CAPITOLO 11

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NIKY

La testa mi scoppiava ed avvertivo anche dei dolori alle ossa. La pioggia presa il giorno prima, mentre mi recavo alla metro, stava iniziando a mettermi ko. Avevo lavoricchiato un pò ma lo stare al pc mi faceva pulsare ancora di più le tempie. Mi resi conto che non misuravo la temperatura da diverse ore. Chiusi il pc e mi avviai verso la credenza per prendere il termometro. Sentii suonare alla porta. Pensai che fosse Colin, il mio vicino. Appena aprii mi trovai dinnanzi Dylan.

Imprecai a denti stretti.

"Che diavolo ci fai qui?" sbottai.

Era dannatamente perfetto. Il completo giacca grigio scuro gli calzava a pennello, un sorriso appena accennato gli illuminava il volto e... quella strana sensazione di fastidio in fondo al mio stomaco che stava iniziando ad impossessarsi di me.

"Ma insomma... è questa l'accoglienza che dai agli amici?" mi apostrofò con il suo sorriso disarmante.

Tac! Sentii un pugno nello stomaco.

"Come hai fatto a sapere dove abito?" chiesi sgarbatamente.

Da quando lui era partito per Londra molte cose nella mia vita erano cambiate, una delle quali era stato il mio trasferimento in un appartamento tutto mio. Seppur piccola, la mia dimora era per me un rifugio, un angolo di paradiso, un posto dove, una volta chiusa la porta, potevo lasciare fuori tutti i problemi del mondo. Cinquanta metri quadrati che stavo pagando con molti sacrifici. Metà della cifra per l'acquisto era stata pagata dai miei genitori, mentre per l'altra, avevo sulle spalle un mutuo quasi ventennale.

Dylan continuava a fissarmi con un sorriso stampato in volto "Sono il tuo capo e come tale so tutto dei miei collaboratori. Scherzi a parte, sono passato a vedere come stai! Che tu ci creda o meno, ho molto a cuore la salute dei miei dipendenti!" mi stuzzicò.

Mi appoggiai alla porta e lui ne approfittò per entrare senza che glielo avessi proposto. Dovevo ancora capacitarmi che ero alle sue dipendenze.

"Non conosci le buone maniere?" gli chiesi chiudendomi la porta alle spalle.

"Ah però!" esclamò guardandosi intorno facendo spaziare la vista per tutto l'ambiente "piccolo ma carino!".

Lo guardai incrociando le braccia al petto, avevo indosso dei leggins neri ed una felpa extralarge, ai piedi avevo dei calzettoni grigi uno dei quali con tanto di buco in bella vista dal quale faceva capolino il pollice del piede.

Si voltò e il suo sguardo incrociò il mio.

Tac! Un altro pugno nello stomaco.

"Che c'è? Perchè mi guardi come se volessi uccidermi?" mi chiese.

Lo vidi avvicinarsi... troppo per i miei gusti. "Stai bene? Sei pallida e hai gli occhi lucidi!". Mi allontanai cercando di mantenere una distanza ragionevole per me. La sua vicinanza stava diventando insopportabile.

Guardai le buste che aveva in mano.

"Ah scusa... ho portato del cibo giapponese... se non ricordo male ne vai matta" mi disse porgendomi le buste che aveva in mano.

"Grazie!" risposi semplicemente afferrando le buste e avviandomi verso l'angolo cucina "Credo di avere la febbre".

Posai il tutto sul tavolo, prendendo posto su una delle sedie.

Lui sembrava a suo agio, non gli chiesi di accomodarsi perchè si stava comportando come se fosse a casa sua. Difatti si era tolto la giacca, poggiandola sullo schienale di una sedia. Lo guardai mentre con disinvoltura si arrotolava le maniche della camicia, notai gli avambracci scolpiti e numerosi tatuaggi che non ricordavo avesse cinque anni prima. Si avviò verso il frigorifero.

Love that returnsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora