Capitolo 13.

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Arrivo sul posto troppo tardi. Trovo Iron Man, sdraiato in terra a riprendere fiato. Ha ancora addosso l'armatura, ma senza casco e il famoso reattore arc è distrutto. Mi torna alla mente quello che mi aveva detto Riccardo:"L'armatura è quasi imbattibile. Quasi però." Accanto a lui, lo scudo di Capitan America, senza nessuno che lo brandisce. È strano vederlo così. Nessuna traccia di Steve... nessuna traccia di Bucky. Arrivo accanto a Tony, zoppicante, tenendomi premuta la ferita alla spalla, ma inevitabilmente lasciandomi dietro una striscia di sangue, come impronta del mio passaggio, sulla neve. La consapevolezza dell'essere arrivata troppo tardi ha un effetto devastante. Mi sento, improvvisamente, priva di ogni forza e impossibilitata anche solo a stare in piedi. Mi siedo accanto a lui, cadendo quasi. Respiro. Chiudo gli occhi. Qualche lacrima mi riga le guance. Cerco di pensare a un modo per agire, ma non mi viene in mente nulla, considerando anche quello che credo sia successo in quel posto. Comunque, non è difficile immaginarlo. Ho visto Tony, Steve e Bucky guardare un monitor. Riccardo mi ha parlato della missione del 16 dicembre 1991. E se il piano di Zemo e Riccardo era di creare una "guerra civile" tra di loro, è chiaro che Tony avrà visto cos'è successo ai suoi genitori. O meglio, avrà visto cosa ha fatto il Soldato d'Inverno a sua madre e suo padre. E questo avrà portato Tony, in un impeto di furia, ad attaccarlo... e Steve a difenderlo. Così, ciò che volevano i due si è realizzato. Da una parte, non aver trovato Bucky sul posto mi dà un magro sollievo. Significa che è ancora vivo... anche se in fuga. Almeno, così spero.
Un'altra consapevolezza mi colpisce come un proiettile: in questo momento non posso alzarmi da terra e andarlo a cercare. Non so quanto tempo sia passato dallo scontro tra i tre. Probabilmente ora saranno lontani, anche se certamente feriti e quindi rallentati, ma partire così, senza avere piste o tracce è completamente inutile. Non ho certezza che i due siano nei paraggi. In più non credo di avere le forze né i mezzi per andare a cercarli. Lo cercherò sicuramente, ma probabilmente questo non è il momento giusto.
"Chissà, ora che sa, cosa ha intenzione di fare con me Tony", penso, sapendo che se io fossi in lui, sicuramente mi sarei vendicata. E io sono il bersaglio più probabile per la vendetta.
-Mi dispiace - dice Tony, ancor prima che io possa aprire bocca.
-Per cosa? - chiedo.
-Non gli ho parlato di te, a Barnes.
Silenzio.
-Dov'è ora?
-Se ne è andato. Non so dove. Credo che non tornerà. Spero per lui che non ritornerà mai.
-Lui non è più il Soldato d'Inverno, signor Stark. È successo tempo fa.
Sospira.
-Dunque lo sai anche tu.
-Sì.
Silenzio.
-Vuole lottare anche con me?
-No. Ne ho abbastanza per oggi.
-Allora domani?
Si gira a guardarmi. Si alza di scatto e si mette a sedere.
-Chi ti ha ridotto così?
-Zemo non era solo.
-Riccardo?
-Sì. Ma è morto. Ora è tutto finito... credo.
-Stai perdendo sangue.
-Anche lei non è il ritratto della salute.
-Sì, ma tu hai bisogno di cure immediate... specialmente per la tua condizione.
-Sto bene, Tony.
-Andiamo.
Detto questo si alza e mi porge la mano. La afferro e mi solleva.
-Appoggiati a me.
Così faccio e ci incamminiamo. Ed ecco un uomo distrutto, a cui probabilmente gli è caduto tutto il mondo addosso, tutte le sue certezze infrante... che cerca di aiutarmi. A me, la compagna dell'assassino dei suoi genitori. Forse, questo è essere giusti.
-Perché non vuole sistemarmi a dovere? Sono la cosa più vicina a Barnes che ha tra le mani.
-Sì, è vero, lo sei. Ma tu non c'entri nulla con tutto questo. Se ora uccidessi te, non sarebbe tanto diverso dall'uccidere un civile in missione. E purtroppo, ho le mani fin troppo imbrattate di quel sangue.
Mi fermo e lo guardo negli occhi.
-Tony. Io lo cercherò. Questo lo sai.
-Prima pensiamo a non farti morire dissanguata. Poi sarai libera di scegliere cosa fare.
Accetto di farmi aiutare. E così, zoppicanti, ci incamminiamo verso il jet. Non sono arrabbiata con Stark per aver attaccato Bucky. Non lo voglio uccidere per averlo allontanato ancora di più da me, una volta che lo avevo vicinissimo. Quello che ha scoperto lui oggi, il modo in cui possa essersi sentito ferito e deluso... è comprensibile che abbia reagito così. E poi, cosa potrei fargli? Dovrei davvero ucciderlo proprio ora che mi mostra gentilezza e supporto, nonostante io sia quella che sono? Perché? Io ritroverò Bucky. Ma, come ho già detto, probabilmente non in questo momento. In più, non sono sicura che lui si ricordi di me, dopo come mi ha trattata a Berlino. Sì, è vero, lì era ipnotizzato, ma la sua mente è così complessa che non posso escludere la possibilità che mi abbia rimossa del tutto dai suoi ricordi. Il solo pensiero mi fa rabbrividire, così scrollo la testa, cercando di cacciarlo via.
Ed eccoci al jet. Lì, troviamo il gatto nero che ci aspetta, tenendo un uomo per il collo. Presumo che quello sia Zemo.
-Altezza... che ci fa qui? - chiede Stark.
-Altezza? - chiedo io, confusa.
-L'ho seguita, Stark. Avevo dei conti in sospeso che sono stati risolti.
Il suo sguardo passa da Tony a me, poi ritorna su di Tony.
-Le ho portato un regalino - dice, riferendosi a Zemo.
-Vedo - commenta Stark.
-Una magra consolazione dopo quello che è successo.
-Grazie.
-Per quel che vale, sappia che mi dispiace.
Tony accenna un sorriso.
-Sai, io e Zemo abbiamo avuto una conversazione su di te - dice il gatto, rivolgendosi a me. -Hai trovato ciò che cercavi?
-L'ho mancato per poco.
Il gatto annuisce, poi aggiunge:
-Le cose che amiamo spesso trovano il modo più strano per tornare. Ma tornano. E torneranno sempre. Magari diverse, cambiate... ma spesso migliorate.
E detto questo, si gira e si incammina nella tormenta, fino a diventare una macchia nera nel bianco e poi sparire completamente.
"Che strano", penso. Poi mi torna alla mente il modo in cui Stark lo ha chiamato.
-Altezza ?
-Sì, il principe... beh, ormai Re T'Challa del Wakanda.
-E gli piacciono i gatti?
-Veramente sarebbe una pantera.
-Una Pantera?
-La Pantera Nera.

