12. Nagisa, Parte 2

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Disteso a pancia in su, sul letto della sua abitazione, Shoko fissava il soffitto giocherellando con il suo cellulare tra le dita.
Non si era più recato al dojo Higurashi per ricavare informazioni sulla sua rivalità con quello dell'esile karateka Nagisa Kimura, poiché mentre lui e Mike erano intenti a raggiungerlo, era arrivata loro una chiamata proprio da parte di quest'ultima.

"Domani ci sarà un incontro tra me e un membro del dojo Higurashi, magari è una coincidenza, ma il tempismo con la sparizione di mia sorella mi è sembrato piuttosto sospetto." aveva riferito al telefono Nagisa, così Shoko e Mike avevano deciso che le somme sul coinvolgimento o meno dei rivali di Nagisa nella questione le avrebbero tirate l'indomani all'incontro, in modo da poter agire nell'ombra, inosservati.

"Questo è il bello delle agenzie private." aveva commentato Mike, leggermente acido. "Non ci sono i vincoli di permessi e mandati come in polizia!"

Shoko gli aveva dato appuntamento per l'evento del giorno dopo ed era tornato a casa; intanto calava la sera e Saori non si era ancora fatta vedere.
L'uomo pensò che fosse molto singolare come cosa: di solito lei non faceva mai tardi.

Dopo la disavventura all'edificio di Teary Spiral, che anche Hanae aveva incrociato in passato, Shoko non aveva più visto né parlato a Saori tutto il giorno, e stava iniziando a preoccuparsi un po'.

Optò per un messaggio, così da sincerarsi delle sue condizioni. "Dove sei finita? Stai bene? Rispondimi appena puoi." le scrisse.

Dopodiché, tornò a guardare la superficie ruvida del soffitto, le mani incrociate dietro la nuca.

Immaginò invece di averla al suo fianco in quel momento e questo lo fece sentire sicuro. Una dolorosa nostalgia iniziò a impadronirsi di lui.

Non aveva mai dimenticato la sera in cui la sua partner l'aveva salvato da una morte per fame e congelamento in mezzo alla neve, accanto a quel bidone in cui giaceva beata la sua pistola attuale, in attesa di essere raccolta. Quando gli aveva lanciato quella pagnotta bollente nel cestino, gli aveva restituito la facoltà di vivere. Shoko non avrebbe mai smesso di ammirarla per quello.

Col tempo aveva stabilito un rapporto di complicità e quotidianità con la ragazza, fino a che la sua presenza accanto a lui era diventata una certezza, qualcosa la cui importanza Shoko aveva realizzato solo in quel momento. Ma un giorno non troppo lontano, nonostante tutto, sarebbe dovuta andar via. Nient'altro a parte lo stesso silenzio di quel momento avrebbe riempito casa sua.

"Detesto ammetterlo, ma mi manca più di quanto osassi immaginare..." mormorò, sprezzante, nel buio.

Si accese una sigaretta e inspirò il denso fumo, grigio come i suoi occhi, per poi cacciarlo fuori con un sospiro sconfortato.

L'uomo dai capelli corvini e scompigliati sedeva dietro un tavolino rotondo di un bar, sorseggiando un caffè macchiato, mimetizzato tra la gente

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L'uomo dai capelli corvini e scompigliati sedeva dietro un tavolino rotondo di un bar, sorseggiando un caffè macchiato, mimetizzato tra la gente. Da come faceva guizzare gli occhi a destra e a sinistra di tanto in tanto con circospezione, pareva essere in attesa di qualcuno.

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