d'accordo. Certo, avevano avuto me e mi avevano voluto bene, tuttavia non ci tenevo a seguire le loro orme.

«Ci ho pensato» affermai. «E credo di non essere ancora pronta. Ho diciassette anni, vorrei passare ancora del tempo con i miei ragazzi in missione prima di mettere le tende. Perché me lo domanda?» domandai, lanciando uno sguardo a James.

L'uomo guardò il figlio e lui mi disse: «I tuoi parametri sono aumentati. Questo ti rende più adatta di altre.»

Che scocciatura, pensai. I parametri con cui si giudicava un Dominatore erano: forza, velocità, tecnica, equilibrio mentale e collaborazione. Normalmente anche in base a questi, se non erano in gioco sentimenti o qualcosa di più importante, l'ufficio sceglieva i partner più compatibili tra loro.

James mi passò un foglio e lessi il resoconto firmato da Millicent Green, uno dei sorveglianti, sul mio esame. Una volta l'anno i soldati si sottoponevano a dei test per qualificare le loro abilità, se fossero saliti o peggiorati.

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