I giorni passano lentamente al quartier generale degli Avengers. Si sente la mancanza di qualcosa. O meglio, si sente la mancanza di qualcuno che fino a poco tempo fa era là, a vivere la propria vita, la propria intimità e normalità. Si sente il vuoto che ha lasciato dietro di sé chi ora non c'è più. E se ne sono andati così, all'improvviso, lasciando le loro stanze così com'erano, portandosi via poco e niente. È proprio strano pensare che una volta, in quello stesso luogo, l'armata più forte della terra aveva dei momenti di vita tranquilla e quotidiana. È strano pensare che questi eroi abbiano una vita fuori da ciò che vediamo dal telegiornale. Che mangino, che bevino, che giochino, che parlino di qualcosa che non ha nulla a che vedere con il salvare il mondo. Oppure anche solo scoprire che ognuno di loro aveva delle passioni, degli interessi e dei passatempi, sbirciando dall'uscio delle loro stanze ormai abbandonate. A Wanda Maximoff piacciono le comedy televisive. Ha una grossa collezione di DVD di vecchie serie TV. Steve Rogers ha un gira dischi, dei vecchi vinili e dei poster vintage di vecchi giocatori di baseball. E così via...
Sorrido al pensiero che se mai dovessi scappare da quel posto all'improvviso come hanno fatto loro, chi guarderà dall'uscio la mia stanza probabilmente troverà solo cartoni di vino vuoti e dei mozziconi di sigaretta. Ma no. Forse sono troppo dura con me stessa, non sono così noiosa. A me piace il cinema. Appena caduto l'Hydra, dopo gli avvenimenti di Washington e il mio trasferimento a Vienna, il cinema mi ha dato una mano a capire le convenzioni sociali, a me quasi completamente oscure. Mi drogavo di film e passavo giornate intere a guardare specialmente quelli in bianco e nero. Quindi, in definitiva, chi sbircerà la mia stanza troverà qualche DVD... e sigarette spente e cartoni di vino vuoti.
Cammino per i corridoi del quartier generale con questi pensieri in testa. È tutto così silenzioso. Potrei quasi sentire l'eco dei miei passi sul pavimento, pur essendo scalza in questo momento.
-Quindi il fatto che pago dei dottori e infermieri che si occupino di te ventiquattro ore su ventiquattro è totalmente inutile? - chiede una voce familiare dietro di me. Mi giro e vedo Tony, appoggiato a braccia incrociate alla finestra a muro che dà sul giardino. -Fai comunque quello che vuoi e scappi addirittura dalla loro guardia.
-Sono una spia, è nella mia natura scappare. In più, non riesco a obbedire agli ordini. Ho sempre scelto di fare quello che volevo.
Tony annuisce e si gratta la testa.
-Non riesci a riposare, vero?
-Vero.
Si stacca dal muro e viene verso di me.
-Come stai?
-Meglio. I mal di testa sono quasi del tutto scomparsi e la nausea... beh... quella è normale in questo momento della gravidanza. Almeno, così mi hanno detto i dottori.
Appena arrivata qui, Tony ha chiamato dottori, scienziati e chiunque fosse in grado di occuparsi di me. Grazie a delle terapie a base di piccole ibernazioni, sono riuscita a fare grandi passi in avanti. Purtroppo non potevano ibernarmi del tutto, per via della gravidanza. Mi hanno anche chiesto se volessi portarla a termine. Nel momento in cui mi hanno posto davanti alla possibilità di finirla qui, ho deciso di pensarci molto, attanagliata da pensieri e dubbi sulle mie capacità materne... ma come potrei non volere il frutto dell'amore più grande della mia vita? E così, ho deciso di avere questo bambino, in questo luogo, che mi sembra il più protetto del mondo. Mi tengono quindi sotto controllo, sempre. Tutte le ecografie che hanno provato a fare si sono rivelate inutili. A quanto pare, il vibranio che è in me non consente agli ultrasuoni di arrivare fino al bambino e di poterlo osservare. Perciò, mi tengono d'occhio attraverso analisi quotidiane. E tutto sembra andare per il meglio. In più, niente vino dal cartone e niente sigarette. Sarebbe tutto perfetto... se Bucky fosse qui con me. Bucky. Lui non sa nemmeno di questo bambino. Forse, non sa chi sono io.
-Ti ho portato una cosa - dice, accennando un sorriso.
-Cosa?
-Lo troverai nella tua stanza.
Lo guardo, cercando di capire dal suo sguardo cosa sia.
-Un Avenger ha bisogno della propria uniforme.
"Un Aveneger". Io, un Avenger. Mi fa proprio un effetto strano. Io, una criminale diventata una degli eroi più potenti della Terra. Al solo pensiero rabbrividisco. Io, che ho sempre scelto di fare cose brutte per il mio stesso interesse, ma anche per amore dei miei aguzzini, per sensi di colpa perché magari li avevo delusi. Io che ho trucidato persone indifese, bambini innocenti solo perché così avrei riconquistato l'amore di chi avevo deluso. E l'ho fatto. Ho ucciso, per il mio interesse personale. Ho sempre pensato che l'avrei rifatto, prima o poi, se qualcuno che amavo me l'avesse richiesto. Se Bucky ne avesse avuto bisogno, lo avrei rifatto senza problemi o moralismi. Lui, invece, no. Chi è dunque il migliore tra noi due? Perciò non mi merito tutto questo. Non merito di essere considerata un'eroina, dopo tutto quello che ho fatto. Bucky se lo meriterebbe. Io rimarrei comunque sempre un'arma, indipendentemente da quali mani venga usata.
