XXVI

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Forse eravamo davvero qualcosa di troppo complicato.

21 Novembre 2016

È il compleanno di Marco, il secondo, e il primo passato senza sua padre.
L'ho lasciato io, dopo che era tornato a casa ubriaco marcio per l'ennesima volta.

Non sembrava più lui, col viso asciutto, le guance scavate e due segni violacei sotto gli occhi che non se ne andavano più.
Eppure dormiva, mangiava, buttava giù di tutto, cibo spazzatura, e nessuno capiva cos'avesse.

I giornali iniziavano a pubblicare articoli su articoli dicendo che si drogava, che prendeva roba pesante, la cocaina. Dicevano che si bucava, ma quello non c'aveva niente. Aveva le braccia pulite, bianche.

Non era la droga che lo stava uccidendo, ma la fama.

Lo stavano disintegrando.
I 5 Seconds Of Summer non facevano bene a nessuno, a Luke prima di tutti.
Era l'unico che stava così male, sembrava stesse lì sul punto di morte e me lo disse anche prima che feci le valigie.

"Così mi uccidi" mi gridò. "Mi dai il colpo finale!"

Ma non è ancora morto. È vivo, a Los Angeles, nella loro reggia da un miliardo di dollari.
Chissà quante bottiglie si starà scolando. Vodka, assenzio puro, Rum.
Ormai a noi non ci pensa più, non ha nemmeno chiamato per il compleanno di suo figlio.

Anche i suoi genitori sono disperati, i suoi fratelli non sanno più cosa fare, dicevano che lui non era così, ma io sono quella che lo sa più di tutti. So che non era così, lo so bene.

"Tanti auguri a te, tanti auguri a te, tanti auguri a Marco, tanti auguri a te" cantiamo tutti in coro.

Marco è diventato grande, cammina, corre in giro e riesce a mettere insieme due parole alla volta, quanto basta per farsi capire.

Lui è tutto contento, batte le mani, mi guarda e ride. Mi cerca con lo sguardo mentre cerca di soffiare le candeline in braccio a nonna Liz. Io gli sorrido e gli mimo cosa fare, lui ci prova ma non riesce. Allora mi tocca avvicinarmi, lo prendo in braccio io e soffio sulle candeline mentre lui ci prova.

Pensa che ce l'abbia fatta da solo, invece l'ho aiutato io, ma come faccio a dirglielo, è solo un bambino.

Tutti applaudono, ridono e poi c'è Marco che mi guarda, si gira e mi tira i capelli, "mamma porta".
"Cosa?"
"Porta" dice più forte.
Io strizzo gli occhi cercando di pensare a cosa volesse dire, poi vedo che indica la porta di casa, "hanno suonato alla porta?"
"Sì, mamma."
"Vuoi andare ad aprire tu?"

Fa cenno di si con la testa, con quei suoi capelli biondi che gli finiscono sempre davanti agli occhi e che mi tocca scostare sempre.
"Forse dovremmo tagliarci i capelli, che dici?"

Arriviamo alla porta e lo sollevo per fargli girare la maniglia.
Quando si apre mi trovo davanti l'ultima persona che avrei mai immaginato.
"Papà" grida Marco ormai già tra le braccia di Luke.
"Auguri ometto."

Io non dico niente, torno al tavolo e taglio la torta mentre Luke saluta tutti.
Metto le fette sui piatti di carta che ho comprato apposta, quelli blu coi pesciolini rossi stampati sopra.
"Porto gli invitati fuori in giardino, che ne dici?" mi chiede Liz.
"Va bene."

Escono tutti e Luke mi si para davanti con la sua espressione da coglione stampata in faccia, "ciao."
"Che sei venuto qua a fare?"
"Bea, ti prego" dice afferrandomi le mano. "Mi mancate troppo."
"Anche a Marco manchi."
"E a te?"
"A me manca il vero Luke, non lo zombie che mi ritrovo davanti. Questo non sei tu."

Abbassa lo sguardo, posa gli occhi sul nuovo paio di scarpe: degli stivaletti neri che gli coprono le caviglie sottili.
Dove sono finite le tue Converse nere, eh Luke?

"Non bevo più."
Io mi siedo sullo sgabello della cucina e mi stropiccio gli occhi struccati, troppo stanchi perché non chiudo occhio da quando ho mollato Luke a LA.
"Sono io, Bea. Sono Luke, lo stesso di cui ti sei innamorata. Sono sempre io."

Luke certe volte sa essere davvero molto convincente e io quasi ci credo alla miriadi di stronzate che sta dicendo.

Mi alzo e butto un'occhiata fuori, Marco sta giocando a palla in giardino, con Zoe, la nipote di Liz.

Guardo il mio bambino.
Non posso permettere a nessuno di ferirlo e non lo farò fare nemmeno a suo padre.
Io ho il compito di proteggerlo e se Luke vuole tornare da noi allora deve dimostrarmi che è cambiato davvero.

Non mi bastano più le parole, nemmeno quelle belle.

"Non voglio stare male per l'ennesima volta, non posso permettermelo" dico guardandolo negli occhi. "Guardami, sono già distrutta così. Poi chi m'aggiusta più?"
"Io non... Non so cosa dire se non che mi dispiace."

Scuoto la testa, Luke si avvicina a me, mi passa le mani sulle braccia, "so che hai bisogno di me."

Forse è vero, ho bisogno di lui. Senza Luke non sono niente. Sento che mi manca qualcosa, sono vuota, senza significato. Mi sento così piccola, ma non gliela voglio dare vinta, non anche questa volta.

"Ho bisogno di qualcosa che mi fa stare male. Un paradosso, no?"
"Scusa se della vita non ci capisco un cazzo. Non lo faccio apposta, sto imparando, ma sono un completo disastro e.." Fa un gran sospiro, ha gli occhi lucidi. "E ho bisogno di te."

Mi alzo lasciando Luke dov'è, non si muove, mi guarda con gli occhi lucidi di chi sta per piangere.
Appoggio una mano sulla maniglia della porta finestra di vetro, "dovevi pensarci prima".

Una filo d'aria fresca mi solletica la pelle facendomi rabbrividire.
Marco, non appena mi vede, si alza e cerca di correre verso di me.
Io mi abbasso e lo stringo al mio petto.
"È tutto okay?" gli chiedo guardandolo.
Lui fa cenno di sì.
"Papà!"

Luke sbuca da dentro con le mani incrociate al petto, piega le ginocchia e stringe il braccio di Marco tra le sue dita sottili e bianche, "Hey ometto, ti va di venire a Londra con me per un po'?"

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Mahalo per tutti i commenti e voti.
Alla prossima, Marti.

Sotto il cielo d'ottobre, l.hDove le storie prendono vita. Scoprilo ora