Cattivo, Christian

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Aspettai la colazione con ansia. Non andai fuori vestito in quel modo, ma mi tenni la camicia bianca, sostituendo il completo e la cravatta con dei jeans e delle scarpe mai messe. Buttai quelle da ginnastica in un angolo, dicendomi che le avrei indossate solo per andare in palestra. Era strana la sensazione di avere tutti gli occhi dell'istituto su di me. Non ero l'unico che andava vestito in maniera più elegante, eppure lo sembravo da come venivo osservato.
"Avete visto Christian, oggi?"
"Non ancora. Forse sta dormendo."
"No, fidati. Ci ho vissuto per un mese e non ha mai dormito per più di quattro ore."
"Allora forse il suo cervello è esploso." Ana tirò una bottigliata sulla spalla di Gideon, dandomi le spalle. Non si erano accorti che ero anch'io in mensa, ma quando mi avvicinai di più vidi Sophie stringere gli occhi, per poi sbarrarli di colpo, come scioccata.
"Oddio. Christian?" chiese, facendo voltare anche gli altri. Adam, Eva, Gideon ed Ana mi guardarono ad occhi aperti, alzando un sopracciglio.
"Come ti sei vestito?" sbottò all'improvviso Scott, e non potei fare a meno di osservare il loro abbigliamento trasandato.
"Ho deciso di cambiare stile. Il look stile drogato non mi donava più." dissi, stirandomi la camicia con una mano. "Come sto?" Eva si leccò le labbra, allungandosi un po' sul tavolo.
"Sei uno schianto."
"Concordo." ammise Sophie, alzando una mano. Mi aspettavo che anche Anastasia parlasse, invece rimaneva muta, continuando a fissarmi come se fossi una gigantesca mosca. "E tu che ne pensi, Steele?" Lei si riscosse, guardandomi finalmente negli occhi. Avrei voluto rimanere freddo e controllato, ma il suo sguardo era così spaesato che mi sentii come al primo ballo, quando provi vestiti su vestiti e aspetti il consenso della tua ragazza. E come in quel momento, abbozzai un mezzo sorriso e mi massaggiai la nuca con la mano.
"Allora? Ti piace?" Lei annuì, sorridendo a sua volta.
"Stai benissimo. Solo che..." Si alzò, venendomi vicino e allungando le mani verso il mio petto. Trattenni il respiro, credendo volesse accarezzarmi davanti a tutti, ma lei si limitò a slacciare il primo bottore, aprendo leggermente la camicia e sistemando il colletto, per poi passarmi una mano tra i capelli, scompigliandomeli leggermente. "Ecco. Così sei perfetto." sussurrò, e abbassai lo sguardo verso di lei.
"Puoi mangiare le uova o adesso hai bisogno delle forchette d'oro?" mi prese in giro Adam, ma mi accomodai comunque, poggiando il vassoio sulla mia Tavola Rotonda e lanciandomi sul cibo come un morto di fame. Dovevo scaricare la tensione che mi si era accumulata nel petto, e che minacciava di schiacciarmi come un chicco d'uva.
"Ehi, rallenta animale. Così ti macchi." Alzai lo sguardo verso Anastasia, e poi sul suo vassoio. Pieno. Intatto. No. Non questa volta. Mi guardava divertita, ed io mi pulii la bocca, facendo altrettanto.
"Come sono le tue uova?" chiesi, ma lei non si scompose, mentre vedevo Sophie ed Adam che mi guardavano di traverso. Voi sapete.
"Buone, ma non mi vanno. Vuoi?"
"No." dissi, più lapidario del solito. Mi corressi subito, tornando a sorridere mentre l'aria iniziava a caricarmi, e gli altri erano lì, a guardarci, come in attesa nel crescendo di una canzone. "Dovresti mangiare. Mi sembri dimagrita."
"Dimagrita? Io? Questa è carina."
"Perchè? Ti vedi grossa?" incalzai, e lei mi guardò con occhi strabuzzati. Una trappola mascherata da complimento.
"Certo che no, ma..."
"Quanto pesi?"
"Che domande sono? Non me le hai fatte neanche quando condividevamo la stanza."
"Semplice curiosità. Per me dovresti mettere su qualche chilo. Le ragazze scheletriche non piacciono a nessuno." Lei guardò il suo vassoio, e forse aveva capito che io avevo finalmente capito.
"Christian, non ho fame." ringhiò, lasciando andare la forchetta.
"Insisto. Mangia. Sono buonissime."
"Ho detto che non mi vanno."
"Anastasia." dissi tranquillamente, socchiudendo leggermente gli occhi. La colpii con il mio sguardo più severo, con tutto quel nuovo me che aveva rinchiuso la mia vecchia immagine in una scatola, e si era seduto sul coperchio per non farla uscire. E con tutta quella risoluzione repressa, mormorai quel tassativo: "Mangia." Lei sobbalzò, facendosi piccola davanti a me. Poi afferrò la forchetta e iniziò a divorare uova su uova, in preda alla foga. Sorrisi soddisfatto, riprendendo la mia colazione con più calma. Attorno a me c'era uno strano silenzio, e quando alzai lo sguardo capii perché. Mi stavano fissando tutti, Anastasia compresa.
"Sta succedendo qualcosa di fantastico dietro di me, o sono troppo bello?" chiesi sarcasticamente, ma loro non smisero di fissarmi come se fossi uno dei protagonisti di Alien. "Ragazzi, mi state mettendo a disagio."
"Quando hai intenzione di andare a parlare con Tyson?" Eva cambiò discorso, e gliene fui infinitamente grato.
"Non saprei. Oggi c'è un incontro speciale nell'Auditorium, no? Lo incontrerò lì e gli parlerò in privato. Non vorrei che facesse scenate."
"Un altro incontro speciale? Ma quanti malati ci sono, nel mondo?" Adam sbuffò, poggiando la guancia sul palmo della mano. "Spero non sia un altro mafioso redento, o giuro che urlo."
"Oh, Adam. Sono questi tuoi modi da primadonna che mi fanno impazzire." sussurrò Sophie, suadente, prima di scoppiare in una sonora risata, trascinando dietro anche noi.
"L'abbiamo persa." Rimanemmo a ridere e chiacchierare fino a quando non venne il momento della settimanale seduta dal dottor Flinn. Prima di me scomparve Gideon, poi fu il mio turno. Notai felicemente che Anastasia aveva finito tutte le uova, anche se i fagioli erano ancora lì, ma non potevo pretendere molto il primo giorno. Lasciai gli altri alla loro conversazione sui feticismi vari e mi diressi a schiena dritta nello studio di Flinn. Non bussai. La solita ragazza dark che vedevo uscire sempre prima di me fece il suo ingresso nella mia vita. Non si truccava più come prima, e notai una camicetta bianca sui pantaloni neri. Era la prima volta che la vedevo uscire lì con un sorriso, e quando mi vide, inaspettatamente, mi salutò con una mano curata e perfettamente smaltata. Wow. Ricambiai, prima di entrare nello studio. Il dottor Flinn era chino sulla sua cartelletta, seduto sulla solita poltrona in pelle.
"Buongiorno, dottore."
"Buongiorno, Chris..." Alzò lo sguardo verso di me, immobilizzandosi. Oh, già: il nuovo look. Avrei dovuto cambiare maglietta prima. "Bene: vedo che abbiamo qualcosa di cui parlare." Sorrise, prima di indicarmi il mio solito posto. Mi accomodai tranquillamente, poggiando un gomito su un bracciolo.
"Ha fatto un buon lavoro con la ragazza-punk." mi complimentai, e lui guardò verso la porta chiusa.
"Oh, Leila? Ha un ottimo talento artistico, quella ragazza. Però tende a farsi sottomettere facilmente." Sottomettere? Forse Elena avrebbe voluto conosc... Persi il sorriso all'istante, ripensando a quello che mi aveva detto la mia dominatrice. Avevo abbracciato Anastasia davanti a Grace, e lei sicuramente aveva parlato dell'ultima cotta del figlio alla sua migliore amica, nonchè vicina di casa. Mi infossai di più nella poltrona, improvvisamente sottoshock. "Christian? Tutto okay?"
"Certo." Ritornai in me, riorganizzando le idee. Sarei stato punito. Beh, poco male. La seduta passò in fretta. Solite domande che mi aspettavo facesse.
"Perché questo cambiamento?"
"Citando Il Grande Gatsby, signore: la mia vita deve mirare in alto. E mio padre ha sempre detto che per arrivare dove si vuole serve l'abito giusto."
"Padre? Intendi Carrick?"
"Certo. Quanti padri creda che abbia?" Insomma, cose del genere. Per certi versi ne fui quasi deluso. Scriveva più del solito su quella sua cartellina rossa, e quando l'ora finì, mi chiese la mia lista delle cose felici. Come sempre, la estrassi dalla tasca e gliela porsi, completamente scritta. Ci avevo messo tante cose, molte delle quali sembravano uscite dalla mano di una ragazzina, ne ero consapevole. Quale ragazzo avrebbe detto che gli piaceva essere abbracciato? Nessuno, a meno che non stesse scrivendo su un sito di incontri. Eppure era quella la cosa che mi piaceva di più. Sentire il cuore di Anastasia che batteva a pochi millimetri di pelle dal mio.
"Bene, mi hai piacevolmente sorpreso. Puoi andare, se vuoi." Non me lo feci ripetere due volte, balzando in piedi e correndo con forse troppa foga verso la porta. "Oh, Christian?"
"Sì?" Il dottor Flinn sorrise, e fu quel sorriso a spingermi a volerlo anche in futuro, quando i miei demoni sarebbero tornati all'attacco, pronti a spianare le mie difese. Quel sorriso, e forse la sua cravatta.
"Sai che Gastby è morto, vero?"

Non potevo dire che quelle parole non mi avevano lasciato l'amaro in bocca. La mia era una semplice citazione, eppure Flinn aveva ritenuto necessario rivelarmi il finale di un libro che, a questo punto, non avrei più finito di leggere. Cosa voleva dire? Sarei finito anche io come lui? Sarei morto? Tutti muoriamo, in fondo. O forse voleva dirmi che quella non era la strada giusta per me? Quella sottile linea, il confine su cui camminavo, era l'ennesimo sbaglio?
"Mr Cinquanta!" Anastasia interruppe i miei pensieri, eppure dovevo esserci abituato, ormai. Mi aspettava fuori dallo studio del dottor Flinn con un un enorme sorriso stampato in faccia.
"Ehi. Che è successo?" dissi, notando la sua espressione euforica. Venne verso di me, sventolando l'abito a fiori che aveva indossato in quel giorno particolarmente caldo. Sorrisi di rimando, ma quando si avvicinò di più notai che quell'espressione nascondeva una tirata paura. "Anastasia? Che ti prende?"
"E' tornata." disse, senza staccare i denti gli uni dagli altri. Come se non volesse che qualcuno vedesse che mi stava parlando.
"Chi?" chiesi, aggrottando le sopracciglia. Lei puntò un dito verso il corridoio, dove una donna bionda in prendisole bianco stava tranquillamente conversando con una delle guardie.
"Tua nonna." Ancora non capivo, ma quando arrivò la consapevolezza, fu come un fulmine a ciel sereno. Sbirciai in direzione del suo dito, e in quella donna in prendisole riconobbi Elena. In quel preciso istante anche lei mi vide, ma non si scompose, ondeggiando delicatamente le dita in un gesto di saluto. "Vomitevole." ringhiò Ana, mentre Elena Lincoln si avvicinava, accompagnata da quello che, nelle fugaci conversazioni captate nelle mie passeggiate in corridoio, doveva chiamarsi Gary.
"Christian caro. E' da un bel po' che ti cerco." Si avvicinò a me, dandomi due veloci baci sulle guance.
"Buonasera, signora Lincoln." dissi, garbato, ma Elena stava già osservando Anastasia, che la squadrava con altrettando disgusto malcelato.
"Oh, chi non muore si rivede." Anastasia fece un mezzo sorriso, avvicinandosi di più a me.
"E pensare che io ci avevo anche sperato." Mi massaggiai la radice del naso con le dita, sapendo di essere spacciato. Un solo estintore per due fuochi diversi. Quale spegnere? Forse avrei solo dovuto aspettare che i due incendi si unissero, diventando un'unica e rovente Apocalisse, ma a quel punto sarei rimasto scottato comunque.
"Ragazzina simpatica." si limitò a dire Elena, per poi guardarmi. "Gary è un mio vecchio amico. Ha detto che può concedermi una mezz'ora per parlarti. Sai, è urgente."
"Non poteva risolvere con un'interurbana?" chiese Ana, sarcastica. Abbassai lo sguardo, e notai qualcosa che sporgeva dall'enorme borsa pachwork della donna. A prima vista poteva sembrare la coda di un enorme topo, ma avevo visto abbastanza volte quella roba da sapere che era una frusta. Cosa? No. Non qui.
"Lei è gentile a farmi visita, signora. Purtroppo tra poco ho l'incontro in Auditorium e..."
"Ci vorrà poco. Tua madre ha detto che è veramente importante." Allungò una mano, poggiandomela sul braccio in tono confidenziale, ma mettendosi in modo da tagliare completamente fuori Ana. "Per te va bene, giusto Gary?" La guardia disse di sì, a patto che fossi riuscito a recarmi quanto prima in Auditorium. Ovviamente sarei stato perlustrato, ma era questione di prassi. Giusto per sapere se la donna vestita di Gucci spacciasse droga in un istituto correzionale. "Visto? Farò in fretta, te lo giuro. Sarà una cosa veloce." Oh, su questo non avevo dubbi. Continuai a guardare Ana negli occhi, mentre Elena mi costringeva a darle le spalle. Beh, avevo fatto trenta, perché non tentare il trentuno?
"Ci vediamo nell'Auditorium." gridai quindi, alla fine del corridoio. "Tienimi un posto in prima fila!" Anastasia sorrise a quelle parole, alzando il pollice in aria, mentre le unghie di Elena si conficcavano nella carne sotto alla camicia. Gary ci portò davanti alla porta della mia stanza.
"Hai una camera tua." disse "Ed Elena voleva qualcosa di appartato e confidenziale." Ancora oggi, a distanza di anni, sono sicuro che lui sapesse cosa stava per succedermi. Forse era un dominatore, nonostante la pancetta, oppure era stato un sottomesso di Elena. Un Gary sottomesso. Con quelle enormi spalle. Faceva quasi ridere. Entrai nella stanza, ed Elena concesse un ultimo, raggiante saluto a Gary il sottomesso, prima di chiudere la porta e girare una chiave che io di certo non le avevo dato.
"Christian. Christian. Christian. Cosa devo fare con te?" chiese, lasciando la chiave nella toppa.
"Elena, io..."
"In ginocchio."
"Ma..."
"In. Ginocchio. Non te lo ripeterò ancora." Abbassai la testa, sentendo le gambe improvvisamente molli. Mi inginocchiai, facendomi anche un po' male. "Non sai quanto sono rimasta sorpresa quando Grace mi ha raccontato dell'enorme e strampalato mucchio di amici del suo figlioletto." Posò borsa e capello sulla scrivania, togliendosi il prendisole e rimanendo in biancheria di pizzo bianca. "Anastasia. Giuro che non riesco a capire cosa abbia di così speciale quella ragazzina con la lingua biforcuta." Lingua biforcuta. A lei sarebbe piaciuto. Ridacchiai immaginando un'Anastasia con una lunga lingua a forbice, che mi sibilava contro ad ogni S. "Smettila." ringhiò lei, e sentii lo schiocco della frusta a pochi centimetri dal mio viso. "Ho pensato molto alla tua punizione. In fondo, mi hai disubbidito." Schioccò di nuovo la frusta, e questa volta mi prese ad una spalla. Mi misi a quattro zampe, ringhiando per il dolore, mentre sentivo che mi stava venendo duro. Avrei voluto rimanere impassibile, ma mi era impossibile. Il mio cervello associava ancora il dolore acuto al piacere più intenso, solo che questa volta dubitavo che ci sarebbe stato anche quello.
"Elena, ascoltami." Mi sentii afferrare per i capelli, mentre lei avvicinava il viso al mio, accarezzandomi la guancia con le labbra.
"Come mi hai chiamata, sottomesso?" sussurrò, proprio dentro al mio orecchio. Avevo il respiro pesante, mentre avvertivo la sensazione fresca e liscia della frusta sulla pelle della schiena. Fu l'inizio di una tortura meticolosa che durò trenta fottutissimi minuti, o forse erano anni, non avrei saputo dirlo. Sapevo solo che alla fine ero steso sul letto, con ancora le mutande addosso, i polsi legati alla testiera del letto che portavano i segni dei miei tentativi di liberarmi. Respiravo a fatica, sentendo il sapore del sangue in bocca. Questa volta ci era andata giù pesante, ma non era ancora finita. La vidi avvicinarsi a me ancora una volta, e poi lo sbrilluccichio di qualcosa che aveva nella mano. Un coltello. Avevo già detto che i tagli non mi piacevano. Ci aveva provato una volta, ma mi ero ribellato.
"Basta." piagnucolai, cercando di liberarmi. "Non ne posso più." Ero dolorante, eccitato e insoddisfatto. Aspettavo su quel letto come una puttana in attesa, ma Elena non aveva intenzione di sfiorarmi con la sua pelle. Avvicinò la lama ai miei addominali, e il cuore iniziò a battere forte.
"Facciamo il conto delle cose che hai sbagliato. Hai continuato a fumare, nonostante io te lo abbia vietato." Il coltello incise un taglio lungo l'addome, mentre con la mano sinistra iniziava a stimolarmi da sopra i boxer. "Hai continuato a vedere quel mucchio di drogati anche senza il mio permesso." Un altro taglio, e la stimolazione continuava. Digrignai i denti, mentre Elena raccoglieva una goccia di sangue con la lama, spalmandomelo sulla guancia. "Hai permesso a quella ragazza di offendermi." Tagliò di nuovo, ma io ero quasi al culmine. Tirai le manette, trattenendo ancora un grido di dolore. "Non mi hai chiamata padrona." Smise di stimolarmi, e mentre sentivo la sensazione di piacere allontanarsi, mi incise un'ultima volta.
"Ti prego. Padrona, ti prego." Ormai imploravo: volevo che posasse il coltello e finisse il suo lavoretto, ma Elena si rimise il prendisole, mettendo tutto nella borsa, compresa l'asciugamano che aveva poggiato sotto di me, sporca di sangue. Mi coprii le ferite con delle salviette umidificate, in modo che non colassero, poi mi tolse le manette.
"Ecco quello che succede ad essere disobbedienti, Christian. Ricordati questo: sei un sottomesso, e lo sarai sempre. Posso anche insegnarti tutte le arti del mestiere, ma sei e sarai sempre quello che la prende in culo, quello che morde il cuscino, e questo non cambierà neanche se vesti Dolce e Gabbana e vai in giro con una Spider. Ricordati chi comanda, Christian Grey, e chi ti rimmarrà quando quest'estate sarà finita." Detto questo chiuse la porta, lasciandomi da solo a leccarmi le ferite. Provai a rialzarmi per vestirmi, ma ero sfinito, moralmente e fisicamente. Mi venne da piangere, ma non avrei dato soddisfazione ad Elena. Mi rimisi a sedere a forza, per poi provare a rialzarmi. Caddi miseramente a terra, con un dolore immenso in mezzo alle natiche dove Elena aveva voluto provare il suo nuovo giocattolo. Poteva andare peggio di così?
"Christian." Sbarrai gli occhi, voltando la testa verso la porta. Gideon e Adam erano lì, uno di loro reggeva ancora la maniglia con la mano. Ed io ero a terra, sanguinante, pieno di graffi e frustate. Come se i segni sui polsi non fossero già abbastanza rivelatori. Ed eccoli lì. I miei due migliori amici, uno dei quali era stato violentato da piccolo, guardarmi distrutto dalle mie stesse pratiche. Una larva sul pavimento. Probabilmente il mio nuovo me si sarebbe rialzato e avrebbe raccolto la sua dignità, ma il mio vecchio me era nella scatola, e adesso aveva tirato fuori due dita. No. Torna dentro. "Cosa ti ha fatto quella pazza?" Continuai a guardare a terra, senza rispondere. Non ne avevo voglia. I segni erano già abbastanza visibili. Invece dissi altro. Un'ammissione che, con il tempo, non feci mai più in maniera così esplicita.
"Ho bisogno di aiuto." Li guardai, mordendomi il labbro a sangue. "Ho bisogno di aiuto, ragazzi."

It's only a bad dream, ChristianDove le storie prendono vita. Scoprilo ora