-Ehi... - Tony interrompe i miei pensieri, mettendomi una mano sulla spalla e quasi indovinandoli continua -... sei un Avenger, ora. E basta.
-Grazie, Tony. Per tutto.
Sorride.
-Rhodes mi sta aspettando di sotto. Vediamo se riusciamo a farlo camminare. Ma ci vediamo dopo, okay?
Annuisco e lo guardo andare via. "Che tipo strano", penso. Non so perché si dia così tanta pena per me. Sicuramente, gli ultimi avvenimenti lo hanno colpito molto. Legami molto profondi si sono spezzati, sensi di colpa lancinanti per ciò che le sue azioni hanno provocato alla gente comune, la verità sulla morte dei suoi genitori... sono molte cose da assimilare.
Mi avvio verso la mia stanza. Appena entro, trovo un'infermiera corpulenta seduta su una sedia accanto al mio letto, con le braccia incrociate, gli occhi chiusi e la testa reclinata all'indietro, nel mentre che russa e sbava. È esattamente dove l'ho lasciata. Non ho dovuto usare le mie doti di spia per sottrarmi dalla sua guardia.
Camera mia è molto anonima. Non ho mai dato molta importanza all'arredamento, mi bastava un letto, un bagno e una televisione... ed è esattamente quello che c'è. In più un divano, una finestra a muro che rende l'ambiente molto luminoso... e una culla nuova di zecca, con dentro un orso marrone di peluche. Un regalo di Visione. Ha letto da qualche parte che i peluche sono sempre ben accetti, se si vuole fare un regalo a un nascituro.
Sul letto trovo una valigetta con su la "A" simbolo degli Avengers. La sfioro appena e questa si apre automaticamente e scopre l'uniforme di cui parlava Stark. Una divisa nera, con rifiniture rosse e una piccola "A" sul petto. Nel momento in cui la tiro fuori dalla valigetta, degli ologrammi azzurri compaiono improvvisamente, mostrando la divisa nella sua interezza e con tutti gli accessori. Noto che nella valigetta ci sono anche alcune pistole sofisticate e avanzate tecnologicamente, coltelli bianchi super leggeri e bilanciati, altre armi di piccolo stampo, una bandana rossa e un post-it con su scritto:"Cara Bandana Mama, I giocattoli grossi sono in palestra che ti aspettano. T.S." Sorrido, amaramente. Sono un'arma e continuerò ad esserlo. Non lo sono stata per un breve periodo, con Bucky a Bucarest. Ma lì ero Maria, nient'altro. Ora sono un Avenger. Mi chiedo come mi soprannomineranno le persone quando verranno a conoscenza della mia esistenza, sperando che il soprannome che mi ha affibbiato Stark, Bandana Mama, non si faccia strada anche tra i giornali. "Come mi chiameranno?", mi chiedo. Mi osservo il tatuaggio sul polso sinistro, "ESF173", e automaticamente ripenso a tutti i nomi che ho avuto, felice che non mi debbano appartenere più. Mi siedo sul letto, mi tolgo la bandana che ho indosso e mi gratto la testa pelata. In mano ho ancora la divisa. È leggerissima, ma sembra anche molto resistente, per fare da scudo a eventuali proiettili. Poso la divisa sul letto e guardo di nuovo nella valigetta. Noto un piccolo pulsante rosso che non avevo visto a una prima occhiata. Lo premo.
-Salve, Bandana Mama... - dice improvvisamente una voce femminile -... io sono Friday, intelligenza artificiale creata dal signor Stark per agevolare alcuni compiti quotidiani e in missione. Piacere di conoscerti.
Ed ecco che di colpo l'infermiera grassottella si sveglia, come presa da un grosso spavento e accennando un urlo. Mi vede e si tranquillizza, tenendosi una mano al petto e riprendendo fiato.
-Signora Barnes, mi ha spaventato a morte, sa?
-Come mi ha chiamato?
Un tuffo di emozione mi prende il cuore. "Signora Barnes... potrei quasi abituarmici", penso.
-È così che il Signor Stark ci ha detto di chiamarla. Vuole che usi un altro nome?
-Sa che c'è? No, mi chiami pure così. Mi piace.
E così capisco come voglio essere chiamata da Avenger: Agente Barnes.-
Ciao a tutti! Ecco un nuovo capitolo! Aggiorno settimana prossima :)
EggWoman1
STAI LEGGENDO
Il Vuoto dopo il Tutto. || Bucky Barnes
FanfictionSeconda parte della trilogia del "Tutto". Prima parte:"Il Nulla prima del Tutto". Ambientato durante "Capitan America: Civil War". "Torno a casa la notte alle due. La polizia se ne è andata. C'è silenzio e nessuno è per strada. Entro nel palazzo. O...