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Yoongi era crollato per la stanchezza. Il sonno era arrivato dopo un lieve capogiro, poi il buio lo accolse. Jimin non si lamentò di nulla. Vegliò su di lui quasi tutto il tempo. Nessuno dei due si era cambiato e Jimin aveva passato la notte ad accarezzargli i capelli fino a che la sua espressione corrucciata non aveva lasciato il posto a un viso sereno.

Il giorno dopo, Yoongi si sentiva decisamente meglio. Non appena aprì gli occhi, la prima cosa che vide fu il volto di sua madre, poi una sensazione di tranquillità. Era riuscito a superare il peggio. Sentiva le guance rigate e gli occhi un po' pesanti. Poi si ricordò di Jimin. Si guardò intorno per un po' e non lo vide. Come poteva dargli torto. Non avrebbe potuto dormire a casa di un ragazzo che conosceva appena.

Poi il suo naso sentì un odore tremendamente invitate. Si alzò, strisciando i piedi e raggiunse in poco tempo la cucina. Jimin stava asciugando un ciotola con un panno e si girò per dargli il buongiorno. Sul tavolo della cucina, una teglia piena di biscotti con delle sfumature marroni. Si avvicinò incuriosito.

Jimin sorrise mentre lo osservava. Yoongi ne prese uno, ma nell'istante in cui lo fece, ritirò le dita ed imprecò sottovoce.

«Yoongi! Sono appena usciti, così ti bruci la lingua!» rise Jimin, mentre osservava Yoongi massaggiarsi i polpastrelli in modo sofferente. Cominciò a girare lentamente intorno al tavolo come un felino che studia la sua preda. Poi si mise a soffiare tutta l'aria che aveva nei polmoni per raffreddare uno dei biscotti. Jimin riprese a ridere. Dopo aver controllato la temperatura, lo portò finalmente alla bocca. I suoi occhi si allargarono notevolmente. Jimin pensò per un attimo che si fosse davvero scottato.

«Ma è buonissimo, cazzo.» farfugliò con la bocca piena. Jimin mise i biscotti restanti in una grande ciotola, che poi coprì con un panno.

«Sono i famosi biscotti di mia nonna. L'unica ricetta che mi viene alla perfezione.»

Erano la cosa più buona che avesse mai mangiato. Pensò di essere cascato di nuovo in un'altra dipendenza. Prima il caffè, poi Park Jimin e adesso anche i suoi biscotti.

Jimin controllò l'orario sul telefono che aveva poggiato vicino ai fornelli. Era presto, ma doveva sbrigarsi per prendere l'autobus. Yoongi lo ringraziò di cuore.

«Ecco, Yoongi... Per il funerale ho fatto quello che potevo, ma per le altre pratiche mi servirebbe una delega.» disse Jimin, sentendosi un po' in colpa per aver rovinato il momento. Yoongi tornò più serio, ma non turbato.

«Te la farò avere il prima possibile. Scusami per averti dato questo peso, però io»

«Non dirlo neanche per scherzo, a me non costa nulla. Mi basta vederti sorridere.» In risposta, Yoongi gli mostrò il più caldo dei suoi sorrisi.

Jimin si avvicinò alla porta, lasciandogli le ultime raccomandazioni.

«Aspetta, Jimin.» Il ragazzo si fermò sulla porta. «Hai mangiato?» Jimin evitò il suo sguardo. Yoongi insistette.

«No. Ieri ho vomitato quasi tutta la notte. Adesso non ho fame.» rispose. La notte prima aveva sentito il bisogno di sfogarsi e prima che se ne rendesse conto, era piegato in bagno con due dita in bocca. Il suo stomaco tremava al solo pensiero di mangiare qualcosa.

Yoongi provò a convincerlo, ma Jimin usò la scusa di essere in ritardo per l'università e se ne andò. Yoongi lo guardò fino a che non sparì dalla sua vista. Tra i problemi del cuore e quelli della salute, non poteva dire quale fosse peggio.

Rimase a guardare il sole che illuminava il paesaggio per un po'.

[...]

Quel giorno non ci pensò neanche ad andare a lavoro. Quando Jimin lo aveva lasciato da solo, aveva sentito un'inquietudine e fu tentato di chiedergli di restare. Pianse molte, forse troppe volte, in una casa così piena di ricordi. Non volle uscire, non voleva far attirare l'attenzione del mondo sulle sue condizioni. Ma si ingozzò di cibo, quello sì. Mangiò quasi qualsiasi cosa ci fosse in frigo e poi dormì per forse un paio d'ore.

Si svegliò quando sentì la suoneria di un cellulare. Non era la sua. Si alzò dal divano con uno scatto veloce e fu colto da uno sbalzo di pressione. Seguì la melodia e si rese conto che proveniva da un cellulare sul tavolo della cucina. Il telefono di Jimin.

Sullo schermo: "Jungkook"

Ricordava di aver già sentito quel nome. Era uno degli amici di Jimin, il festaiolo, e stava provando a rintracciare il suo cellulare. Yoongi rispose alla chiamata.

«Jimin!» disse la voce di un ragazzo. Poteva sentire chiaramente che stava correndo.
«So che non sei tipo da rissa, ma non conosco nessun altro che possa venirmi a dare una mano.»
Yoongi stava per rispondere, ma poi sentì altre diverse voci di sottofondo, che si rivolgevano al ragazzo in tono minaccioso. Poté facilmente immaginare che si trattasse o dei malavitosi che abitavano nei pressi del lago, o dei ragazzi poco affidabili con le braccia tatuate e le bottiglie di birra in mano.

«La via secondaria per andare al parchetto. Non chiamare la polizia, altrimenti arrestano anche me.» Era sicuro che se non fosse intervenuto, quel ragazzo, anzi Jungkook, si sarebbe trovato in grossi guai. Sbuffò e prese le chiavi di casa, precipitandosi fuori. Come faceva Jimin ad avere degli amici così strambi?

Il suo motorino rosso era rimasto all'ospedale, quindi non gli restò altro da fare che correre. Era dai tempi della sua adolescenza che non prendeva a pugni qualcuno.

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