gocce

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Passarono un paio giorni dall'ultima volta che si videro di fronte al lago. Aveva smesso di ordinare il cibo e Yoongi pensava che non volesse vederlo, ignorando cosa veramente stesse succedendo a Jimin.

Incrociò più volte alcuni dei suoi amici che aveva visto con lui, entrare in casa sua. Le luci spesso rimanevano accese fino ad ore tarde, anche dopo la mezzanotte. E Yoongi non sapeva cosa fare. Non aveva nessun contatto e presentarsi di fronte a casa sua senza preavviso non gli sembrava il caso. Certo, lo aveva già fatto, ma erano circostanze diverse.

Si grattò la tempia in modo frustrato di fronte allo scaffale dei latticini e una signora anziana che stava facendo la spesa si chiese se non stesse avendo difficoltà a scegliere la giusta marca del latte, non che ce ne fossero tante in quel negozietto.

«Quindi Jordan alla fine ha smesso di urlare e se n'è andato a frignare dai suoi amici.»  Yoongi si girò in direzione dell'entrata e vide il ragazzo festaiolo entrare e sferrare pugni all'aria per simulare una rissa. Accanto a lui, c'era un ragazzo ben vestito che lo ascoltava.

«Hai abbastanza da mangiare per questa settimana, Jungkook? Ti manca qualcosa?» chiese quest'ultimo mentre si guardava attorno. Yoongi si ricordò di averli visti da lontano, il fatidico pomeriggio del lago. Gli venne l'impulso di nascondersi e si accovacciò dietro il frigorifero delle bibite. Non sapeva bene perché lo stesse facendo, dato che era quasi impossibile che lo avessero notato.

Sentì i loro passi farsi più vicini.

«Forse un paio di... Oh, Yoongi? Giusto?»  Jungkook inclinò la testa e Yoongi lo guardò dal basso. Il ragazzo gli tese una mano e lui l'accettò volentieri per alzarsi. La cassiera li guardava con un misto di curiosità e divertimento.

«Come fate a...»

«Jimin ci ha parlato di te.»  disse Jungkook. Non gli venne in mente di averlo già incontrato con i panni di un fattorino scocciato che gli consegnava le birre per le sue feste notturne e rumorose.

«E anche perché ha sbracciato verso di te, urlando il tuo nome e correndoti dietro.» disse l'altro ragazzo accanto lui. Aveva uno sguardo duro e Yoongi sentì il peso di essere giudicato.
«Non so cosa gli hai fatto, ma dopo non è più tornato da noi. E non penso che preferisca uno come te alla nostra compagnia.»

«Taehyung!... » lo chiamò Jungkook, in un bisbiglio che sapeva di un timido rimprovero.

Yoongi sbatté più volte le palpebre, non rendendosi conto subito delle sue parole. Non era un'offesa, era solo una cruda verità che assumeva una forma intimidatoria grazie al tono secco e alle parole taglienti di quel ragazzo.

«Non è successo nulla. Non era mia intenzione.» poi si accorse di non poter continuare.
«Non ci devi spiegare nulla, nessuno te lo ha chiesto.» Taehyung prese per un braccio Jungkook e cominciò a trascinarlo via.

«Degnati piuttosto di andare a parlare con Jimin, se ci tieni a dire qualcosa. Io non ho tempo per queste cose.» Il che era vero. Kim Taehyung sarebbe tornato a Seoul tra due ore, giusto in tempo per il pranzo e il turno pomeridiano all'Università. Taehyung era messo molto meglio di lui a livello finanziario e quindi spesso gli risparmiava il biglietto per andare a Soul. Anche in quel momento, osservava il ragazzo più grande pagare una spesa che non sarebbe finita nel suo frigorifero a Seoul.

[...]

Le parole di Taehyung rimbombavano nella testa di Yoongi da tutto il giorno, come un tormento. Per rendere la giornata ancora più allegra, aveva cominciato a piovere tre ore prima e non intendeva smettere. Dopo l'ultima consegna sotto la pioggia, il petto gli si gonfiò di determinazione.

Era il momento di mettere da parte l'incertezza adolescenziale e risolvere i problemi in modo diplomatico come si addice ad un adulto.

Passò di fronte casa di Jimin e parcheggiò il motorino mentre pensava a come dosare bene le parole. D'un tratto però sentì un singhiozzo, poi un altro. Una voce rotta dal pianto e un tono basso che cercava di celare la sua disperazione.

Yoongi raggiunse immediatamente il cancelletto e vide la figura accovacciata di Jimin, in ginocchio nel suo giardino, mentre i suoi vestiti venivano inghiottiti dall'acqua.

«Jimin!» urlò, ma il ragazzo se ne restava lì. Non sapeva neanche se lo avesse sentito. Con non pochi sforzi, riuscì a scavalcare il cancelletto, quasi tagliandosi con un pezzo di ferro sporgente.
Arrivò al fianco del ragazzo e notò che poco distante da lui c'era una chiazza gialla con dei pezzi di cibo ancora interi. Jimin doveva essere corso fuori a vomitare, per poi allontanarsi e cercare di calmarsi.

«Va tutto bene, ci sono io.» Ma Jimin continuava a tremare e a nascondersi il viso tra le mani bagnate.

«Aiutami, ti prego.»

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