Mother

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E' già da un'ora scarsa che ho il sonno leggero, ma non ho ancora voglia di aprire gli occhi. 

Mi rigiro su un fianco, ancora con gli occhi chiusi, ma le mie ginocchia urtano qualcosa. Mi costringo ad alzare le palpebre per vedere cosa può essere, sono le gambe di Jorge. La vista del suo viso addormentato mi sorprende, per qualche inspiegabile motivo mi aspettavo di trovarlo sveglio, magari con il globo di luce ancora acceso nel palmo destro. Non capisco perché mi sia così difficile accettare che anche lui sia un essere umano, che dorme, mangia, lavora e vive. Saranno le circostanze a rendermi tutto più difficile.

Indugio un po', forse un po' troppo, sui suoi tratti duri ora addolciti dal sonno. I capelli lunghi fin oltre le spalle di un biondo cenere che fa a pugni col grigio antracite del cuscino, fermati da un elastico nero di quelli sobri, sottili, le labbra poco dischiuse, gli occhi chiusi con le ciglia che sfiorano le guance, una mano sotto il cuscino e l'altra semiaperta vicino al mento. Anche se addormentato rimane comunque imponente, la coperta si tende sulle spalle larghe e i piedi, nonostante abbia le gambe piegate, sono comunque troppo vicini al bordo del letto. Guardo fuori dalla finestra, il sole illumina già il cielo, oggi di un pallido azzurro, lo State High segna le 6.45. Non è poi così presto e ormai sono sveglia, sarà meglio alzarsi. Cerco di spostarmi il più lentamente possibile per non svegliare Jorge, per evitare che il materasso traballi sotto la mia grazia elefantina, ma mi blocco, avendo timore di scavalcare il suo corpo dormiente. Solo ieri ero sul punto di sfiorare la sua luminescenza e oggi non ho neanche la forza di scavalcarlo per scendere dal letto. Decido di non impantanarmi troppo in questi pensieri, così passo una gamba oltre la spalliera del letto, raggiungo le ciabatte e prendo il GlassPad dal comodino. Mi dirigo in cucina e mi verso subito una tazza del mio intruglio, tanto ormai lo chiamano tutti così, lo stomaco brontola così decido di concedermi un paio di biscotti extra. Metto a fare il caffè, io non lo bevo, ma Jorge sì, o almeno così mi è parso di capire dalla sua colazione di ieri. Imposto la macchinetta affinché glielo tenga in caldo fino al suo risveglio, controllo il registro chiamate del GlassPad ma nessuno mi ha cercata, meglio così. Controllo l'orario di visite del GlassBuilding, in mattinata va dalle 11.00 alle 12.30, mentre nel pomeriggio dalle 17.30 alle 19.00 . Meglio togliersi subito questo pensiero e andare a trovare mia madre questa mattina stessa, preferisco dirle subito che ho intenzione di lasciare la città così da avere un pensiero in meno, anche se dubito farà obiezioni. 

Sono le 7.45, l'odore di caffé pervade la casa. Sono stesa sul divano a leggere quando sento un ciabattare provenire dalla mia camera da letto. Jorge spunta da dietro l'angolo, con una mano sulla fronte. I capelli ancora legati ma scarruffati, l'andatura pesante. «Hai mal di testa per caso?»  gli chiedo «no, è solo il mattino. Che ora è?» chiede lui, la voce impastata di sonno. «Le 7.45, ti ho fatto il caffé, non ho voluto svegliarti, non ho fatto male vero? Non devi andare tipo, che so, in ufficio?» dico, quasi inciampando su ogni parola, davvero non riesco ad immaginarlo seduto negli Uffici della Sicurezza al GlassBuilding. «Sì, in ufficio devo andarci, ma solo per prendere alcune cose, ufficialmente sono già in ferie, grazie a te. Se non ti avessi incontrata avrei ritardato di qualche settimana, ma ora devo portarti al Nucleo il prima possibile» dice, facendomi in mezzo sorriso mentre va a versarsi una gran tazza di caffè. "Al Nucleo il prima possibile", "grazie a te", la sua voce lascia un'eco tagliente nella mia testa. Una sensazione bruciante mi pervade lo stomaco, i piedi mi si riempiono di piombo, mi sento di peso.  «Avevi qualcosa in programma, per le tue ferie? Se sì, mi dispiace»  gli dico, raggiungendolo in cucina. «Sarei andato comunque al Nucleo, solo qualche settimana più tardi. Dovrò solo tornare un po' prima, ma per come stanno le cose meglio così, ti riporterò qui giusto in tempo per tornare a scuola, io invece inizierò il periodo d'aggiornamento al GlassBuilding» dice.  Annuisco, rivolgendogli  un mezzo sorriso, nella speranza che possa nascondere la nebbia corrosiva di pensieri che mi copre lo sguardo. «Vado a prepararmi, ho un paio di questioni da sbrigare prima della partenza» dico, avviandomi velocemente verso il bagno. Apro la doccia, mi spoglio e mi infilo sotto il getto d'acqua calda in meno di due minuti, giusto in tempo affinché le lacrime possano confondersi con i rivoli d'acqua colorata che mi avvolgono. 

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