amici

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Yoongi non seppe cosa fare inizialmente, ma allontanarsi, come gli aveva chiesto Jimin, era fuori discussione. Il ragazzo si piegò maggiormente e le gambe, dopo un ultimo tremito, caddero esauste sul pavimento.

Yoongi a quel punto lo raggiunse e gli si inginocchiò accanto, mettendo una mano sulla sua schiena. Abbassò il capo per vedere il suo viso nascosto dai capelli. Jimin si teneva la bocca con entrambe le mani e fissava il pavimento.

«No, non... non voglio» sussurrò.
«Non preoccuparti. »
Subito dopo, un conato di vomito scosse il corpo di Jimin, che per fortuna riuscì ad alzarsi in tempo per raggiungere il lavandino di fronte a lui. Jimin si sentiva debole come un pupazzo, ma almeno quella sensazione fastidiosa all'altezza della gola se ne era andata.

Yoongi continuava a stargli accanto, reggendolo per le spalle. Jimin con una mano si aggrappava alla sua spalla e con l'altra al lavandino per tenersi in piedi. Dopo un po', riuscì a sciacquarsi la bocca e poi Yoongi lo fece sedere di nuovo per terra. Il pavimento era accuratamente pulito, grazie agli sforzi mattutini di Yoongi.

Jimin continuava a respirare affannosamente e non lo guardava in faccia. Yoongi allungò la sua manica e scacciò via le gocce di sudore sulla sua fronte. A quel punto Jimin lo guardò, con gli occhi lucidi dallo sforzo e le guance bagnate. Le sue labbra avevano perso colorito e per la prima volta, Yoongi si sentì come se non gli avesse detto qualcosa, come se quell'angelo nascondesse gelosamente un segreto tra le sue ali.

Non appena riprese un po' di colore, Seokjin si affacciò alla porta del bagno. Vedendolo a terra, si accovacciò immediatamente accanto a lui, costringendo, senza averne intenzione, Yoongi ad alzarsi.

Osservò il ragazzo dal cappotto color cipria assumere alla perfezione il ruolo di una madre preoccupata per il proprio figlio. Le premure uscivano dalle sue labbra con voce soffice e tranquillizzante. Jimin sembrava sul punto di scoppiare a piangere.

«Non devi preoccuparti, alzati quando te la senti.» gli disse, come se fosse un'abitudine.

Jimin si alzò più tardi e tornò in sala sorretto da Seokjin per un braccio. Yoongi si prese una strillata dalla proprietaria per essere sparito senza motivo e dovette tornare a lavoro, ma non smise mai di guardare Jimin fino a che non uscì dal locale.

Ebbe l'impulso quasi irrefrenabile di corrergli dietro dopo che lo vide sparire dalla porta. Ma lo lasciò andare. Aveva altre persone che si sarebbero prese cura di lui. Pensò che sarebbe stato sempre così, lui non si sarebbe potuto intromettere così bruscamente nella sua vita equilibrata.

[...]

La domenica arrivò presto per Jimin. Il reflusso lo fece svegliare nervoso e infastidito. La sua gatta Monroe dormiva ancora, imitando la forma di una ciambella alla fine del letto. La sua camera era nella media, con un letto da una piazza e mezza, sempre ben fatto e ordinato. Sulla scrivania in legno erano ammassati i libri, enciclopedie, cuffie e astucci che venivano spostati in continuazione nel salone, perché Jimin preferiva studiare lì.

Una finestra si trovava sul muro opposto e ogni mattina, un raggio di luce sembrava mirare proprio al suo occhio per farlo svegliare.

Jimin strisciò i piedi fino alla cucina, con lo stomaco in subbuglio. Sulla macchina del caffè, notò un bigliettino rosa con scritto "Non ci provare nemmeno". Pensò a Yoongi senza volerlo. Sul frigorifero ce n'era un altro che recitava "Chiamami appena ti svegli" e infine, sul tavolino in salone, proprio sul computer, uno che diceva "Ricordati di avvertire lo psicologo".

Il sorriso di Jimin svanì nel nulla appena lesse quella frase. Seokjin era affidabile ma a volte un po' invadente.

Il suo cellulare gli ricordò che quel pomeriggio si doveva vedere con Jungkook e Taehyung, dato che quest'ultimo aveva preso il primo treno disponibile per arrivare da Seoul.
Diede a Monroe i suoi croccantini preferiti, ma lui si rifiutò di toccare cibo. Passò la mattina a fare un po' d'ordine, a ripassare qualche lezione e si fece una lunga doccia. Mentre si curava la pelle, toccò il punto esatto dove Yoongi lo aveva toccato per asciugargli il sudore dalla fronte.

Si fermò per un attimo e visse di nuovo i momenti della sera precedente. Si chiese se fosse il caso di dirglielo oppure no.

Le ore passarono e l'orologio segnò le 16:00 senza che Jimin avesse messo niente sotto i denti. Uscì di corsa rendendosi conto di essere in ritardo. Con una veloce corsetta, attraversò la parte meno popolata del paese e prese il sentiero in discesa per arrivare nel prato che dava sul lago. Una staccionata divideva la parte alta, quella degli abitanti, con la parte naturale.
Erano anni che il lago sorgeva a un dislivello con il terreno, dovuto alle scarse precipitazioni e all'uso dell'acqua da parte dei residenti del paese.

L'acqua era piatta come se fosse all'interno di un bicchiere. Su quel pezzo di prato dove camminava, si avvistava solo una bancarella e un negozio di attrezzature per la pesca.

«Jimin!» si sentì chiamare. Il ragazzo si guardò intorno e vide il suo amico sventolare le braccia in aria per indicargli la posizione.
«Siamo qui!»

Jimin li raggiunse, con un ampio sorriso. I suoi due amici erano comodamente seduti su un telo e accanto a loro c'erano diversi spuntini che gli fecero venire l'acquolina in bocca. Taehyung aveva una camicia bianca e dei pantaloni neri, Jungkook aveva semplicemente una maglietta e dei pantaloni della tuta.

Prese posto e si preparò a sentire un'altra delle diavolerie che aveva combinato Jungkook.

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