17. Lo Spezzaincantesimi

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(a/n: tutte le informazioni sullo Spezzaincantesimi sono prese da potterpedia)

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𝐌𝐄𝐓À 𝐀𝐆𝐎𝐒𝐓𝐎 𝟐𝟎𝟎𝟑.

Hershel sapeva che prima o poi sarebbe accaduto, che qualche altro importante Mangiamorte sarebbe stato rapito. Ma non credeva potesse accadere a suo padre. E soprattutto non dopo tutti quei mesi di apparente calma.

Inizialmente Hershel non reagì: il suo cervello e il suo corpo non avevano assimilato completamente la notizia. Fu solo in un secondo momento, quando la cosa venne elaborata del tutto, che ebbe le sue prime reazioni: rabbia, frustrazione, preoccupazione e...paura. Sì, aveva anche paura nonostante il suo viso dicesse diversamente. Soprattutto perché coloro che venivano rapiti...non tornavano più a casa.

Ancora una volta, Harry Potter era a casa Piton per colpa di una sparizione: prima con Hershel anni prima e ora con Severus.

«Harry...» Hershel prese da parte l'Auror per parlare con lui in privato. «Hai saputo qualcosa sul Toussaint?»

«Ho parlato col Ministero francese per cercare di capire il passato di quell'uomo e mi hanno inviato un gufo con la storia della sua famiglia. Oltre a questo, quel che sappiamo è che possiede un castello nello sperduto nord della Scozia»

«Altro?» chiese Hershel seccato.

«Di rilevante no. Niente accuse, nessun sospetto o condanna. È completamente pulito...ma perché ti interessa così tanto?»

Hershel attese qualche minuto prima di rispondere. «Temo ci sia lui dietro tutto questo»

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-𝐍𝐄𝐋 𝐅𝐑𝐀𝐓𝐓𝐄𝐌𝐏𝐎, 𝐋𝐔𝐎𝐆𝐎 𝐈𝐌𝐏𝐑𝐄𝐂𝐈𝐒𝐀𝐓𝐎 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐀 𝐒𝐂𝐎𝐙𝐈𝐀-

«Monsieur, le prisonnier est à l'aise» disse con tono basso un uomo incappucciato. [traduzione: "Signore, il prigioniero è stato fatto accomodare"]

«Molto bene! Voglio vederlo»

L'uomo incappucciato, leggermente più basso del suo Signore, gli fece strada tra i corridoi sontuosi, ricchi e finemente decorati di quel castello. Sembrava quasi di camminare tra le stanze di Versailles: oro sulle cornici dei quadri, statue e oggetti da collezione molto costosi. Sembrava davvero la reggia di un sovrano.

I passi dei due uomini erano attutiti dai fini tappeti che coprivano il pavimento. Se il Mentore incontrava qualche suo seguace in giro per il castello, essi piegavano il capo e lo salutavano con rispetto. Se era di buon umore, a volte, poteva anche ricambiare quei saluti.

Pochi minuti dopo, il Mentore arrivò nella parte più fredda e meno sfarzosa di tutto il castello: le prigioni. Erano un luogo freddo, spoglio e grigio; le "finestre" (erano più dei piccoli buchi) erano senza protezioni ed entrava sempre un vento gelido. L'unica fonte di luce era un candelabro sul tavolo del custode delle prigioni ma la luce di quelle candele era sempre molto flebile.

«Puoi andare, voglio parlare con lui da solo» l'uomo incappucciato chinò il capo e se ne andò mentre il Mentore si fece strada tra le celle alla ricerca di quella occupata.

Si fece guidare dal rumore delle catene che venivano furiosamente mosse in un disperato tentativo di liberarsi. Alla fine arrivò praticamente alla fine della lunga serie di celle, e guardò alla sua sinistra.

Raro come la Fenice #ITADove le storie prendono vita. Scoprilo ora