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(Enola Foster)

Ci sono due tipi di persone al mondo, secondo me. I primi sono gli uccelli migratori, quelli che non vogliono restare nella loro gabbia, non si accontentano di avere cibo e acqua sempre pronti. Vogliono viaggiare, vedere il mondo, viverlo e morirci dentro. I secondi sono i canarini, quegli esserini incapaci di prendersi cura di se stessi, che stanno tutto il giorno dentro la gabbia, appagandosi di vedere il mondo attraverso le sbarre.

Per quanto mi riguarda, io non ero in nessuna di quelle due categorie, nonostante gli anni passati a studiare questa teoria: la mia gabbia aveva la porta aperta, avrei potuto volare via, ma le mie ali erano spezzate.

Qualcosa mi svegliò e la testa urtò contro il metallo duro del sedile. Fu un sobbalzo o una piccola turbolenza, eppure il mio sogno si infranse e caddi dalle nuvole. I suoni smisero di essere soffusi e Lizbett fece un grosso sbadiglio, fissandomi.

Mi stropicciai gli occhi e mi massaggiai la nuca, tornando alla realtà. Ero davvero stanca, avevo fame, ma non era il tempo per pensare a quelle stupidaggini. Avrei dormito una volta tornata a casa, conclusa la missione. Il gatto nero ai miei piedi pareva di un'altra sponda, aveva la testa spiaccicata sui miei anfibi e cercava di sonnecchiare, nonostante la confusione dei soldati e delle vibrazioni fastidiose dell'aereo.

L'An-26 era ricolmo di soldati seduti alle loro postazioni, tutti reggevano un'arma di qualche tipo e dei Demoni erano ai piedi dei Dominatori. Alcuni ragazzi dormivano ancora. Non me ne stupivo, se eri un Dominatore sviluppavi la capacità di dormire ovunque, altrimenti la stanchezza ti avrebbe divorato vivo. Se poi i Demoni riuscivano a soffocare i rumori e fingere che stessi dormendo in un caldo letto allora era il massimo.

«Ti sei fatta la decenza di svegliarti?» gorgogliò Jude Butler.

Lo guardai in cagnesco e lui ricambiò, accarezzando il pelo del suo Demone-martora. Decisi di non rispondergli, non ne valeva la pena. Io e Jude non eravamo mai stati amici. Certo, eravamo entrambi colonnelli, ma nessun corso ci aveva mai fatto detestare meno l'altro. Di sicuro non era un problema finché entrambi pensavamo alla missione e restavamo concentrati.

Ero una donna in mezzo a dozzine di uomini, il rispetto non mi era dovuto nemmeno con il titolo di colonnello e con la fama di aver posseduto un Demone nero. Non mi aspettavo niente da quei soldati, non con la mia reputazione e avevo imparato come nascondere la mia delusione e avanzare da sola.

«Hai tanta paura di non riuscire a difenderti senza di me?» vaneggiai. «Insomma, ho letto il tuo rapporto sulla scorsa missione e, Dio, è stato imbarazzante! Non sei stato capace nemmeno di tenere sotto controllo un umano posseduto!»

Jude sollevò un labbro e non proferì parola, mentre Samuel Hall, l'altro colonnello, gli sussurrò qualcosa all'orecchio sul mio conto. Non fu qualcosa di carino perché entrambi soffocarono una risatina e il pelo di Lizbett si gonfiò.

Durante la scorsa missione Joachlin Mordecai aveva dato ordine a Jude di sorvegliare un umano posseduto. Era successo in Romania, a Rupea, in un villaggio quasi sperduto tra le colline delle fredde terre, un gruppo di Demoni aveva sterminato tutti gli animali e fatto strage di vittime innocenti. Uno dei tanti era stato posseduto. Il generale di divisione gli diede ordine di radunare la squadra e immobilizzarlo, la situazione degenerò e Joachlin fu costretto a uccidere l'umano. Avevamo sacrificato un potenziale testimone e un Demone per colpa della sua inettitudine.

Avevo detto a Joachlin che Jude fosse troppo impreparato per un compito del genere, infatti il mio intuito femminile non aveva toppato nemmeno quella volta. Non seppi perché lo avevano fatto venire durante quella missione, ma a conti fatti la famiglia Butler era nel ramo principale da generazioni e doveva essere una grazia del generale capo d'armata Joseph Mordecai.

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