La prima vertebra

501 69 18
                                    

«Levatevi dal cazzo!».

Lo aveva preso in tempo.

Jungkook era stato veloce, era sempre veloce, pronto a soccorrere, sorreggere, custodire; lo faceva da tutta la vita. Sapeva suturare, cauterizzare, sputare sulle ferite; sapeva disinnescare e assorbire l'impatto. Ma sopra ogni cosa, Jungkook sapeva restare.

Glielo aveva insegnato la mamma.

È l'amore che dai, Jungkook. Ricordatelo sempre.

E lui l'aveva ricordato. Profondamente innamorato di quella donna esotica e mite, Jungkook aveva deciso di stare al mondo a sua immagine e somiglianza. Così aveva trascritto, recitato e sillabato quella frase fino a incidersela nell'anima.

Bambino mio, l'amore che dai vale molto di più di quello che prendi.

E Jungkook non aveva preso.

Se rimaneva solo sopportava, perdonava i fratelli quando lo ignoravano e gli altri bambini se lo spintonavano; accarezzava il gatto che gli rubava la merenda e salutava sempre il vecchio signor Choi anche se questi non lo ricambiava, ma borbottava nei denti parole impronunciabili, costringendolo a tapparsi le orecchie.

È l'amore che dai, Jungkook.

La mamma gli aveva insegnato che alle tempeste si sopravvive, basta reggersi forte; che dopo bisogna raccogliere i pezzi, ricucire i corpi e onorare i morti; che a nessuno piace farlo, ma che a qualcuno deve pur toccare. Da lei che con la forza miracolosa del suo piccolo cuore reggeva il peso di un matrimonio franato, Jungkook aveva imparato l'Amore.  

E davvero non era niente di simile alla debolezza, piuttosto un dono formidabile, straordinario. Così Jungkook era fante e becchino, l'avanguardia di quella guerra del cazzo che era la vita. Come sua madre, era forgiato per amare.

Un giorno, però, il dolore si era fatto talmente insopportabile da convincerlo che lei l'avesse maledetto. L'aveva infettato, condannato. Per tanto tempo Jungkook aveva detestato sua madre per averlo reso uguale a lei.

Per averlo truffato con baci e carezze che credeva fossero un premio, la ricompensa per la sua bontà. In realtà era un testamento; lei aveva avvertito quella diversità in anticipo, quel dolore che cercava suo figlio e che prima o poi l'avrebbe trovato.

Ancora e ancora.

Taehyung gli è crollato addosso come un combattente sparato, lo sguardo vuoto e caliginoso. Gli altri hanno urlato, sono caduti flute, sigarette e borsette, adesso sono spaventati e curiosi e storditi dal panico, ma non Jungkook. Lui è lucido e razionale come un artificiere, cerca Yukjo, bisogna fare spazio, disperdere gli inutili, quell'uomo a terra deve respirare. Sono pratici, lui e Yukjo, hanno questa connessione di pancia che li rende invincibili, lei sta già dirigendo, scacciando, ordinando di prendere acqua, zucchero, sali e cuscini se ce ne sono.

Taehyung non è cambiato; come spesso accade ai cigni è solo più bello, più fiero e regale. È longilineo, un'ellisse scura, è un buco nero, i capelli come tagli sugli occhi, a rifuggere il prossimo e se stesso.

Jungkook gli cerca il battito, il respiro che sa di rigurgito, lo volta su di un fianco ma prima gli sfila il cappotto, il maglione, per decenza e per pudore gli concede di tenere la maglietta, è pronto a strapparla se necessario.

Tutt'attorno la gente suda, occhieggia Ara Kim come se fosse colpevole, è suo il fidanzato che rischia di mandare all'aria la festa. Lei è isterica, singhiozza come un rubinetto lasciato aperto e Yukjo è costretta a scuoterla, a gridarle di piantarla, piuttosto saprebbe dire se il suo ragazzo si droga o assume farmaci, se ha bevuto, per caso soffre di capogiri, ma Ara scuote la testa e sibila, che ne sa lei di Taehyung, dopo un anno e mezzo quel ragazzo è un muro, una fortezza blindata.

Qualcuno compone il 119 e Minsoo è disperato, ha stipato cocaina nei muri, anfetamine, fumo da sciogliere nelle biscottiere, non possono chiamare i soccorsi, la polizia, stavolta rischia grosso, il culo suo e quello di suo padre.

