Luminescence

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Lo stridio del silenzio mi solletica le orecchie. Sono sveglia, ma ho le palpebre chiuse, provo a muoverle e le sento pesanti. Faccio un profondo respiro, distendo le dita delle mani e una sensazione di sollievo si propaga dai polpastrelli fino al polso, chissà da quanto avevo i pugni stretti.

Sento una gran stanchezza, e la superficie morbida sulla quale mi trovo sembra quasi risucchiarmi dentro di sé. Provo a muovere una gamba, ma sembra fatta di piombo così ci rinuncio. Riprovo con le dita dei piedi . "Si muovono" penso. Tiro un sospiro di sollievo, scartando l'idea d'essere rimasta paralizzata. Passo in rassegna gli sprazzi di ricordi che ho delle ore passate, ma non riesco a dar loro alcun senso. Come una vecchia pellicola cinematografica li svolgo e li riavvolgo nella mente, ma niente, non hanno senso. Ricordo il poliziotto, l'inseguimento, la luminescenza.

La luminescenza!

Il pensiero di me avvolta in quell'alone rosato mi rimette in moto il cervello, vorrei sbarrare gli occhi ma le palpebre sono due macigni. Le apro lentamente, a fatica. Lo sguardo vaga su un soffito grigio, si posa su mobilio scuro, familiare. Il mio aguardo vaga ancora e adocchio il mio zaino ai piedi del letto: sono nella mia camera. Forse ho solo avuto un incubo dovuto allo stress per lo svenimento a scuola, un incubo molto vivido però. Sposto lo sguardo alla mia sinistra, sicura di trovare la mia amata finestra, il mio amato skyline, ma non è così.

Accanto a me è disteso un ragazzo dai capelli lunghi e gli occhi azzurri. Ha un braccio dietro la testa mentre nell'altra mano ha un globo di luce blu che fluttua nell'aria. Le luci della camera sono spente, l'unico elemento luminoso viene da lui, è nella sua mano. Prima di gridare aiuto il suo volto riappare nella mia mente, il tassello mancante per dare un relativo senso alla pellicola dei miei ricordi. Il ragazzo vicino al finestrino sul n.50, il condotto d'aerazione, un certo Bill dall'altro capo del telefono, Occhiazzurri. Mi ha salvata dal poliziotto e, se mi ha portata qui e non mi ha fatto nulla forse non ho niente da temere. Forse.

Non si accorge che sono sveglia, è assorto nel guardare il suo globo lucente. Nella penombra colorata della sua luminescenza ha gli occhi contornati dall'ombra delle ciglia, le labbra chiuse, il labbro superiore di poco più sottile di quello inferiore. Porta la barba, i capelli lunghi e biondi raccolti dietro la testa.

Mi tiro su, il dolore di mille aghi mi trafigge le tempie.«Bentornata» mi dice, senza staccare gli occhi dalla luminescenza blu «Lara, giusto?» annuisco, il movimento mi costa un'altra fitta di dolore. Mi porto una mano alla testa e lentamente mi riadagio sul cuscino. «Passerà nel giro di un paio d'ore, il mal di testa, nel frattempo sarebbe il caso tu mangiassi qualcosa». Annuisco e tento di rialzarmi, una mano sulla spalla mi rimette giù. «Se mi dai il permesso di frugare nel tuo frigo cucino io» dice. Per quanto strana questa risposta possa sembrare, decido che non è il caso di controbattere, così annuisco. Si alza delicatamente «vengo a chiamarti quando è pronto, nel frattempo non ti alzare, ma cerca di non riaddormentarti, intesi?» chiede, puntando finalmente il suo sguardo su di me. «Intesi» sussurro. Lo sento avviarsi verso la cucina. Sento un armeggiare di pentole, lo scricchiolio della porta del frigo, uno sfrigolio. Rimango ancora un po' a pancia in su, cerco di svuotare la mente, a questo punto direi che non serve affollarsela più di così. Respiro ed espiro profondamente.

Dentro, fuori, dentro, fuori.

L'alzarsi e abbassarsi della mia cassa toracica mi tranquillizza, se continuo così di certo riprenderò sonno in fretta. Mi giro delicatamente sul fianco sinistro, cercando di staccarmi il meno possibile dal materasso, così da non avere un'altra fitta lancinante. Riappoggio la testa al cuscino, sposto i capelli lontano dagli occhi e il mio sguardo è in estasi.

La finestra mi da finalmente accesso al mio paradiso: Metropolys avvolta nel grigiore di un banco di nuvole basse. Le gocce di pioggia rigano il vetro per pochi istanti prima di scivolare di nuovo via, creando un fitto intreccio dal quale riesco ad intravedere le luci arancioni delle finestre, della stessa sfumatura dei tramonti più belli. Il rumore dell'acqua che batte sul vetro anestetizza ogni mia preoccupazione, nella mia mente non c'è altro che l'immagine del vetro inumidito dal cielo, nelle mie orecchie solo un ovattato scrosciare. Sento l'anima della città scorrermi nelle vene, rigenerandomi dall'interno. Allungo una mano verso la finestra, muoio dalla voglia di poggiare la fronte al vetro e fondermi con la l'algida bellezza delle luci e del cemento armato.

The Color Of City LightsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora