16. La Ragazza Straniera, Parte 1

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Seconda Parte - Retrace

La neve seppelliva ogni cosa con il suo candore puro, precipitando leggiadra sulle strade deserte della città immersa nella notte, e depositandosi sui rami spogli degli alberi ricurvi che si intricavano verso l'alto come miriadi di braccia scheletriche.

Le iridi grigie dell'uomo accasciato al suolo, rese quasi eburnee dalla luce soffusa che si promulgava dai lampioni in fila, sul marciapiede opposto al di là della strada, si smarrivano nello scenario sfocato dinanzi a lui, e le sue palpebre socchiuse si sforzavano inutilmente di rimanere vigili, colte da una sensazione di pesantezza inesorabile.

La superficie metallica del cassonetto sul quale poggiava la schiena, seduto sulla superficie canuta, gli assiderava il corpo, tormentato dai brividi che lo percorrevano da cima a fondo.

Stava per morire.

Tutto diventava sempre più oscuro, i dettagli svanivano, la realtà si distorceva.

A un certo punto, però, una figura femminile imponente si erse di fronte a lui, ma il suo viso appariva completamente nero a causa della penombra proiettata sul suo corpo. Si riuscivano a distinguere solo delle lisce ciocche laterali e un paio di ipnotici occhi a spirale, entrambi del colore del miele, come il profumo che la donna emanava.

Questa protrasse le mani verso di lui, porgendogli un oggetto rosso come un incendio che riposava tra i suoi palmi pallidi e morbidi.

Una pistola.

Lui la afferrò, e immediatamente un calore immenso irradiò le sue membra, mentre le labbra della donna si accostavano al suo orecchio, sussurrandogli: "Trovale tutte per me."

In seguito a quelle parole, tutto il paesaggio mutò in maniera drastica, e l'uomo si ritrovò sotto un ponte in una rovente giornata estiva.

Accanto a delle giostre fatiscenti su uno spiazzo cementato e assolato, notò due piccole sagome che giocavano, una delle quali dai capelli di un tenue arancione. L'altra non si distingueva bene. Il sole gettava un'ombra dolce sui loro volti allegri.

Un'incommensurabile nostalgia mista a rimpianto si impadronì dell'uomo, il quale sentiva un vuoto profondo nel petto.

All'improvviso, avvertì un peso gravare sulle sue spalle.

I bambini erano svaniti, e delle ciocche arancioni pendevano dal suo collo.

In preda all'angoscia, tentò di voltare il capo, ma si accorse di essere paralizzato. Percepì solo un sussurro appena percettibile all'orecchio sinistro, proveniente dalla ragazza sopra di lui.

"Mi ha ucciso."

Shoko si svegliò di soprassalto.

Si trovava sulla poltroncina del suo appartamento, di fronte alla televisione spenta con accanto una piccola piantina. Il monolocale era schiarito dalla luce che penetrava dalle fessure della tapparella, semichiusa sulla finestra, alla sua sinistra. Le pareti beige erano tinte di giallino e tutt'attorno troneggiava una quiete totale, spezzata solamente dal passaggio sporadico di qualche veicolo all'esterno.

Shoko guardò l'orologio sulla parete a destra: erano le quattro del pomeriggio, entro un'ora avrebbe dovuto recarsi all'aereoporto per incontrare Saori, che in quel momento stava girando uno spot televisivo, o almeno così aveva capito.

"Che diavolo di sogno..." oramai l'investigatore privato dalla chioma rossiccia aveva imparato a collegare subito i suoi strani sogni, o visioni, a ciò che Nichi gli aveva rivelato sulle Anime della Luce, circa cinque mesi prima.

Erano avvertimenti, messaggi premonitori dovuti al suo legame col Mondo Spirituale, sovrapposto a quello terreno.

Sapeva benissimo chi fosse la donna che gli era apparsa tra la neve nell'incubo che aveva appena avuto, sebbene ignorasse il significato del comando che gli aveva mormorato all'orecchio.

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