CAPITOLO 10

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DYLAN

La giornata trascorsa era stata emotivamente intensa. Mi addormentai a tarda notte sognando più volte Vincent, con un sorriso beffardo, che mi portava via Niky.

Nei due giorni che seguirono non riuscii ad andare nel mio nuovo ufficio dovendo risolvere alcune questioni inerenti l'eredità di Jonathan e dei suoi beni a New York. Avevo avvisato Kaitlyn ed ero in costante contatto con lei. L'appartamento che avevo ereditato era rimasto chiuso per diversi anni e necessitava di alcuni lavori di manutenzione. Il mobilio era un pò vecchio, decisi quindi di acquistare un letto e un nuovo divano, diedi una rinfrescata alle pareti, sistemai alcune tubazioni intasate e lo adeguai alle mie esigenze. Quando ebbi finito dopo due giorni, guardai soddisfatto come avevo trasformato l'appartamento, sembrava più luminoso e non aveva più l'aspetto di abbandono in cui lo avevo trovato. Con i soldi avuti in eredità da Jonathan avrei tranquillamente potuto permettermi una ristrutturazione totale e affidare tutto ad una ditta specializzata, ma nelle riparazioni me la cavavo bene e se potevo evitare di intaccare il fondo ricevuto in eredità ne avrei fatto volentieri a meno. Non ero un taccagno, ma anni e anni di stenti e precarietà erano serviti a far si che non diventassi di colpo uno spendaccione.

La mattina seguente feci ritorno nel mio nuovo ufficio. Kaitlyn mi aveva riservato una stanza adiacente la sua. Una delle pareti era composta da pannelli di vetro e dalla mia postazione avevo una visione completa della sala principale dove erano disposte le postazioni dei vari dipendenti tra cui quella di Niky.

Capii che quella mattina non sarebbe venuta quando mi accorsi che era passata più di mezz'ora da quando tutti avevano preso posto dietro le rispettive scrivanie.

Uscii dalla mia stanza e andai a chiedere informazioni a Lucy.

La ragazza era concentrata a guardare lo schermo del computer e quando la chiamai, a pochi centimetri dalla sua scrivania, fu colta di sorpresa.

"Oh Dylan, perdonami non ti avevo sentito arrivare" si giustificò. La vidi arrossire.

"Tutto bene?" le chiesi.

"Si certamente sto facendo alcune ricerche per degli articoli".

"Capisco..." risposi. "Niky aveva paura di incontrarmi?" le chiesi indicando la scrivania vuota al suo fianco, ben consapevole che sicuramente era al corrente dei nostri trascorsi.

Sapevo che Lucy era sotto la visione di Niky e pensai che, se mi fossi dimostrato socievole con lei, acquistando poco a poco la sua fiducia, di sicuro avrei potuto avere informazioni o averla come alleata. In futuro mi sarebbe tornata utile.

"Ah no... Niky mi ha avvisata che stamane non sarebbe venuta, ha detto di essere malata, dalla voce mi sembrava raffreddata".

"Probabile... il tempo in questi giorni sembra non darci tregua" cercai di fare conversazione e di giustificarne l'assenza, anche se avevo il sospetto che si fosse data malata per evitarmi.

Rimasi qualche minuto a parlare con Lucy, le chiesi anche di Francy e poi la invitai a prendere un caffè alla macchinetta.

"Non saprei...". Capii che era indecisa se seguirmi o meno.

"Tranquilla sono il capo qui... se ti allontani cinque minuti nessuno può dirti niente" la tranquillizzai.

Vidi i suoi occhi illuminarsi. Si alzò e mi seguì senza farselo ripetere due volte.

Il caffè non era dei migliori ma ne avevo bevuti di peggiori, mi accontentai. Scambiai qualche parola con Lucy e le chiesi di girarmi via mail l'elenco dei dipendenti.

La riaccompagnai alla scrivania e poi mi rintanai nel mio ufficio.

