VI

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Dopo l'infinita lista di raccomandazioni finalmente mia madre se n'è andata. La guardo buttare la valigia nel bagagliaio della sua Volvo blu e salire. Accende il motore e parte dopo avermi salutato per l'ennesima volta con un cenno di mano. Non appena la vedo sparire in fondo alla strada vengo travolta da un senso di libertà unico. Non mi sono mai sentita meglio in vita mia, avere la consapevolezza che rimarrò sola per tutta la settimana mi rende talmente felice che mi viene voglia di saltare per tutta casa. Mi lancio sul divano e aspetto l'arrivo di Luke mentre guardo Spongebob. Giocherello con le punte dei miei capelli color miele finché non mi si chiudono gli occhi dalla stanchezza. La notte in bianco che ho passato ha avuto lo stesso effetto del jetlag che ho sofferto quando, dall'Australia, sono atterrata in America. Mi rannicchio su un fianco, sto per addormentarmi quando sento il campanello della porta suonare. Lo ignoro e mi giro dall'altro lato con una certa nonchalance. Suona ancora e grugnisco prima di rendermi conto che stavo aspettando Luke. Salto giù dal divano e arrivo alla porta arrancando dalla stanchezza. Cerco di sistemarmi i capelli e il campanello suona di nuovo.
"Arrivo" grido.
Apro e mi trovo davanti Luke con in mano una busta bianca, che poi mi porge.
"Stracciatella, banana e yogurt. I tuoi preferiti."
Non posso far altro che sorridere. Lo faccio entrare e chiudo la porta alle mie spalle.
"Grazie" mormoro appoggiando la vaschetta colma di gelato sul tavolo della cucina.
Luke afferra due cucchiai e me ne porge uno. Vado in salotto e mi siedo tra i cuscini del divano, seguita da Luke che si mette di fianco a me.
Era da tanto che non passavo un pomeriggio così e tutto ciò mi mancava da morire.
Affondo il cucchiaio nella stracciatella e inizio a mangiare mentre in tv Spongebob è disperato per aver perso Gary.
"Mi mancava stare con te" sussurra prima di mettere in bocca un po' di gelato alla banana.
Non rispondo e mi godo Spongebob in silenzio mentre condivido il gelato con Luke, che ogni tanto mi lancia qualche occhiata.
Affondo il cucchiaio nella vaschetta e mi accorgo che è rimasto solo un boccone. Guardo i due occhi blu davanti a me, incerta se finirlo io o no.
"Puoi finirlo, Bea. L'ho preso per te" mi rassicura.
Obbedisco e l'ultima cucchiaiata di gelato alla banana mi fa venire mal di testa. L'ho mangiato troppo in fretta.
"Grazie ancora."
Luke mi sorride con dolcezza. Da quando è tornato sembra volersi far perdonare in qualsiasi modo possibile e immaginabile. Era prevedibile, l'avevo immaginato, ma in fondo non mi dispiace ricevere tutte queste attenzioni. D'altronde sta cercando di recuperare in exstremis.
"Sento di essermi perso un pezzo della tua vita, mi sento distante e sono stato via solo due mesi o poco più" dice tenendo lo sguardo fisso sul televisore.
Picchietto le dita sulla vaschetta di polistirolo, voglio scaraventarla per terra; la voglio vedere rotta per potermi riconoscere in ogni minimo pezzo frantumato sul pavimento. Perché io ormai sono distrutta e non basta un solo cerotto per tenere insieme tutte le parti separate.
Grazie, per colpa tua forse potrei rimanere così per sempre; con il cuore frantumato in mille pezzi. Colpa tua. E ora chi mi aggiusta più?
"Ti sei perso tutto" gli dico mentre appoggio la vaschetta di gelato sul tavolino. "Forse ti senti così distante da me perché siamo cresciuti. Il dolore cambia le persone."
Il dolore accelera il processo di crescita di una persona. Dicono che fa parte della vita, che prima o poi qualcosa di bello in cambio dalla vita lo otteniamo. Invece dono tutte stronzate, siamo nati per soffrire e con la sofferenza si cresce. Diventi grande e i problemi non fanno altro che ingigantirsi. La vita non fa sconti a nessuno. È così, siamo solo un errore della natura che ci ha donato fin troppa coscienza.
"In Inghilterra stato con una ragazza" sputa fuori all'improvviso. Fisso costantemente il televisore ancora acceso. Lo spengo e mi giro verso Luke, che non ha nemmeno il coraggio di guardarmi in faccia.
