XV

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Londra era gelida in quel periodo dell'anno. Avevo passato tutta l'estate all'Inferno e, seppure per me non fossero passate altro che misere settimane, il tempo scorreva in modo diverso in quel mondo.

Conoscevo molto bene il percorso che il camion faceva dal Nido a Londra, fino a quel piccolo parcheggio accanto al mercato cittadino. I soldati avevano un tempo preciso, un'ora o poco più per caricare i pacchi con i rifornimenti prestabiliti, per quel motivo erano tutti di fretta ed era il momento in cui non c'era alcun tipo di controllo. Conoscevo le procedure, quindi confondersi con gli altri soldati sarebbe stato facile.

Non immaginai che tornare nel mondo esterno mi facesse sentire così bene. Nei regni infernali non c'era la luce del sole, alcuni Demoni ne soffrivano, ma mi era mancata terribilmente, nonostante nevicasse e il cielo fosse coperto da strati di nubi grige. In aggiunta del fatto che non ci fosse Alastor a minacciarmi, mi sentii davvero sollevata.

Amore mi diede delle uniformi da cadetto, o almeno ne erano una fedele riproduzione con i decori e gli stemmi ricamati, persino il tessuto rigido. Avevo addosso un cappello di lana nero, una sciarpa di lana, maglione e giaccone militare e i miei adorati scarponi lucidi. Mi erano mancati.

I principi si erano camuffati con abiti umani, persino Mammon fu costretto a rivedere i suoi soliti standard mondani e indossare un lungo cappotto blu e pantaloni stretti. Ci eravamo appostati in un modesto bar a bere una cioccolata calda, attendendo il passaggio di un soldato.

«Ragazzi» chiamò Seth, sollevando un poco gli occhi dalla sua cialda fumante.

«Come d'accordo. Aspetteremo qui il vostro ritorno. Se qualcosa va male, contattateci immediatamente» disse Azrael, bevendo un sorso di caffè nero.

Mammon mi lanciò un'ultima occhiata supplichevole. Non mi disse niente, sapendo che mi avrebbe rivista solo in caso del nostro successo, una volta uscita dai tunnel. Io, Lizbett e Legione ci alzammo con nonchalance, come se fossimo stati dei semplici amici riuniti per un caffè caldo. Il principe uscì per primo.

Presi il cappotto nero e me lo misi sopra la giubba, nascondendola, poi Liz rifletté e si girò verso Mammon, come se fosse stata punta da una spina. Non l'aveva toccata, tanto meno aveva parlato, eppure lei avvertì i suoi sentimenti.

«Mi avevi chiesto di aiutarti, quella volta che salvai Enola. Mi supplicasti e io accettai la tua richiesta. Facemmo un Patto, noi due. Un Patto che non ho riscosso, perché non avevo niente da chiedere a una come te, ma ora so cosa voglio. Proteggi Enola. Se verrà il momento di scegliere, se qualcosa dovesse capitare, sceglierai lei. Non te stessa» disse Mammon serio, senza battere ciglio.

Lizbett era stata un Demone al servizio del Nido per molti decenni, sapeva che se ci avessero scoperte, avrebbero puntato maggiormente a lei, non a me. Dovevo essere pronta anche a quell'evenienza: avrei dovuto sacrificarla. Non ci volli pensare.

«Non dire così» rettificai contraria, ma né lei né gli altri Demoni parvero notarmi.

«Lo farò» confermò Lizbett.

Chiedere a un Demone di mettere un'altra persona prima di se stessi era impensabile; erano creature egoiste, non sapevano nemmeno stare in un gruppo a lungo. "Ognuno bada a se stesso", era il loro motto. Per questo c'erano molti Demoni imprigionati al Nido, erano quelli lasciati indietro per dare un vantaggio agli altri. Le promesse dei Patti però erano infrangibili.

«Nessuno si sacrificherà» sottolineai acida.

Avevamo studiato quel piano insieme, lo avevo corretto e ripassato per giorni. Tutto dipendeva da me e lasciare indietro Lizbett o Legione non era nei miei programmi.

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