-

Bucharest, in esilio, prima dell'attentato a Vienna.

Bucky si risveglia dal sonno. Respira pesantemente, è tutto sudato e giurerei che tra le goccioline di sudore sul volto ci sia anche qualche lacrima. Emette un piccolo urlo soffocato ed è proprio quello che mi sveglia.
-Buck?
Non risponde. Con la mano di carne si accarezza la fronte. Resta immobile, attanagliato da pensieri e probabilmente dai ricordi di un passato che non riesce a cancellare.
-Chi era questa volta? - chiedo, sapendo cos'ha sognato: il Soldato d'Inverno che fa il Soldato d'Inverno. Si gira, mi guarda e scoppia a piangere.
-Chi hai sognato, Buck? - chiedo, abbracciandolo. Comincia a singhiozzare. Con le sue braccia mi cinge la vita e mi stringe a sé.
-Questa volta eri tu.
-Non mi hai perso. Sono qui con te.
-Sì, ma sento che presto ti farò del male. E non potrei mai perdonarmelo.
-Come potresti farmi del male? Proprio tu? Poi sono più forte di te, ora, ricordi?
Dicendo questo, lo stringo ancora più forte e si lascia uscire un piccolo gemito di dolore. Ride, leggermente. Si stacca dall'abbraccio e mi guarda negli occhi. Il sorriso piano piano si spegne.
-Sono stati proprio questi a impedirmi di farti del male. A Bologna... anche l'anno scorso in progionia. I tuoi occhi neri, puri. Non potevo farlo.
-E non potresti mai.
Silenzio. Un'espressione di paura compare sul suo volto.
-Cosa c'è, Buck? - chiedo.
-Non so se non potrei mai. Tutto quello che sono stato, tutto quello che mi hanno messo in testa... c'è ancora. Non andrà mai via. Non smetterò mai di essere il Soldato d'Inverno. Il passato continua ad esistere in me.
-Anche il mio passato è sempre in me.
-Per te è diverso. Tu sei libera di scegliere. Io non lo ero. Non lo sono tutt'ora. Non riesco a controllarmi, non riesco neanche a passare una notte senza avere degli incubi. Io uccido, sempre, continuamente. È la cosa che so fare meglio.
-Vedi questo? - dico, mostrando il mio tatuaggio sul polso sinistro. "ESF173". -Io sono questo. È il mio passato, ma non smetterà mai di essere anche il mio presente. Sono un'arma. Ho del vibranio nel mio corpo che non smetterà mai di ricordarmelo. Tutte le volte che anche solo ti sfioro ho paura di farti male. I capelli... - mi accarezzo la testa pelata -... non so se ricresceranno. E il mio nome non sarà mai veramente "Maria". Ma sai che ti dico? Non mi importa. E sai perché? Perché a te non importa. Per te sono Maria. Per te, sono quello che sono adesso, con te. E tu sei quello che sei adesso con me. Non mi importa di quello che sta fuori da queste quattro mura. È qui che abbiamo scelto di stare. Tutto il resto non esiste. Perché ci siamo solo io e te, quello che io sono per te e quello che tu sei per me. Tu per me sei Buck. Io per te sono Maria. Il resto non ci riguarda più. Non se noi non vogliamo. E poi... - delicatamente, gli prendo la mano metallica, me la porto alla bocca e le do un bacio soave, -... io non ho paura di te.
Mi afferra il viso tra le mani. Mi bacia, dolcemente. Poi mi guarda dritto negli occhi.
-Maria - dice, sorridendo.
-Buck.

-

Salve a tutti!
Scusate se aggiorno solo ora... sono in tournée con uno spettacolo è ho davvero poco tempo per aggiornare.
PERÒ, domani finisco e quindi dovrei tornare in piena attività e magari a scrivere cose con un po' più d'attenzione. Scusate se questo magari non è un capitolo all'altezza, prometto che per i prossimi sarò più "sul pezzo". Avevo ben chiaro cosa scrivere, ma probabilmente l'ho fatto male.
Prossimo capitolo all'incirca tra una settimana! Non vi dico più un giorno perché a quanto pare non so mantenere la promessa ahahaha
A presto e grazie di continuare a seguirmi!
EggWoman1

Il Vuoto dopo il Tutto. || Bucky BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora