Marina di Portofino. Dieci anni prima.
Portò la sigaretta alle labbra, l'accese.
In piedi sulla banchina illuminata, Jin inspirò. Portofino scintillava nella notte, bella come un miraggio. Alla sera, gli abitanti degli yacht scivolavano fuori dalle barche, pipistrelli luccicanti pronti a cacciare, spendere, brindare; fluttuavano verso la piazzetta nei loro abiti lunghi, buonasera, condoglianze, è un piacere rivederla. Jin detestava i convenevoli, era sempre stato suo padre ad occuparsene, ma da quando i suoi erano morti gli toccava inamidarsi e salutare, stringere mani, legami, accordi. La famiglia Kim doveva continuare a esistere come se niente l'avesse spezzata, come se lui e Namjoon non fossero due orfani di appena vent'anni ma uomini di mondo, imprenditori coi controcoglioni; come se sapessero cosa diavolo fare.
E poi c'era Taehyung.
Passivo-aggressivo lo aveva definito la terapeuta, ma per Jin non erano che un mucchio di stronzate. Suo fratello non era instabile; era solo triste, sconfinatamente. Dal giorno del funerale si era intabarrato in un silenzio infrangibile, così Jin e Namjoon si erano improvvisati genitori: lo avevano abbracciato e baciato, sgridato e castigato; gli preparavano il pranzo e la cena, lo accompagnavano a scuola, in vacanza, al cesso. Finché un giorno Taehyung aveva parlato. Basta così, voi due. Mi avete rotto il cazzo. Avevano riso come dei matti per tutto il pomeriggio; dopotutto, erano solo fratelli.
Il loro era un legame feroce, una convivenza viscerale e pericolosa, perchè tre maschi nella stessa casa sono come cani sciolti, l'amore che a volte non basta a farli ragionare, a tenerli interi. Si amavano profondamente, avrebbero ammazzato l'uno per l'altra, ma in ciascuno quel sentimento assunse una piega unica, speciale.
Per Jin fu un colpo di fulmine. Lui che mai si era mai interessato al suo silenzioso fratello minore, si scoprì innamorato di Taehyung totalmente, in un modo dolcissimo e materno che lo condannò a sentirsi più vecchio e vulnerabile di quanto volesse ammettere.
Per Namjoon, invece, Taehyung divenne un'ossessione: doveva tenerlo al sicuro, quel mondo schifoso gli aveva strappato i genitori ma il suo fratellino no, col cazzo che lo avrebbe permesso, avrebbe lottato con le unghie e con i denti, si sarebbe fatto sparare, piuttosto.
Così, quando Leo aveva riportato Taehyung allo yacht, fradicio e confuso come se l'avessero investito, Namjoon aveva abbracciato suo fratello. L'aveva stretto al petto come se potesse imprimerselo nella carne; poi, ancora spettinato e assente, gli aveva mollato uno schiaffo davanti a tutti. Mi hai fatto impazzire, mi hai fatto morire di crepacuore, ragazzino del cazzo, sei in punzione.
Taehyung non aveva fiatato. Era filato in cabina, sul volto un sentimento illeggibile, potente; una felicità sotterranea, come un ruscello che sgorga da dentro, qualcosa che Namjoon, preda di un principio di infarto, non aveva notato. Qualcosa che a Jin, invece, non era sfuggito.
E aveva a che fare, ci avrebbe scommesso, col ragazzino spaurito che da dieci minuti buoni lo spiava da dietro all'ormeggio.
Non ricordava bene il suo nome, era solo il figlio dei Jeon. Uno dei quattro, forse il più piccolo. Era rimasto acquattato come un borseggiatore; Jin sperò che uscisse allo scoperto, non ne poteva più di fumare.
Sorrise alla Luna, attese ancora. Quando anche la terza sigaretta divenne cenere, Jin si decise a parlare.
«Vuoi farmi venire un accidente o ti decidi a venire fuori?».
Immaginò il pallore diffondersi sul volto abbronzato di quella piccola peste. Il ragazzino dei Jeon sgusciò fuori dal suo nascondiglio. Somigliava moltissimo a Mimi; avevano gli stessi occhi tondi, pieni come nocciole, lo stesso sorriso curioso, affamato di vita.
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The Love You Give
Hayran KurguTaehyung e Jungkook crescono insieme come cuccioli di lupo. A legarli è un sentimento potente, feroce e dolcissimo come le onde del mare in cui nuotano d'estate, in Italia. Taehyung è assente e spigoloso, Jungkook ha mani morbide nate apposta per r...