Jungkook è lontano dal disordine, è concentrato; pronuncia quel nome, gli nasce nella pancia e si diffonde nella stanza, Taehyung, mi senti, svegliati, e in un attimo il peso di tutta una vita torna a schiacciarlo come il cielo sul povero Atlante.

Atlante come la prima vertebra, quella che regge la testa.

Atlante come lui, che regge il loro amore.

Taehyung si sveglia, è un spasmo sconnesso, rigurgita qualcosa e la folla urla, applaude, festeggia.

Jungkook crolla, si siede, respira; adesso può farsi da parte, ha fretta di scomparire.

Gli altri assalgono Taehyung con bicchieri di acqua e zucchero, tre shot di soju, tre di brandy. Minsoo ha un concetto pericoloso di primo soccorso, dieci minuti dopo essere svenuto Taehyung è sveglio, ma ubriaco marcio.

«Minsoo, Taehyung non beve, falla finita o lo farete sboccare».

Cala il gelo. Si voltano tutti a guardarlo, Jungkook risponde a domande per cui Ara ha frignato; lui non si imbarazza, ha imparato a dissimulare, a fare il fico, l'amico di tutti.

«Non beve dal liceo, dopo quella brutta sbronza al ballo. Ti ricordi, Minsoo?».

E Minsoo si ricorda, cazzo, quel figlio di puttana integerrimo e con la faccia come al culo non beve, whisky on the rocks ma senza whisky; ridono tutti, si ricordano, o forse no. Invece Ara piange più forte, lei quella storia non la conosce, ha fatto le scuole a Busan da sua nonna materna, era d'intralcio ai suoi genitori.

«Che cazzo... mi brucia la pancia, fottuti imbecilli».

Taehyung biascica qualche imprecazione, è lento e impastato, pericoloso. Si guarda attorno con aria svagata e Jungkook si defila, lascia il palco alle comparse, non vuole fiori nè applausi, non vuole gli occhi affilati di Taehyung di nuovo addosso ma è troppo tardi.

Si cercano, è la loro natura. È quello che sono e che esplode quando sono assieme, e niente potrà mai cambiarli. Se lo dicono con le pupille, con le iridi, con l'aria che vibra e sanguina di dolore. Sono solo più vecchi, più arrabbiati, più affamati.

Se ad un lupo togli la carne non diventa vegetariano.

«Jungkook». Taehyung schiude la bocca, è un suono è roccioso, sdrucciolevole, ma carico di un sentimento ambiguo, sconveniente, perverso.

Jungkook sorride, si fa forte, è l'amore che dai, bambino mio, mio amato Jungkook, l'amore che dai vale più di quello che prendi, vale più di ogni cosa.

«Ciao, Taehyung. Come ti senti?».

«Vaffanculo, Jungkook. Vaffanculo».

Qualcuno ride, altri bestemmiano, era un falso allarme, che cazzo hanno pensato, quei due idioti sono vecchi amici, hanno pezzi di vita insieme, mica altro, mica niente. Yukjo si avvicina a Jungkook, osservano insieme la folla che si chiude su Taehyung; bisogna fare festa, è andato tutto liscio, non è morto nessuno, non ancora.

Yukjo gli tiene la mano, si stringe al suo maglione, al suo cuore che batte come se avesse ancora sedici anni.

«Allora è vero, amore mio» sussurra. «Sei ancora tu, la prima vertebra».














Angolo autrice

Ciao a tuttx <3 premetto che detesto infilarmi nelle storie, sono molto timida :3 ma ci tenevo a fare una piccola precisazione; per chi non lo sapesse, l'Atlante di cui si parla nel capitolo è una figura mitologica greca. Re della Mauretania e cultore dell'astronomia, Atlante fu condannato da quel cattivo di Zeus a reggere sulle sue spalle l'intera volta celeste. Da questa leggenda ha preso il nome la vertebra C1, la prima vertebra cervicale, la più importante, quella che sorregge il cranio, nota appunto come Atlante. E niente, dai coniglietti alla spina dorsale il passo è breve. Mi piaceva l'immagine :3. Ne approfitto per ringraziare chiunque stia leggendo questa strana, complicata storia, in cui ho riversato tutto il mio amore. Se ne avete voglia, fatemi sapere che ci siete; se vi piace oppure no; se state male o siete felici, se vi ha fatto sorridere, piangere, qualsiasi cosa. Grazie di cuore.

Vostra, S.

The Love You GiveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora