abbaglio

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«Capito? Quel bastardo di Jordan pensa di poter fare il figo solo perché è mezzo Americano!» sbottò Jungkook, mentre prendeva un'altra patatina.
Taehyung scacciò via un formica che si stava avvicinando furtivamente alle pizzette.

«E che pensi di fare?» chiese Jimin, anche se già sapeva che il tutto sarebbe finito con un'azzuffata delle sue.
«Non lo inviterò più alle feste, così impara.» 
Taehyung se la rise. Le feste di Jungkook erano sempre state le più attese, sia nel quartiere di Seoul dove avevano abitato, sia in quel paesino sperduto.

«A proposito, questo weekend non hai organizzato nulla. Non mi hai neanche chiesto di aiutarti.»  disse Taehyung, in una muta domanda. Jungkook lo guardò e si grattò il dietro della nuca.
«Beh, la scorsa settimana non ci siamo visti perché eri impegnato e allora pensato di venire io da te, lasciando perdere la festa.» 
Jimin sollevò le sopracciglia meravigliato: Jungkook non rinunciava così facilmente alle feste. Un venticello sì sollevò tra loro. Taehyung scosse la testa ridendo e andò ad arruffare la chioma già incasinata di Jungkook.
«Piccola peste! Non ti preoccupare, dovresti saperlo che per il mio fratellino potrei scalare monti e nuotare oceani.»  rispose con una frase forzata e un tono scherzosamente solenne.

Jimin guardò la scena sorridendo e in poco tempo, si ritrovò nell'abbraccio di quella coppia mal assortita.
Tra calci e spintarelle amichevoli, Jimin si sentì vivo, senza preoccupazioni e tantomeno problemi.

Il suo occhio catturò qualcosa di quasi impercettibile, che infatti gli altri due non riuscirono a notare.
Nella strada prima della discesa ripida, che Jimin aveva percorso prima di scendere là giù, un ragazzo corvino li osservava, con un espressione che non riuscì a cogliere.
Si trovava ancora intrappolato dal braccio di Jungkook intorno al collo e sollevò un braccio per invitarlo a scendere con loro.

Yoongi continuò a guardarli. Non erano le persone che erano con lui la sera prima. Quanti diavolo di amici aveva?
Taehyung diede un pugnetto al fianco di Jimin e questo si girò, continuando l'azzuffata amichevole.

Yoongi abbassò gli occhi al sorriso luminoso di Jimin, come se si fosse accecato. O il sorriso di Jimin era troppo splendente, oppure l'invidia era ancora più abbagliante.
Si tolse da lì.
L'idea di andarlo a cercare di Domenica, il giorno libero per entrambi, non si era rivelata molto intelligente. Erano forse secoli che Yoongi non usciva di casa il weekend, poiché non aveva nessuno con cui passare la giornata e preferiva starsene a letto. Ma Jimin non era come lui, aveva tanti amici, tanta compagnia, tante persone che si preoccupavano per lui, che lo aiutavano, che lo conoscevano bene.
Yoongi non aveva niente da dargli.

Si sedette su una panchina dopo aver camminato un po'. Era finito su una delle tante alture e riusciva ancora a vedere il lago da lì su. C'erano diverse persone dietro di lui che passeggiavano, mentre i bambini giocavano in piazza. Yoongi sembrò essere diventato sordo.
«Perché mi interessa tanto?»  chiese a se stesso, nella speranza di scacciare l'immagine di Jimin che rideva con gli altri. In quei momenti, Yoongi viveva la sensazione di essere scomparso dalla mente di Jimin, di essere soltanto un estraneo per lui.

«Yoongi!...»  Il ragazzo si girò. Non aveva sentito Jimin arrivare e, dal modo in cui si teneva le mani sulle ginocchia, doveva aver corso parecchio per arrivare da lui.
Yoongi lo studiò per indovinare cosa volesse.
«Ti ho chiamato prima, pensavo mi avessi visto!»
Certo che Yoongi lo aveva visto. Anzi, avrebbe voluto non farlo.
«Si. Ma stavi con i tuoi amici.»  Avrebbe voluto aggiungere "alcuni dei tanti", ma Jimin glielo lesse in faccia.
«Esatto, e stavo chiedendo di aggiungerti!»
«Per quale motivo?» chiese Yoongi, lasciandosi trasportare dal tono alto di Jimin.
«Io e te non siamo amici.»
Calò il silenzio, o meglio, i suoni del mondo sembrarono trasformarsi in un eco lontano e indistinto.
Yoongi dopo un po' alzò la testa, levando lo sguardo dal cemento al ragazzo in piedi accanto a lui. Si sentì anche peggio di prima.
Jimin aveva gli occhi leggermente dilatati e la fronte corrucciata. Lo sguardo decisamente confuso, lasciò il posto ad un'espressione delusa.
Yoongi stava per alzarsi, ma Jimin gli rivolse un sorriso breve e forzato, prima di lasciarlo di nuovo da solo.

Nei minuti successivi, Yoongi provò a giustificarsi con se stesso per le parole che aveva detto.
Non erano amici, non c'era stato nessun contratto verbale che lo ufficializzava. Ma gli amici non ne hanno bisogno. Perché le azioni parlano meglio delle parole. E nonostante ciò non riusciva a togliersi un pensiero martellante in testa.
Lui non voleva essere un amico per Park Jimin. Non voleva che lo guardasse con gli stessi occhi con cui guardava i suoi amici.

Voleva potersi chinare su lui come quando lo aveva ospitato a casa sua, senza fermarsi. Voleva che lo toccasse come quando si era aggrappato a lui in motorino. Voleva sentirlo vicino come quando le sue labbra avevano sfiorato la sua guancia.
E si considerava egoista a volere sempre di più da quel ragazzo. Come se lui ne avesse più diritto di quelle persone che stavano intorno a lui da chissà quanti anni.

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