calore

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Una tazza di tè caldo gli scaldava le mani. Il vapore gli si parava di fronte come nebbia e credette che sarebbe bastato per nasconderlo mentre osservava il ragazzo di fronte a sé. Però Yoongi si era accorto benissimo del suo sguardo, dato che anche lui lo stava fissando attraverso il fumo.

Jimin abbassò gli occhi e li riportò sul liquido nella tazza. Non aveva voglia di berlo. Quando lo guardava, la gola veniva attraversata da un brivido, come se avesse paura di vomitare di nuovo.

Alcuni quarti d'ora prima, Yoongi lo aveva trascinato in casa e lui piano piano aveva cominciato a calmarsi. Non si era allontanato da lui neanche quando era andato a lavarsi i denti e lo aveva addirittura aiutato ad asciugarsi i capelli.
Solamente quando doveva cambiarsi i vestiti, Yoongi non era entrato in camera sua e quando Jimin era uscito, con dei nuovi vestiti, aveva trovato una tazza fumante sul comodino del salotto.

Ora Jimin non sapeva bene cosa dire.

«Ho visto un bigliettino rosa, l'ho poggiato sul tavolo della cucina.» disse Yoongi. Si sentiva chiaramente che quell'affermazione non aveva solo uno scopo informativo, ma anche una nota interrogativa che necessitava una risposta.

Jimin capì di quale biglietto si trattasse e maledisse Seokjin per averlo scritto, ancor più se stesso per non averlo messo via.

«Vedi uno psicologo, Jimin?»
Lo aveva battuto sul tempo. Jimin annuì, continuando ad evitare il suo sguardo. Calò il silenzio e Jimin sentì le lacrime pizzicargli gli occhi dalla vergogna. Il suo corpo ebbe un tremolio.

Yoongi si avvicinò a lui, sussurrando qualcosa, poi gli si inginocchiò di fronte. Jimin teneva ancora la tazza dalle mani e Yoongi gliela tolse con un gesto gentile, avendo paura che potesse cadergli.

«Io... » poi un singhiozzo. Fece per coprirsi il viso con le mani, in un altro gesto disperato per nascondersi, ma Yoongi lo bloccò. La sua mano bianca e venosa, strinse quei polsi magri senza difficoltà. Jimin finalmente riuscì a guardarlo e la sua immagine gli scaldò il cuore. Il volto di Yoongi, così bello e gentile, gli fece lo stesso effetto di un abbraccio, ma allo stesso tempo gli fece sentire una strana sensazione nello stomaco, ugualmente piacevole.

L'altra mano di Yoongi andò accanto ai suoi occhi. Jimin non li chiuse, lasciandolo asciugare le proprie lacrime. Yoongi si godette ancora una volta quella fragile morbidezza.

«Te ne sarai accorto ormai.» disse Jimin, accennando un mezzo sorriso. Una sfumatura di tristezza e rassegnazione si levava agli angoli della bocca.
«Soffro di bulimia, Yoongi.»

L'altro ragazzo rimase immobile. Gli tornarono in mente tanti episodi e adesso gli sembrava di riviverli in modo totalmente diverso. Quante volte gli aveva portato la cena, senza domandarsi cosa mangiasse il resto del giorno e soprattutto se fosse veramente riuscito a mangiare.

D'un tratto, gli venne in mente sua madre che fumava dandogli le spalle. Una, due, mille volte, senza che lui potesse fare nulla. Poi, il suo letto d'ospedale. Per un secondo, gli parve di vedere la chioma di Jimin al posto di quella della madre. Il suo cuore mancò un battito.

Scosse la testa.

«Va avanti da un anno ormai e mi sono trasferito in questo paesino per diminuire lo stress e le crisi. Devo dire che sta funzionando.» si affrettò a spiegare Jimin, vedendo il volto immobile di Yoongi. Questo alzò lo sguardo verso di lui, ancora in ginocchio e continuò a fargli domande. Jimin rispondeva col sorriso e con un pizzico di divertimento quando Yoongi se ne usciva con qualcosa di bizzarro.

Passarono un bel po' di tempo a conversare e ad ogni sua risposta, Yoongi sentiva un peso andarsene dal suo corpo. Riacquistò il sorriso e con lui anche Jimin.

«Piuttosto...» disse Jimin alzandosi. Controllò qualcosa sul cellulare e lo lasciò aperto sul tavolino. Poi si diresse verso il corridoio per raggiungere la sua camera.

«Dammi il tuo numero!» urlò per farsi sentire. Yoongi venne catturato da un calore all'altezza delle guance. Spostò lo sguardo dal corridoio al telefono sul tavolino. Lo schermo si stava oscurando e presto si sarebbe spento. Yoongi lo prese e la luce tornò. Come sfondo della Home, una foto sua e un paio dei suoi amici che aveva già visto.

Gli lasciò il numero, ma controllò prima se non avesse altri Yoongi in rubrica, giusto per precauzione.

«Allora? Yoongi ci sei?» lo chiamò Jimin, affacciandosi in corridoio. Yoongi si girò verso di lui mostrandogli il telefono in mano e annuendo. Jimin sbatté più volte le palpebre e poi scoppiò in una fragorosa risata. Le sue guance erano rosse quasi come quelle del più grande.

«Io intendevo il numero di scarpa, però fa lo stesso.» Poi scoppiò di nuovo a ridere. Yoongi si ricordò solo in quel momento di essere ancora zuppo dalla testa ai piedi e che le sue scarpe erano sporche di fango. Jimin voleva dargliene delle altre, nella speranza che portassero lo stesso numero. Il suo evidente imbarazzo fece ridere ancora di più Jimin.

Yoongi rimase a fissarlo. Poco prima se ne stava accovacciato per terra a piangere e vederlo divertirsi in quel modo gli fece dimenticare il suo disagio. Si fece intrappolare nel suo sorriso come una farfalla in una ragnatela. Si ricordò il vero motivo per cui era arrivato fin lì.
«Senti Jimin, per l'altra volta...»
«Mi va bene.» lo anticipò Jimin, cambiando leggermente espressione.
«Non ho mai pensato a te come uno dei miei amici.»

Yoongi sentì il cuore fare una capriola, ricordandosi ciò che si era detto a se stesso.
Lui non voleva essere un amico per Park Jimin. Non voleva che lo guardasse con gli stessi occhi con cui guardava i suoi amici.

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