I rumori del traffico arrivano attuttiti fino alle mie orecchie, sul tetto del mio grattacielo la brezza serale ruggisce più forte delle auto in corsa. Jorge è ancora perso nello skyline, il suo globo azzurrino fluttua placido nel suo palmo aperto da quasi un'ora ormai. L'orologio dello State High segna i pochi minuti rimanenti alla mezzanotte, dovremmo essere già a letto, ma nessuno dei due ha accennato a volersi muovere da qui. Ho perso il conto di tutte le volte in cui mi sono sorpresa a guardarlo di sottecchi, le sue parole risuonano ancora chiare e forti nella mia mente come se non facesse altro che ripetermele, ma lui è in silenzio, impassibile. Il vento fluttua fra i suoi capelli lunghi spostandoli appena, ma sembra non badarci. Pare pensieroso, ma non oso chiedergli nulla, arrovellandomi il cervello su come lui riesca ad intercettare i miei pensieri mentre io a malapena riesco a decifrare le sue espressioni. O forse sono semplicemente io ad essere più esplicita e aperta di quel che penso.
«A che stai pensando?» chiede, facendomi sorridere del perfetto tempismo della domanda, «sono così palesi i miei pensieri?» rispondo a mia volta, alzando lo sguardo su di lui con un mezzo sorriso. Il suo sguardo rinviene dai meandri della città illuminata per posarsi su di me. «Sì, metti su un espressione abbastanza pensierosa» mi dice, «sei completamente altrove». Mi sfugge un sorriso colpevole e torno a voltarmi verso lo skyline, «domani ho solo la prima ora, se vuoi posso andare a scuola in metro» dico, ripetendomi nuovamente che dovrei davvero essere a letto. «Non preoccuparti, ti ci porto io e, anzi, appena finisci andiamo via subito. Non voglio altri incontri ravvicinati con nessun tipo di forza armata» esclama, aggrottando lievemente le sopracciglia. Assentisco, mentre i taglienti occhi verdi dell'agente delle Forze Unificate si materializzano nella mia mente. «Per il resto della giornata che si fa?» chiedo, pensando che se fosse per me a scuola non ci andrei proprio, «quello che vuoi» dice lui, girandosi a guardarmi, «a dire il vero, mentre ti raggiungevo da Dean, mi sono chiesta se potessi insegnarmi ad inglobare l'energia, magari in un piccolo globo» dico, titubante, «ho pensato che un globo più piccolo sarebbe stato più facile da nascondere che so, anche solo mettendosi la mano in tasca» aggiungo, guardandomi distrattamente il palmo della mano per poi alzare di nuovo lo sguardo su di lui. «È una buona idea» esordisce, «se non fosse che non è così semplice, c'è bisogno di un bel po' di allenamento». Il suo viso assume un'aria concentrata, «le dimensioni del globo di luminescenza sono difficili da controllare. All'inizio è la luminescenza stessa a scegliere, principalmente in base all'intensità dell'emozione, come il tuo geyser a GreenWood, poi inizia ad essere più malleabile, come il globo nebuloso di oggi, ma ci sono ancora tante forme che non hai visto che potrebbero manifestarsi a caso, molto più prorompenti e luminose, che di certo non è il caso di tentare qui in città» dice risoluto, senza aggiungere ulteriori spiegazioni, lasciandomi invece desiderosa di sapere di più. Attendo qualche secondo, comprendo che non intende aggiungere altro, ma non mi importa. «E sarebbero...?» chiedo, colma di curiosità, non riuscendo a immaginare la luminescenza in ulteriori forme. «Quando sarai al Nucleo lo scoprirai» dice, sorridendo e balzando giù dal muretto. Lo seguo giù per le scale, verso il mio appartamento, con la curiosità che mi corrode la mente e rassegnata al fatto che prima di arrivare al Nucleo avrò ben poche informazioni.
Al mattino vengo svegliata da un raggio di sole che mi illumina le palpebre, apro gli occhi con lentezza e corrugando la fronte. Jorge non è accanto a me, ma lo sento armeggiare in cucina. Mi concedo qualche altro minuto nel letto finché non è più solo lo sbattachiare di piatti a farsi sentire. «Lara! Sveglia o faremo tardi!» grida, così sguscio fuori dal letto e ciabatto verso il corridoio. La mia colazione è già pronta, lui pure, manco soltanto io. «Perché non mi hai chiamata prima?» gli chiedo, «Scherzi, vero? Ti chiamo da un quarto d'ora, altri cinque minuti e ti avrei portata a scuola in pigiama e pantofole» dice, mentre è già intento a lavare le stoviglie sporcate per la colazione. L'imbarazzo mi accende le guance e la luminescenza. «Scusa. Faccio in fretta» balbetto, immaginando come sarebbe apparsa la scena se di fatto mi avesse portata a scuola in pigiama. Il suo tono non suonava neanche così tanto scherzoso...
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The Color Of City Lights
FantasiaQuando la nostra essenza si manifesta in maniera inaspettata, quando guardarci dentro diventa troppo facile, soprattutto per gli altri. Come imparare a controllarsi? Lara, una diciassettenne la cui vita prende una strada inaspettata, alle prese co...