The difference between medicine and poison

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«Non ci vado.»

La dottoressa King attese. Aveva imparato a farsi lume, felce di plastica, inerte e tacita; diventava un cuscino, una penna, un diploma inchiodato al muro. Al tirocinio le avevano insegnato ad ascoltare, a prescrivere, a custodire; a preoccuparsi ma non troppo, affezionarsi mai, consigliare tutto quello che serve.

A soffrire, invece, glielo aveva insegnato Taehyung.

Quel giorno più che mai era entrato urlando e mulinando, aveva tirato in terra santi in cui non credeva e sputato pezzi di un racconto sventrato, insulti mitragliati contro le pareti insonorizzate. Quel buco imbottito era diventato la sua zona franca, il suo punto di fuga. Ci vomitava i cazzi suoi, là dentro. Cagava tutta la sua verità davanti a quella mezza sconosciuta che ormai lo conosceva; più di Ara, meglio dei suoi fratelli.

Mai quanto lui, però.

«Quindi è Jeon Jungkook, l'uomo che ami.»

Taehyung si contrasse, annaspò nel maglione di lana intrecciata. Faceva maledettamente caldo, lì dentro; maledettamente schifo, lì dentro.

«Vaffanculo, dottoressa. Vaffanculo.»

La dottoressa King si concesse un gemito addolorato; Taehyung era complicato. Pericolosamente borderline, stressato. Umore fluttuante, instabile. In quello studio il suo cuore di uranio decadeva, si faceva radioattivo più che mai.

«Lo ami perché ti ha rivelato quello che sei» incalzò, mentre lui si spogliava, restava in canottiera come un carcerato. «Lui conobbe lei e se stesso, perché in verità non s'era mai saputo.»

Quella citazione lo indispettì. Taehyung si corazzò, gli occhi sottili come filo spinato, in bocca un disgusto virulento.

«E chi sarebbe, l'autore di questa stronzata?»

«Un famoso scrittore europeo.»

Seguì una risata cavernosa. Si alzò, la raggiunse per fronteggiarla, per punirla col suo scherno, masticarle in faccia la sua strafottenza.

«E sentiamo, dottoressa... Chi sarebbe la femmina, fra me e lui?»

Lei si finse poltrona, bracciolo, schienale, rigida e compatta nel suo tailleur.

«Taehyung. mantieni. il. controllo.»

Ma Taehyung giocava sporco, non accettava ammonizioni, niente cartellini gialli o fischi; lui imbrogliava, scalciava, raggirava. Ricominciò a gridare, a lapidare quel grande amore per ridurlo a niente, un grumo di vita insignificante, carne sporca, sbagliata.

«Rivelato? Quell'idiota mi ha rovinato la vita! Se lui non fosse mai esistito, a quest'ora io non sarei qui.» Riprese fiato, si caricò di un odio nucleare, era una mina antiuomo, un fottuto Prato Fiorito. «Io detesto Jeon Jungkook.»

La dottoressa King attese ancora. Stavolta si fece tappeto, caramella, rivista scientifica arrivata con la posta del venerdì. Aspettò che l'ira scemasse, riprese a scavare in quel petto roccioso, la lingua come un piccone.

«Eppure i tuoi racconti sono sempre così belli. Una tenerezza autentica, una grande complicità... innamoramento, lo chiamerei.»

Taehyung sbuffò, cadde sulla chaise longue come uno appena estratto dalle macerie.

«Eravamo due ragazzini. Due stupidi ragazzini. Non avremmo dovuto farlo.»

«Perché? I tuoi ricordi sono felici.»

«Si chiama prostata. Una zucchina nel culo mi avrebbe fatto lo stesso effetto.»

La dottoressa s'irrigidì. Che ne sapeva il mondo, di Kim Taehyung? Che ne sapevano la stampa e la televisione di quanto fosse cinico e brutale, che ne sapeva l'opinione pubblica di quanto fosse volgare, di quanto sapesse fare schifo quando veniva messo all'angolo?

Attese la fine della corsa. Taehyung era metodico nella sofferenza; il suo dolore seguiva uno schema preciso, si ergeva al soffitto come una pira e andava a fuoco, bruciava e si spegneva, cenere infestante.

«Taehyung...»

«Jungkook ha una ragazza» tagliò corto.

«Ce l'hai anche tu. Non significa niente.»

«Significa che abbiamo scelto.»

Taehyung si tenne lo stomaco; per rimanere lucido, intero. Avevano scelto entrambi. Il non giudizio, una vita discreta, che non disturba il prossimo; che non minaccia lo Stato, l'ordine delle cose, la natura, i cuori puri dei bambini, gli occhi educati di chi non tollera labbra maschili premute insieme. Avevano scelto il decoro, la pace fuori e la morte dentro, avevano scelto le cure, le preghiere, la redenzione, perdonaci padre perché abbiamo peccato; avevano scelto l'onore, il buonsenso, la famiglia, la tradizione, la fica e il culo e le tette, avevano scelto di essere uomini, ma poi cosa diavolo voleva dire essere uomini.

«Dobbiamo sospendere l'avanafil.»

La sentenza arrivò prima che potesse rivestirsi, nascondersi da lei che sapeva ogni cosa e tutto vedeva. Lì dove la sua pelle pizzicava, rossa e tignosa, gli occhi della dottoressa King indagavano, decidevano, sottraevano.

S'infilò nel maglione, scivolò fuori dal collo alto come un serpente, si finse mansueto, fece la biscia mentre lui era un cobra, aveva zanne e veleno, ma lei aveva il timbro del medico curante, i fogli per la prescrizione, quella stilografica di merda a cui era appeso il destino del suo cazzo, delle sue scopate.

«È colpa della lana. L'irritazione, è colpa della lana. Non dica idiozie, dottoressa. Partiamo tra due giorni. Mi servono.»

Ma la dottoressa King strappava, rettificava, trafficava tra i fogli della sua scrivania, premeva tasti per dichiarare al sistema sanitario nazionale che Kim Taehyung non aveva più diritto a quei farmaci ne ad essere felice; a provarci, perlomeno.

«Ti avevo chiesto di avvertirmi se avessi avuto reazioni avverse. Avevamo un accordo» sibilò, tradita.

«Ho bisogno di quella prescrizione» rimbeccò lui; arpionò la scrivania, graffiò il legno, avrebbe strappato cavi e corrente, sventrato la tappezzeria, dato fuoco al palazzo.

«Sei iperteso. Stai pigmentando. Non è questo lo scopo della nostra terapia.»

«Lo scopo della nostra terapia è guarirmi, e lei non ci sta riuscendo!»

«Tu non sai cosa è la guarigione.»

«Io non ci riesco a scoparmela senza.»

«Prova con una zucchina nel culo, allora.»

Volarono fogli, penne, graffette come granate. Taehyung spinse via tutto, urlò più forte davanti a quella donna che col suo dolore ci stava due ore a settimana, martedì e venerdì dalle tre alle quattro, mentre lui ci doveva stare sempre; lei che aveva un marito dei figli una vita giusta in un corpo idoneo, lei che procreava e non minacciava, lei che adesso teneva il dito premuto sull'allarme, quello rosso e tondo per avvertire dei pazzi veri, gli squilibrati, i violenti.

«Stronza» sibilò, strappò il cappotto dall'appendiabiti.

«Se non sei innamorato di quel ragazzo, allora puoi tranquillamente condividere lo chalet con lui e la sua fidanzata. E fartelo venire duro per la tua.»

Taehyung s'ingrugnì, afferrò la borsa e guadagnò la porta. Fissò i suoi grandi occhi neri in quelli della dottoressa King. Ora non era un divano, una fioriera, un maledetto fermacarte di murano.

Era incazzata nera. E con lei, il suo ultimo baluardo crollava.

«Vaffanculo, Yoora. Vaffanculo.»

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