Stringo la mascella cercando di trattenere tutta la rabbia che ho in corpo e deglutisco rumorosamente, ho la bocca arida.
"Ci sei andato a letto?"
"Sì."
Penso alla nostra prima volta e alla nostra mancata esperienza. Mi dispiace avere dei così bei ricordi con una persona di cui non voglio nemmeno più vedere un capello.
"Era brava almeno?"
"Sì" ammette. "Ma tu eri speciale."
"Cosa c'entro io adesso?"
"Pensavo a te mentre lo facevo. Eri sempre nei miei pensieri, Bea."
"Mi fa strano crederlo, dato che ti sei subito consolato con una ragazza!"
Non sento se il mio tono sta diventando alto, ho le orecchie tappate. Il sangue mi ribolle nelle vene, ho bisogno di sapere com'era questa misteriosa ragazza. Voglio immaginarmela per poterla sognare di prenderla a sberle.
"Com'era?"
"Bea, io.."
"Ti ho chiesto com'era fisicamente!"
"Aveva i capelli come i tuoi, usava il tuo stesso profumo. Gli occhi verdi, alta."
Afferro i due cucchiai e la vaschetta di polistirolo prima di rifugiarmi in cucina. Apro il rubinetto e lavo le posate con l'acqua gelida che mi raffredda le mani.
"È successo solo una volta."
Mi asciugo le mani e mi paro davanti alla figura di Luke che torreggiava sulla mia. È enorme.
"Grazie per avermelo detto, mi sento meglio ad aver saputo che la persona che amo di più al mondo, oltre ad avermi lasciata e fatta soffrire come un cane, mi ha subito rimpiazzata con un'altra!"
"Se mi ami ancora allora perché non ci riproviamo?"
Appoggio le mani alla superficie levigata del tavolo e alzo il mento verso Luke, di fianco a me.
"Per una questione di rispetto verso me stessa e tra l'altro sono ancora arrabbiata. Non ti meriti un cazzo e sicuramente non voglio darti la soddisfazione di rimettermi con te."
Rimane senza parole. Lo guardo, lì, davanti a me con tutti i muscoli contratti. È incazzato o deluso, non capisco. Non lo conosco più.
"Dai, dimmi quello che pensi, Luke."
Mi guarda e trascina una sedia verso di lui per poi sedersi. Appoggia i gomiti alle ginocchia e infila la testa tra le braccia. Guarda zitto il pavimento della cucina, poi parla.
"Ho sofferto anche io e non sai quanto ho pianto dopo quel messaggio. Non so nemmeno con che coraggio l'ho scritto, non so a cosa pensavo quella sera. È solo che.." Respira profondamente e deglutisce prima di continuare. "Volevo il nostro bene, soprattutto il tuo e io sarei dovuto rimanere in Inghilterra cinque anni. So che la nostra storia non sarebbe potuta continuare comunque e ho deciso di farla finita. Ho dovuto buttare il telefono nello scatolone per dimenticarti, ho cercato di conoscere quella ragazza ma anche in lei mi vedevo ancora te. Ti vedevo ovunque."
Ha la voce rotta dal pianto. È come un misero bambino a cui hanno appena rubato un pacchetto di caramelle. Senza accorgermene mi scende una lacrima sulla guancia, inizio a piangere anche io. In silenzio.
Mi avvicino a lui, gli sfioro i capelli biondi scompigliati e lui si tira su. Mi guarda con gli occhi lucidi da cucciolo abbandonato. Stringe le braccia attorno a me, appoggiando la testa sulla mia pancia.
"Ti amo ancora, ti amo come prima. Non ho mai smesso."
Passo le mani tra i suoi capelli mentre sento le sue lacrime bagnarmi la maglia di cotone. Gli prendo il viso e lo guardo. Stiamo piangendo entrambi come due disperati.
"Non piangere più."
"Bea.." mi dice. "Ti amo."
"Io non.. Non me la sento di rimettersi di con te, almeno non per ora."
"Lo capisco" borbotta. "Hai ragione."
Sorrido tristemente. Una parte di me di metterebbe subito con lui, l'altra lo manderebbe a fanculo in men che non si dica. Come al solito non so cosa fare, sono combattuta, ma il cuore, nonostante sia ancora in mille pezzi, mi manda ancora qualche impulso. Posso mentire agli altri, ma non a me stessa; lo amo ancora.

Sotto il cielo d'ottobre, l.hDove le storie prendono vita. Scoprilo ora