Fear

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Apro gli occhi al tocco di Jorge, le mani sulle spalle che lievemente mi scuotono per svegliarmi. «Sono le 8.00, ci vediamo alle 11.00, ti mando poi un messaggio per dirti dove» mi dice, capelli legati all'indietro, pigiama addosso. «Basta che non me lo invii mezz'ora prima dell'ora di incontro» gli dico con la voce rauca del mattino, mettendomi a sedere sul letto. «E' quello il bello» risponde lui, sorridendo, già a metà strada fra il letto e la porta. Il suo sacco a pelo è già sistemato e riordinato ai piedi del mio letto. Ricordo benissimo ciò che mi ha detto ieri sera, ricordo anche che non gli ho risposto. «Jorge, io...» inizio, ma come ieri non so che cosa dirgli. «Riguardo ieri...io non...» ma lui mi interrompe, avvicinandosi a me e dandomi un bacio sulla testa. «Riguardo ieri l'importante è che ricordi ciò che ti ho detto, è davvero tutto ciò che conta» dice, con un lieve sorriso di rassicurazione sul volto. Io annuisco, ma non è tutto. «Ci vediamo dopo colazione» dice, allontanandosi, ma io lo afferro per un braccio. «Riguardo ieri volevo dirti che non volevo trattarti male» gli dico, puntando gli occhi nei suoi. Lui smette di tendersi verso l'uscita e si siede sul mio letto. «Io invece voglio solo tu capisca che per quanto dura possa essere non è una punizione, non è un volerti male, in alcun modo. L'addestramento è solo ed esclusivamente per te, per renderti forte quanto serve a fronteggiare ciò che c'è lì fuori, nulla è fatto per rendere orgoglioso me né per darmi merito. Ogni volta che riesci ad incanalare un globo di luce è un merito solo tuo, ogni volta che riuscirai a superare un allenamento di Malik sarà una vittoria tua, che gioverà solo a te. Come ogni tuo fallimento non mi adirerà, né deluderà, né nulla di tutto ciò. Capisci ciò che voglio dirti? I miei occhi non ti giudicano, non in queste dinamiche quantomeno, quindi smetti di preoccuparti di cosa io possa pensare, perché non penso nulla. Non sentirti giudicata» dice. «Ciò non toglie che ieri sera io ti abbia risposto male lo stesso, e non volevo farlo» insisto, perché ho bisogno che lo sappia. Lui sorride. «Non c'è problema, ti ho detto. Anzi, forse sono io che dovrei chiederti scusa, forse ti sto lasciando poco spazio» risponde. «Non voglio che me ne lasci di più» dico, troppo prontamente, davvero troppo prontamente. Il velo di un pensiero passa sul suo volto, che cambia in una smorfia quasi impercettibile. «Allora, davvero, non c'è nessun problema. Solo, ecco...ricorda cosa ti ho detto, io devo sapere cosa ti passa per la testa, e gradirei fossi tu a venirmene a parlare...» dice, ma lo interrompo, continuando io la frase al posto suo. «Quando ne ho bisogno. Sì, lo so» dico, «bene, qualche volta ricordatene anche» mi dice, sorridendo e alzandosi. «A dopo» dice, uscendo. «A dopo» rispondo, alla porta già chiusa.

Mi alzo, trascinandomi verso la doccia per lavarmi il sonno di dosso. Mi infilo una maglia ampia e lunga di colore bianco su dei jeans neri. Mi infilo gli stivali, metto il cellulare in tasca, i miei occhi incontrano il mio lettore musicale abbandonato in un angolo della scrivania. Un fitta di senso di colpa mi squarcia lo stomaco. Mi avvicino e me lo rigiro fra le mani, le stesse mani che l'hanno toccato tante volte, tante fino a consumarne i bordi, i tasti. Non ho avuto molto tempo di pensare alla musica, eppure a pensarci adesso ne avrei un gran bisogno. Forse potrei...No, dovrei prima parlarne con Jorge. Lascio l'mp3 sulla scrivania per avviarmi verso la mensa. Nel tragitto ripenso  quel giorno sul pullman, sul n.50. Mi rendo conto di tornare sul ricordo più per la musica che per l'accensione. Devo davvero chiedergli se posso tornare ad ascoltare quello che voglio. Alzo gli occhi sulla coda fuori dalla mensa alla ricerca di Giorgiana e Seth, li adocchio poco più avanti e li raggiungo. «Buongiorno» dico, «buongiorno» risponde Seth, Giorgiana, ancora assonnata, agita solo la mano in segno di saluto. «Com'è andata la cena?» mi chiede poi. «Ugh, tremenda, come lo sarà il pranzo di oggi» rispondo, «saremo solo io e lui» aggiungo, sentendo già una mano invisibile stringermi lo stomaco in una morsa d'ansia. «Tu e Malik da soli a pranzo? Questa è la prima volta che la sento» dice Seth, guardandomi da sopra la testa di Giorgiana, raggomitolata fra le sue braccia.

The Color Of City LightsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora