Fireworks

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Il rumore dei miei stivali sul pavimento metallico del cunicolo d'uscita del Nucleo è l'unico suono che riempie il silenzio, insieme al respiro rumoroso di Seth dietro di me e di Giorgiana dietro di lui mentre risaliamo un ripido tunnel sotterraneo, parallelo alla rampa d'uscita del garage. Jorge è davanti a me, nella penombra delle ronzanti luci al neon poste una ogni cinque sei metri dall'altra riesco a vedere solo i suoi capelli iniziare a svolazzare lievemente all'indietro quando una folata di vento ci si impiglia in mezzo. "Ci siamo quasi", penso, sentendo la trepidazione pizzicarmi le mani e lo stomaco. «Jorge, quanto ancora ci vuole?» esclama Seth, sbuffando. «Ci vuole tanto quanto manca, dopo tutto il tempo che sei qui mi pare assurdo che io debba rispiegarti la strada principale per entrare e uscire e hai anche il coraggio di lamentarti» ribatte lui, con tono scocciato. Seth non risponde, così torniamo nuovamente ad immergerci nel silenzio mentre arranchiamo verso una delle uscite del Nucleo. Jorge mi sta portando all'aperto per mostrarmi come arrivare alla botola dalla quale siamo entrati la prima volta, e come trovare anche quest'entrata deduco. Seth non si ricordava la strada per arrivare qui, così Jorge ha portato sia lui che Giorgiana con noi, dopo una discussione di oltre mezz'ora per convincere Jorge a farli rimanere fuori all'aria aperta un po' più del solito.

Ormai saranno già quindici minuti che camminiamo, senza contare il tragitto dalla mensa a qui. Dobbiamo essere a parecchi metri sottoterra, più di quanti pensassi. Inizio a sentirmi stanca, forse per le poche ore di sonno di questa notte, forse perché i tre giorni passati svenuta in infermeria mi hanno prosciugata più che mettermi in forze. Ma la mia mente mi rimbrotta immediatamente, facendo riaffiorare nei miei pensieri l'immagine del globo di luce soffuso che ho cacciato fuori subito dopo essermi svegliata. E' stato quello a prosciugarmi, altro che infermeria. Sospiro sentendo i pensieri addensarsi di nuovo nella mia mente, accalcandosi e scontrandosi fra loro come nubi temporalesche per guadagnarsi la mia attenzione, ma io non posso permettermi nessuno scoppio, nessuna luce, non posso dar loro alcuna attenzione, quantomeno non adesso, così faccio di tutto per scacciarli via. Muovo le mani, che iniziano a formicolarmi incessantemente, espiro ed inspiro silenziosamente, per quanto la ripida salita mi renda difficile la parte del "silenziosamente". «Lara» tuona infatti Jorge, qualche passo avanti a me. «Mmm» mugugno io in risposta, nella speranza che non renda il mio formicolio così palese davanti a Seth e Giorgiana. Poi mi sovviene che loro l'addestramento l'hanno già finito, e che probabilmente con un po' d'attenzione ai dettagli si accorgerebbero anche loro di quando sto per accendermi. Il tutto non fa altro che mettermi ulteriormente in soggezione, peggiorando le cose.

«Dannazione» sussurro, scuotendo le mani come se mi fossi appena scottata un dito, come se il formicolio da Luminescenza possa essere scacciato come delle gocce d'acqua dopo essersi lavati le mani. «E' tutto a posto?»la voce si Seth un sussurro nel mio orecchio, mi posa la mano sulla spalla. Apro e chiudo le mani, guardandomele per poi posare lo sguardo su di lui. Faccio una smorfia indecisa. «Più o meno» rispondo, continuando a camminare, continuando a muovere le mani e cercando di concentrarmi quanto più possibile sul frenare questa dannata energia luminosa urticante. Lui mi guarda le mani. «Quando sento che sta per sfuggirmi di mano immagino sempre di avere le estremità delle vene ostruite da pietre, immagino la Luminescenza infrangersi contro la parete pietrosa, come il mare contro una scogliera altissima. Per quanto forti siano le onde la scogliera è sempre invalicabile» dice, in tono tranquillo. «E'...personale, soggettivo. Insomma, è un metodo che varia da luminescente a luminescente, ma puoi provare» continua, facendo un mezzo sorriso, i suoi tratti di si addolciscono. «Grazie» gli dico, incontrando i suoi occhi verdi nella penombra del tunnel e sorridendogli a mia volta. «Quando vuoi» risponde lui, continuando a camminarmi a fianco.

Intanto ci provo, nel silenzio rimbombante dei nostri passi, ad immaginare ad occhi chiusi un'alta scogliera frastagliata con delle onde che vi si infrangono contro, alte onde, onde altissime tanto che quasi sommergono la scogliera, lambendone le creste rocciose coi loro schizzi e la loro schiuma. Apro gli occhi di scatto respirando velocemente, a quanto pare con me questo metodo non funziona. «Devi trovare l'immagine mentale di ciò che per te è irraggiungibile, inarrivabile, inattaccabile. Un'immagine tanto forte da creare una forza contrastante intensa abbastanza da contrastare quella della Luminescenza» mi dice Jorge, porgendomi una mano e richiamandomi alla realtà. E' già in bilico su un largo piolo metallico incassato nel muro, di una scala che risale per pochi metri fino ad una botola. La mia mente assorbe ciò che ha detto velocemente, lui muove le dita per intimarmi di afferrare la sua mano, faccio come dice e mi issa sul primo piolo. «Va avanti tu, impara ad aprire la botola» dice. Io risalgo i pioli senza troppa fatica, chiedendomi cosa ci sia di difficile nell'aprire una botola, e salire è più facile che scendere, penso, soprattutto quando posso vedere il fondo della scala e quando non è immerso in un baratro buio. Quando arrivo sotto il coperchio di metallo trovo subito la sicura che lo chiude, o meglio le sicure, sono quattro, una per ogni lato. Le dischiudo tutte e con una mano cerco di alzare il coperchio, che con mia somma delusione non si sposta di un millimetro. E' più pesante di quel che penso. Vorrei provare a spostarlo con due mani, così appoggio la pancia al piolo davanti a me e con cautela stacco anche l'altra mano, tenendomi in equilibrio sulle sole gambe. «Una mano sempre sul piolo, o se ti sbilanci all'indietro cadrai, se un piede scivola cadrai anche in quel caso, pensa oltre all'altra mano quante altre parti del corpo con più forza hai a disposizione». La voce di Jorge risuona ferma dal fondo della scala, io guardo giù rimettendo subito la mano sul piolo. Inutile dire che parte della mia mente è impegnata nell'arginare il fiotto d'ansia che mi ha riempito lo stomaco e, di conseguenza, i palmi.

The Color Of City LightsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora