Troppe canne e pessimi fratelli

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"Troia! Sei una sporca troia!" No. Lascia stare la mamma. Guardavo la scena da uno spiraglio. Mi nascondevo sotto al tavolo. Riuscivo a vedere solo la testa della mamma sbattuta sul tappeto, con la guancia incollata al nostro tappeto. La stava di nuovo picchiando, ma io dovevo rimanere nascosto. Me lo aveva detto lei. Non muoverti, Christian. Per nessuna ragione. "Puttana! Sei inutile!" Lei non era inutile. Lei era la mia mamma, e quell'uomo non doveva toccarla. Mi alzai, malfermo sulle gambe. Tremavo per la paura, per la rabbia, e lasciai che quest'ultima prendesse il sopravvento. Entrai di corsa nella stanza, buttandomi sulla schiena di quello scimmione. Puzzava come il liquido marrone che la mamma non voleva che bevessi. Lui si alzò dalla schiena di mia madre. Mi buttò a terra. Iniziò a picchiarmi. Sentivo ogni tocco, ogni sensazione.
"No! Lascialo stare!" Io piangevo e mi dimenavo, ma quello mi teneva per il collo. Non potevo muovermi. Non potevo respirare. Sentivo solo l'odore del fumo che appestava l'aria, e poi vidi il bagliore rossastro di una sigaretta. "Il mio bambino!" Mamma. Perché non mi aiutava? Perché non vedeva che stavo male? "Christian! Christian!"

"Christian. Ehi, Christian." Sbarrai gli occhi di scatto, mentre il fumo veniva sostituito dall'aroma di ammorbidente. Potevo vedere il mio braccio poggiato sul materasso, mentre stringeva convulsamente le coperte. Mollai subito la presa, senza voltarmi. Sapevo già chi fosse.
"Vattene dalla mia stanza, Lelliot." mormorai, spingendo il viso contro il cuscino. Sentivo l'odore del mio stesso sudore intrappolato tra le pieghe della federa.
"Alzati, idiota. E non chiamarmi Lelliot. Non hai più sei anni." Per tutta risposta gli alzai il dito medio, girandomi dall'altra parte. "Oh, molto maturo." Mi coprii la faccia con il lenzuolo, emettendo un mormorio contrariato. "Okay, non mi hai lasciato scelta, ma sappi che è la mia ultima risorsa." Ci misi un po' a capire di cosa stava parlando, ma quando ci arrivai mi voltai verso di lui, guardandolo con un misto di paura e determinazione.
"Non oserai..." Elliot strinse gli occhi a due fessure, girandosi in direzione della porta e aprendo la bocca. "No. Lelliot giuro che io..." Allungai un braccio per fermarlo, ma ormai era troppo tardi.
"Mia!" Merda! Provai ad alzarmi in fretta, ma ormai era troppo tardi. Il rumore di passi pesanti lungo il corridoio preannunciarono l'arrivo del disastro. Guardai Elliot con odio, e lui ricambiò con un sorrisetto soddisfatto, ma prima che potessi fare qualcosa una bambina di nove anni sbucò davanti alla mia porta, con un pigiama fucsia e i capelli neri sparati sulla testa. Ci guardò entrambi per un lunghissimo secondo, poi corse verso di me, gettadosi sul mio letto e buttandosi sulla mia faccia.
"Sono una scimmia!" la sentii gridare, mentre tentavo di togliermela di dosso. Ti sta toccando. Ti sta toccando. Ti farà del male. Allontanala.
"Mia, togliti." sussurrai, mentre sentivo il sangue che mi ronzava nelle orecchie.
"Buongiorno, fratellone. Elliot dice che devi svegliarti!" Ti sta toccando! Mi mancava l'aria, ma non riuscivo a staccarla. Sentivo il profumo dell'ammorbidente del suo pigiama, e la lana che mi strofinava la pelle.
"Mia, adesso basta!" gridai, afferrandola e buttandola dall'altra parte del letto. Mi accorsi di quello che avevo fatto solo quando la vidi uscire dalla mia stanza in lacrime, tenendosi le mani premute dietro la testa. Aveva sbattuto alla testiera in legno. Restai a guardare Elliot per qualche minuto, respirando affannosamente e incanalando aria inutile. A volte avrei voluto che mi si chiudesse la gola. Quando credetti che stesse per dire qualcosa, lui si limitò a scuotere la testa, facendomi un sorrisetto di scuse.
"Almeno sei sveglio. Dai, vestiti decentemente e scendi. Mamma e papà vogliono parlarti."
"Evviva." mormorai con poco entusiasmo, aspettando che Lelliot uscisse per ributtarmi sul letto e nascondere la faccia sotto al cuscino.

"Buongiorno, gente." Scesi le scale velocemente, tenendo una mano in tasca e passando velocemente in cucina per prendere un toast. "Vado a studiare da Josh." Vado da Elena. Erano tutti seduti attorno al tavolo, con la colazione già servita e l'attenzione rivolta altrove. Carrick leggeva il giornale. Grace beveva un succo di frutta. Forse se fossi stato abbastanza rapido non mi avrebbero visto. Chi credi di essere? Flash? Muovi il culo. Afferrai velocemente una fetta biscottata dal piatto in mezzo al tavolo e cercai di raggiungere l'ingresso secondario, sperando per un attimo che Lelliot mi avesse raccontato una bugia.
"Christian. Dove credi di andare?" Mi bloccai con la mano sulla maniglia, strizzando gli occhi in un gesto di sconfitta. Cazzo.
"Da Josh. Per studiare." ripetei, cercando di sembrare convincente.
"Oggi è domenica. Ed è il primo giorno di vacanze estive." mi ricordò lui, ma quando mi voltai notai che stava ancora leggendo. "Siediti." mi sentii dire, e tornai con malavoglia al tavolo. Grace mi mise davanti un piatto di pancakes e li inondò di sciroppo d'acero. Alzò una mano per accarezzarmi i capelli, ma riuscii a scansarmi in tempo prima che mi toccasse. Lei continuò a sorridermi, facendola ricadere su un fianco e tornando a sedersi come se niente fosse.
"Cosa vuoi?" chiesi, lasciandomi andare sulla spalliera e passandomi la lingua sul labbro inferiore. Sentivo la crosta che si stava formando sulla ferita all'angolo della bocca. Me l'ero fatta una settimana fa, ma Lorenz Goldwin non ne era uscito impunito. Carrick fece scorrere il suo sguardo sul mio corpo, prima di cacciare qualcosa dal giornale e gettarlo sul tavolo. Presi il foglio tra le mani, chiudendo gli occhi per mantenere la calma. Non stava leggendo il giornale. Stava leggendo la mia pagella. Elliot. Maledetto bastardo. L'avevo nascosta bene sotto al cestino dei rifiuti, o almeno così credevo. Guardai la sfilza di D, C ed F che mi si stagliavano davanti, pregando che l'uomo che adesso mi stava fissando malamente finisse presto la sua critica mattutina.
"Non siamo soddisfatti, ragazzo."
"Allora fatemi lasciare la scuola." Carrick mi fulminò con lo sguardo, ed io mi concentrai sui pancakes. Okay, forse buttarla sul ridere non andava bene.
"Siamo seri. La tua condotta è inaccettabile. Risse a scuola, rispondi male, e non credere che non sappia dell'erba che tieni nascosta nel secondo cassetto del tuo comodino." Per poco non mi strozzai con lo sciroppo.
"Quella è di Elliot." mi difesi, senza interessarmi di mettere nella merda la persona che stava per rovinarmi la giornata, o forse l'intera estate. Grace scosse la testa, sospirando.
"No. Elliot la nasconde sempre nell'armadio." Lasciai andare la forchetta, mentre nella mia testa pianificavo di tagliare la testa a quel coglione biondo. E pensare che ogni volta che gliela chiedevo lui si riteneva più casto di uno dell'anti-droga. Sentii un nuovo tonfo, e il sacchetto quasi vuoto di marijuana sostituì la mia pagella.
"Ora basta, Christian. Sei nostro figlio e ti vogliamo bene, ma non possiamo tollerare questo comportamento da sociopatico che ti ostini ad assumere."
"Non sono un sociopatico." mi difesi, leggermente offeso, ma Carrick alzò una mano per non essere interrotto.
"Abbiamo deciso che quest'estate andrai in un centro di recupero." Rimasi ad ascoltarlo, visibilmente sconvolto.
"Vi state liberando di me?" L'ho sempre detto: sei da buttare, biondino. Divorai i pancakes restanti in un lampo, cercando di zittire quella stupida vocina che mi rimbombava nel cervello.
"Oh no, tesoro. Non pensarlo neanche per un minuto." Grace si sporse verso di me, senza invadere troppo il mio spazio. "E' solo che siamo sicuri che un cambio d'aria ti farà bene. E poi sarà solo per tre mesi." Un centro di recupero. Bel posto dove nascondere il figlio sbagliato. "Guarda qui." Grace mi porse un deplian colorato, dove la scritta NARCONON spiccava in rosso su una stupida foto di un edificio che sembrava più la prigione di Amsterdam che un centro a cinque stelle.
"Io qui non ci vado!" gridai, alzandomi e sbattendo una mano sul tavolo. Carrick mi guardò con sfida, alzandosi a sua volta e assumendo la mia stessa posizione.
"Sì invece! Ora basta. Non ti rendi conto di quello che stai diventando? Dove vuoi arrivare? A spaccare il cranio a Mia?" Era arrabbiato, ma quelle parole mi colpirono come uno schiaffo. Come una bruciatura, e le cicatrici iniziarono ad ardere. Lui riprese il controllo di sé, risiedendosi e aggiustandosi la cravatta che gli stringeva il collo. Non lavorerò mai in un'azienda. Troppo stress, e poi l'abito non mi starebbe bene. Ma cosa cazzo andavo a pensare? Stavano per mandarmi nell'Auschwitz della droga e io riflettevo su un ipotetico lavoro? "Comunque è deciso. Abbiamo già pagato la retta. Prepara i bagagli. Domani Taylor ti accompagnerà a destinazione." Strinsi i pugni sotto al tavolo, dirigendomi verso l'uscita e sbattendomi la porta alle spalle. Christian Trevelyan Grey chiuso in un cazzo di centro di recupero! E per tutta l'estate. Cristo, che nervi! Cacciai un urlo di frustrazione e tirai un calcio ad un sasso lì davanti, mandandolo lontano.
"Ahia!" Uhm? Chi aveva parlato? Alzai la testa, pronto a uccidere chiunque mi si palesasse davanti, ma non mi aspettavo di vedere dei capelli lunghi. No. Una ragazza. Andava tutto bene. Le sarebbe bastato starmi lontano. Bastava non toccarmi. "Perché lo hai fatto?" Stava parlando con me, e si teneva la caviglia con la mano, appoggiandosi al muro accanto a lei. Gli occhi azzurri mi fissavano con rabbia.
"Non ti ho vista." mormorai, abbassando la testa e continuando a camminare. Notai che aveva fatto cadere un libro a terra, e che questo si era aperto sulla prima pagina bianca, mostrando poche parole scritte a penna. Proprietà di Anastasia. Nome assurdo.
"Almeno chiedimi scusa." Mi bloccai sul posto, voltandomi verso di lei e socchiudendo gli occhi. Lei invece sbarrò i suoi, e vidi che mi esplorava con lo sguardo. Fantastico. Ora mi stupra. Volevo andarmene da lì. Avevo bisogno di fumare un po'.
"Come ti pare." ringhiai, voltandomi e lasciandola immobile in mezzo al marciapiede. Mi parve di sentire un "coglione" mormorato, ma non mi fermai per accertarmene. Avevo problemi maggiori di cui occuparmi, tipo procurarmi l'erba che mi serviva prima di partire. Se ero sicuro di qualcosa, era che non l'avrei data vinta ai miei genitori. Se volevano spendere i loro soldi senza motivo, sarebbero stati accontentati.

It's only a bad dream, ChristianDove le storie prendono vita. Scoprilo ora