Durante la giornata avevo avuto modo di controllare la mail di Lucy e visionare la tabella con l'elenco dei dipendenti in cui vi erano tutte le informazioni, i contatti, le mansioni svolte da ciascuno e i turni. Nel pomeriggio ebbi una lunga riunione con Kaitlyn, durante la quale ponemmo le basi per rilanciare la rivista, con la prospettiva di ampliare il settore pubblicitario che avrebbe portato maggiore liquidità e ci avrebbe permesso di realizzare interviste anche a personaggi più in voga.

Quando lasciai l'ufficio era quasi buio, il cielo era limpido e la serata leggermente fresca. Ero intenzionato ad andare a casa di Niky. Avevo reperito tutte le informazioni relative al suo indirizzo dalla tabella di Lucy. Ricordavo che Niky era un'appassionata di cucina giapponese, mi vennero alla mente tutte le volte che, nei pochi mesi in cui eravamo stati assieme, alcune volte tornando a casa le avevo portato del cibo da asporto e lei si era illuminata come una ragazzina. Decisi di passare prima da Haru Sushi e ordinai della tempura, del sushi e non potevano mancare gli onigiri. Quando uscii, guardando i pacchettini che avevo in mano pensai che forse, avevo un tantino esagerato.

La casa di Niky era a pochi isolati da quella di Francy. Quando arrivai controllai nuovamente che l'indirizzo che avevo appuntato sul foglietto fosse esatto.

Mi guardai in giro, il quartiere era poco illuminato, notai una coppia che passeggiava al lato opposto della strada. Mi sentivo come un ladro, anche se il mio aspetto dimostrava tutt'altro. Avevo il cuore che mi pulsava nel petto e una voglia pazzesca di rivedere Niky. Capii che la mia non era solo sete di giustizia, ero ancora innamorato di lei. Avevo davanti non solo il fatto di convincerla su quale fosse in realtà la verità su quanto accaduto, ma avrei dovuto anche riconquistarla. Speravo solo che il mio ritorno a New York non fosse stato inutile e che Niky, non fosse già caduta tra le braccia di quell'esaltato di Vincent.

Mi fermai davanti all'ingresso della piccola palazzina. Stavo per suonare il citofono ma il portone si aprì e ne uscì un signore anziano. Mi guardò con circospezione e gli chiesi la gentilezza di lasciarmi entrare.

"Lei chi è?" mi chiese dubbioso "Non l'ho mai vista da queste parti!".

Ero in completo giacca e pantalone senza cravatta, scarpe di pelle, insomma avevo l'aria di un uomo per bene.

"Ehm... sono un amico di Niky, so che sta poco bene e le ho portato la cena" gli risposi alzando la mano sinistra con il chiaro intendo di mettere ben in vista le mie buste con il logo di Haru Sushi.

L'uomo canuto aveva dei baffi alla Chevron che davano al suo viso un tocco di eleganza.

"Si infatti... abito di fronte a lei e so che è influenzata" mi confermò continuando a scrutarmi.

Speravo che mi lasciasse passare, sapevo che se avrei suonato al citofono Niky, una volta saputo che fossi io, avrebbe rifiutato di farmi salire.

"Resta il fatto che non l'ho mai vista da queste parti!" proseguì.

Stavo iniziando a perdere la pazienza ma cercai di non lasciarlo avvedere.

"Ha perfettamente ragione, sono da poco rientrato a New York dopo alcuni anni di assenza e oltre ad essere un amico di Niky sono anche il suo nuovo datore di lavoro, stamane non è venuta in ufficio e perciò sono passato a sincerarmi della sua salute". Allungai la mano libera "Piacere sono Dylan Russel" gli dissi col chiaro intendo di ammorbidirlo.

Sospirò "Le credo signor Russel, non ha l'aria di un malintenzionato, comunque piacere mio,  sono Colin Howard, io e mia moglie siamo i vicini di Niky". Ricambiò la stretta di mano, poi finalmente si spostò dall'uscio per permettermi di entrare.

Lo ringraziai per la gentilezza, stavo per entrare quando sentii che mi diceva "Secondo piano a destra!".

Love that returnsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora