passaggio

115 15 3
                                    

Per quanto amasse la quiete di quel posto, i trasporti erano tutt'altro che favorevoli per lui. I cittadini si muovevano con vecchie auto, con biciclette e motorini, perfetti per fare aventi e indietro tra discese e salite sterrate. Jimin non aveva avuto la fortuna di essere un bravo guidatore e, dopo essere stato bocciato quattro volte all'esame di pratica, si era abbandonato all'idea di affidarsi ai mezzi pubblici a vita.

Il problema era che, essendo in un posto lontano da Seoul, gli autobus passavano poco e spesso con intervalli di ore intere.

Per questo motivo, quella mattina, Jimin stava correndo in un modo che gli avrebbe bruciato i polmoni. La gente curiosa lo seguiva con gli occhi e in poco tempo fu l'argomento preferito dei pettegolezzi mattutini. Il computer nello zaino sbatteva prepotentemente sui libri messi all'ultimo minuto.

L'autista dell'autobus portava le cuffie ad alto volume e, quando si accorse dell'orario, ripartì, non notando il ragazzo che rincorreva il suo veicolo sbracciando come un forsennato. Dopo poco rallentò la corsa e si mise le mani sulle ginocchia, annaspando in cerca di ossigeno.

«Ma vaffanculo.» imprecò. L'altra fermata era a chilometri di distanza.

Qualcuno suonò il clacson dietro di lui e solo in quel momento si rese conto di essere nel mezzo della strada. A testa bassa, si spostò velocemente. Il suo cervello era talmente occupato a pensare a una soluzione che non si accorse che il guidatore si era fermato di fronte a lui.

Forse avrebbe dovuto chiamare Jungkook, ma a quell'ora stava sicuramente dormendo.

«Gran bello stronzo, quell'autista.» Jimin alzò la testa e riconobbe il motorino rosso. Yoongi lo guardava con un sorriso divertito in volto.

Jimin gli rivolse un sorriso per educazione, ma il suo umore ebbe il sopravvento.

«Già. Beh, vorrà dire che mi aspetterà un altra nottata in bianco per capire Economia.» si arrese.

«Sali. Nel portapacchi c'è un casco.» Jimin sbatté le palpebre confuso, quasi sicuro di essersi sognato tutto. Yoongi gli fece un cenno con la testa, per incoraggiarlo a sbrigarsi.

«Devi andare alla stazione no? Se ti fidi ci arriviamo in venticinque minuti.» Jimin era dubbioso. Non tanto perché non lo conosceva bene, ma più che altro perché Yoongi era il tipo che se ne andava sfrecciando da una parte all'altra senza casco e che non calcolava spesso i freni.

Tra morire in un incidente con un ragazzo figo e fallire l'esame di Economia, preferiva sicuramente la prima. Si mise il casco con non poca difficoltà e si sistemò bene sul sedile, trovando il giusto equilibrio. Aveva i brividi. Yoongi non partì e subito dopo si guardarono entrambi dallo specchietto, entrambi con una domanda scritta in volto.

«Ti conviene aggrapparti.» disse Yoongi.  La canna del motorino ruggiva impaziente. Jimin allungo le sue mani fino ad arrivare a toccare la sua maglia nera. Yoongi ebbe un sussulto al gesto delicato delle sue mani, nonostante il tocco deciso e duro dei suoi anelli.

Yoongi gliele afferrò entrambe e gliele allacciò al suo petto. Il viso di Jimin si accaldò notevolmente.
«Scusa ma è necessario. Non sono tipo da andarci piano.»

Ed effettivamente era così.

Se di solito Jimin se ne stava zitto o dosava bene le parole quando parlava con Yoongi, durante la strada dimenticò qualsiasi forma di gentilezza e strillava di rallentare. Alquanto divertito, Yoongi ripeteva di non sentire le sue parole, dando la colpa al vento e al motore.

Dopo qualche chilometro, Jimin sembrò abituarsi alla velocità e risparmiò le sue urla solo alle curve. Ad un tratto, accostarono l'autobus che Jimin aveva perso e questo lo riempì di gioia. Forse sarebbe arrivato abbastanza in orario per tartassare il suo docente di domande.

Yoongi lo vide fare uno splendido e ampio sorriso attraverso lo specchietto. Preso dalla felicità, Jimin rivolse un elegante dito medio all'autista, prima che Yoongi accelerasse per superarlo.

La stazione si fece sempre più vicina e anche le macchine cominciarono ad aumentare, quindi Yoongi dovette rinunciare alla sua guida spericolata. Nonostante questo, Jimin non tolse mai le mani dal suo petto.
Yoongi trovò facilmente parcheggio, mettendosi proprio di fronte all'entrata. La zona della stazione era praticamente nel nulla, se avesse voluto, avrebbe potuto abbandonare il motorino nell'erba alta della collina accanto.

Dato che c'era, Yoongi si offrì di accompagnarlo fino al binario. Jimin si fermò al bar per fare colazione. Non prese il caffè. Quella corsa con Yoongi gli aveva procurato abbastanza adrenalina per altri due anni.

Non fecero in tempo a sedersi su una panchina, che il treno regionale sfrecciò di fronte a loro. Le porte del quinto vagone si aprirono di fronte a loro, ma non scese nessuno.

Era il momento di salutarsi. Yoongi si era preparato la frase "Ci vediamo Jimin." già diverso tempo prima perché non era mai stato abile a gestire le frasi fatte e non vedeva l'ora di far vedere il suo miglioramento. Gonfiò il petto, pronto per parlare per primo.

Ma tutta la sua sicurezza svanì in un attimo, lasciando posto al tremolio del cuore. Jimin si stava sporgendo verso di lui e per un istante sentì le sue labbra sulla sua guancia

Rosso MelaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora