𝐃𝐈𝐂𝐈𝐀𝐒𝐒𝐄𝐓𝐓𝐄

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Robin aveva appena finito di dire nella sua testa che, nonostante tutto, aveva reagito bene e in modo piuttosto distaccato alla visita a sorpresa di Lindsey, quando il suo cuore - più che i suoi neuroni - elaborò l'istintiva affermazione 'ti do un passaggio io'.
Una parte di sè si odiò, l'altra invece fu quasi sollevata di sembrare almeno un po' socialmente attivo.

Dal canto suo, invece, Lindsey rimase scioccata dall'assenza di prevedibilità con cui il tedesco aveva annunciato le sue intenzioni, ma cercò di ricomporsi giusto il tempo necessario per voltarsi, sorridere - non seppe bene come fosse uscito, forse pareva più una smorfia - a Chantal in segno di saluto prima di uscire da casa sua preceduta da Robin.

Lo seguì fino al portico, in fondo al giardino a lato della casa, e osservò con una certa ammirazione e leggero stupore la Ferrari che proprio in quel momento venne sbloccata.
Sì, non succede mica tutti i giorni di salire su una Ferrari. Suo fratello era sì un calciatore, i soldi non gli mancavano di certo, tuttavia la macchina che aveva non era proprio una Ferrari.

«Hai finito di sbavare per la mia auto? - fece Robin, e Lindsey si convinse che fosse almeno un po' divertito, anche se la sua espressione era sempre la medesima, glaciale e seria - Sali?»

La giovane era anche certa che lui si stesse mordendo la lingua, che si stesse profondamente pentendo di averle offerto un passaggio; dopotutto, era sempre lo stesso apatico che le aveva rivolto una sola frase in due mesi di permanenza a Bergamo.

Annuì, incapace di spiaccicare una sillaba, e salì sulla macchina per poi richiudere lo sportello.
Il rombo del motore in avvio e, a volta uscito dal cancello, su strada fu in grado di sovrastare il silenzio che, inevitabilmente, si era creato tra i due.

Robin osservava davanti a sè, taciturno, e con la coda dell'occhio lanciava sguardi a Lindsey, che altrettanto silenziosa si guardava le mani, come se d'improvviso lo smalto leggermente scrostato sulle sue unghie fosse diventato un'opera d'arte da contemplare ai livelli della Gioconda.
Era evidente che fosse a disagio, e non che vedesse l'ora di scendere da quell'automobile.
Con le altre persone pareva sentirsi bene, rideva, scherzava, parlava per lungo tempo e ne era la prova il pomeriggio passato insieme a Chantal.
Tuttavia, con lui non era così e il tedesco era quasi convinto che fosse a causa sua. Sì, beh, non doveva averle fatto proprio una bellissima impressione la prima volta che si erano visti. E, si sa, la prima impressione poi rimane.

Robin si schiarì leggermente la voce.
«Dove abiti? - domandò, giusto per spezzare la tensione che persisteva e anche perchè di fatto non aveva idea di dove andare, e girare attorno alla rotonda all'infinito non era proprio il massimo - Sì, dico, dove ti devo portare?»

Lindsey parve riscuotersi.
«Oh, sì, scusa. Ehm, arriva davanti alla Basilica di Santa Maria Maggiore.» mormorò, prima di iniziare a giocare con la cover del telefono che teneva in mano.

«E poi?» la incalzò lui.

La bionda si sorprese non poco dell'improvvisa voglia di dialogo del tedesco, ma rispose cercando di non dare a vedere il proprio stupore.
«E poi proseguo a piedi, saranno trecento metri.» fece.

Il ragazzo, stavolta, non si limitò a guardarla con la coda dell'occhio ma si voltò verso di lei rapidamente, e con altrettanta velocità riportò lo sguardo sulla strada.
Tuttavia, quegli occhi azzurri su di sè furono abbastanza a Lindsey per farle venire un groppo in gola.

«Oh, no no. Ti porto fino a casa, altrimenti poi chi la sente Chantal?» commentò lui mezzo ironico.

Lindsey alzò le sopracciglia. Ah.
Si era quasi illusa che il ragazzo avesse un minimo di umanità, che insistesse per portarla a casa per gentilezza o qualsiasi altro senso del dovere, e invece... invece solo perchè Chantal si era premurata affinché lei fosse sana a casa e lui stava esclusivamente eseguendo il suo volere.

Probabilmente Robin notò la gaffe che aveva appena fatto, quindi cercò di mettere una pezza.
«Sì, ehm, è tardi ed è buio, conviene che tu non cammini sola a quest'ora, è più sicuro che ti porto fino a casa...»

Lindsey annuì ripetutamente per farlo stare zitto, e con una fermezza che non avrebbe mai immaginato di possedere disse:
«Sì, guarda, non disturbarti a fare un discorso sensato.»

Di sicuro il calciatore si accorse della rassegnazione della bionda che, accomodata sul sedile, ora fissava fuori quasi non sopportasse più di stare nello stesso posto in cui si trovava lui: l'aria si era fatta improvvisamente più pesante, e Robin si rese conto di star sbagliando tutto.

«I-io... ah, scusami. - borbottò il tedesco, togliendo una mano dal volante per grattarsi la nuca un po' imbarazzato. Al messaggio di scuse, Lindsey si era voltata verso di lui e lo stava guardando quasi cercando di comprenderlo, con una certa confusione negli occhi: già era tanto che stesse parlando, che si stesse pure scusando era quasi apocalittico - Non sono molto bravo ad esprimermi a parole, nè tantomeno a far capire alla gente quello che provo o quello che voglio dire.»

La ragazza riuscì a fare un mezzo sorriso.
«Studio psicologia. Fidati che so cosa significa.» rispose.

Le sembrava quasi surreale: stava conversando con Robin Gosens, fino ad allora un blocco di ghiaccio ma che in quegli ultimi minuti si stava leggermente lasciando andare.

«Intendevo dire che non è una preoccupazione solo di Chantal, ma vale anche per me; è meglio che tu non giri a quest'ora, perciò dimmi con esattezza la via. Anzi, - aggiunse, sbloccando il proprio telefono e allungandolo alla ragazza - inserisci l'indirizzo su Maps, che ho il cellulare collegato alla macchina.»

Lindsey rimase un po' confusa dalla confidenza improvvisa del tedesco, tuttavia fece come richiesto inserendo la via nella barra di ricerca e riconsegnando il dispositivo al proprietario.

L'entusiasmo durò poco, perchè dopo infatti l'interno della macchina ripiombò nel silenzio, interrotto solo dalle indicazioni del navigatore e dal sottofondo del motore.

Quando giunsero a destinazione, Lindsey si slacciò la cintura e aprì lo sportello.
«Ehm... grazie.» borbottò prima di scendere, lanciando una veloce occhiata a Robin.

Egli annuì.
«Non c'è di che. Salutami tuo fratello.» disse, tornando a guardare davanti a sè con una mano appoggiata sul volante.

«Sarà fatto.» rispose, scendendo definitivamente dall'automobile.

Si voltò per richiudere lo sportello e sorprese Robin a guardarla. Per la prima volta da quando l'aveva conosciuto, Lindsey vide un debole sorriso - sincero, tuttavia - farsi spazio sul volto del ragazzo.

Prima di dire o fare qualcosa di stupido, gli voltò le spalle e percorse il viale fino alla porta di casa, che varcò con il rombo della Ferrari che si allontanava nelle orecchie.

𝐒𝐔𝐏𝐄𝐑𝐂𝐋𝐀𝐒𝐒𝐈𝐂𝐎 || Robin GosensDove le storie prendono vita. Scoprilo ora