La Petite Mort

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L'amore è una piccola morte.

Taehyung non aveva mai creduto a quel tipo di cazzate; fantasie per cuori anemici, romanticismo da bancarella.

Poi, un pomeriggio di mezza estate, Jungkook gli era entrato dentro. Aveva spinto e colonizzato, amato e convertito, in quella carne buia aveva fondato la sua Chiesa.

Col culo spalancato e benedetto dal seme, Taehyung aveva visto la Luce. Era liquida e calda come un ventre di miele, ma nella pace cerebrale dell'orgasmo più profondo, nessuna rivelazione ultraterrena ad accoglierlo; solo Jungkook. Sempre, dolcemente, Jungkook.

Jungkook nel regno dei cieli, sia fatta la tua volontà, amore mio mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, ma tu dì soltanto una parola ed io sarò salvato.

Quante volte l'aveva risorto con un respiro, Jungkook che porge l'altra guancia, che ama più forte, per entrambi. Di quell'ergastolo di merda che era la sua vita lui era l'ora d'aria, il sole sulle sbarre, l'ultimo proiettile in canna. Era speranza, grazia divina, miracolo eterno.

Era lui la sua piccola morte.

Taehyung si raccolse tra le coperte, Jungkook sulla schiena come una coda, l'appendice dell'anima sua. Ne cercò gli occhi allagati dal piacere, le guance irrorate di vita; sulle labbra un sorriso assente, ubriaco perso. Com'era prezioso, il suo Messia, così generoso da inondarlo col suo amore.

Si scoprirono a studiarsi, ad arrossire. Da ragazzini non s'imbarazzavano, facevano il sesso degli sfollati, due cuccioli di lupo nati e cresciuti nella foresta della loro unione. Erano carne dentro carne, amici, fratelli, amanti. E adesso che si allineavano come pianeti, dopo secoli a vagare in uno spazio buio e desolato, si riscoprivano timidi e palpitanti.

Taehyung era sempre stato il più spudorato; si strofinava, mordeva, leccava. Persino in quel momento, con tutta la fragilità delle sue ossa fracassate, aveva l'audacia di guardarlo.

«Che c'è?». Jungkook mormorò a mezza voce, sulle labbra un fremito che non voleva saperne di redimersi.

«Tu. Ci sei tu».

Taehyung non era languido di proposito; gli s'impastava il cervello dinanzi al suo uomo, cantava lusinghe come un grammofono, il cuore nella pancia e tra le gambe. Era lascivo e innocente insieme, una combinazione letale, irresistibile. Jungkook sentì il rossore tingergli il naso, l'epicentro di un terremoto pronto a violentarlo. Taehyung gli arpionò le cosce per farlo crollare, moriva dalla voglia di sentirne il peso, i muscoli intorpiditi e il cazzo ancora turgido; si lasciò schiacciare, per un attimo gli mancò il fiato.

Si guardarono vacui, inebetiti dal piacere, così vicini da potersi mangiare. Jungkook teneva la bocca schiusa, tra i denti un refolo caldo e dolcissimo, come la prima volta. Aveva lasciato socchiuso, pregava nel buio che Taehyung tornasse; sveglio e vigile, un faro coraggioso a umiliare la notte.

Taehyung gli prese le labbra nelle sue, erano piccole e morbide, fradicie d'eccitazione. Succhiò lentamente, l'avrebbe fatto impazzire, una mano nei capelli e l'altra tra le cosce. Jungkook rovesciò gli occhi, si lasciò toccare, permise a Taehyung di viziargli il culo, quel ragazzo aveva l'indice più osceno che avesse mai visto.

«Ho altre quattro dita, sai?» gli sussurrò in bocca, lascivo, «un bacio per ciascuna».

Jungkook avrebbe tanto voluto dargli dello stronzo, ma con la lingua improvvisamente impegnata a divorarlo non sarebbe stato facile parlare.

E davvero il loro amore si era conservato preciso, simmetrico e perfetto, aveva sfidato il tempo e l'aveva sconfitto, cazzo se avevano vinto. Sentì una nuova eccitazione tradirlo e il cazzo di Taehyung gonfiarsi contro la sua pancia, e allora perché, si domandò, se davvero tutto è così magico e miracoloso allora perché.

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