Le mani a posto

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Non aveva mai visto nessuno più bello di Jungkook.

Anche da ragazzini, quel figlio di puttana gli masticava il sonno; Taehyung si scopriva a fissare il soffitto, gli occhi spalancati, un sorriso grande come il guaio in cui si era cacciato.  Restava così per ore, il cuore in una corsa folle, al pensiero che Jungkook fosse proprio lì vicino, nella barca accanto, pochi strati di acciaio a separarli, e che al mattino successivo l'avrebbe rivisto. Col tempo si convinse che potessero percepirsi, che Jungkook riuscisse a vederlo attraverso il fasciame, mentre col favore del buio sognava selvaggi scenari d'amore.

Una notte, Jin l'aveva beccato; steso come un martire, le lenzuola ai piedi del letto, lo sguardo arreso, completamente folle, un sorriso beato sulle labbra. Sulla volta di legno scuro, Jungkook mangiava il gelato, prendeva il sole, saliva in cima all'albero maestro come un pazzo; rideva, dormiva, parlava coi gatti. E qualsiasi cosa lui facesse, Taehyung s'innamorava. Perdutamente, incondizionatamente. Al tempo non era ancora malizioso, solo totalmente rapito dall'esistenza stessa del suo hyung; dal suo respiro e dai suoi passi, nel modo più puro e sincero in cui si possa amare.

Taehyung! Stai facendo lo sporcaccione? Jin aveva sussurrato sulla soglia, le luci spente, nel rimprovero un pizzico di divertimento. No, hyung, sto facendo un sogno. Suo fratello si era avvicinato, l'aveva guardato da sopra a sotto, sghignazzante. Dev'essere un bel sogno. Taehyung aveva sorriso più forte, adesso Jungkook mangiava la pizza, si sporcava, ridevano insieme di quella macchia di sugo neanche fosse la cosa più esilarante del mondo, poi avrebbero fatto il bagno a mare senza aspettare tre ore e Taehyung gli avrebbe dato un bacio e poi un altro perché gli piaceva baciare Jungkook, lui era coraggioso, aveva la lingua morbida e tiepida ed era così generoso e pacifico che Taehyung sentì il cuore scoppiare ma si limitò a sussurrare è il sogno più bello di tutta la mia vita.

Taehyung?

Persino in quel momento riusciva a sentire la sua voce, riusciva a vederlo. Gli sorgeva davanti come il sole al mattino. Com'è meraviglioso, il mio unico, vero amore.

«Allora, che diavolo vuoi?».

Jungkook non sembrava incline a conversare. Doveva essere in piedi da poco. I capelli spettinati, la pelle del viso arrossata dal cuscino e quell'odore lascivo di sonno in cui per anni Taehyung si era svegliato, scoprendosi immediatamente arrapato; era l'odore indifeso di Jungkook che dormiva al suo fianco, la cosa più intima e segreta che avesse mai annusato. Inspirò a fondo, ingoiò quell'odore, lo incamerò nel cervello e tra le gambe, godendosi l'intorpidimento che saliva, lo stordiva, lo mandava in botta come morfina, anzi meglio. Lo assalì l'urgenza di avvicinarsi e assaggiargli la spalla, scoprire se ancora aveva lo stesso sapore agrodolce, di bagnoschiuma e sudore, perché Jungkook teneva sempre il lenzuolo e sudava, quel maledetto animale sudava e il pensiero lo faceva impazzire.

Strinse i pugni, catalizzò l'attenzione su qualcosa, un orrendo quadro avanguardista scelto dalla madre di Minsoo, ma l'eccitazione non diminuì. Jungkook si stava muovendo. Gli diede le spalle mezze nude, i tatuaggi sul braccio, e vaffanculo alla memoria a lungo termine, Taehyung si rivide sopra di lui, che era la cosa che preferiva fare insieme allo stargli sotto, e ad ogni secondo la tortura crebbe; Jungkook era massiccio e scuoteva l'aria, l'odore si fece più intenso, gli arrivò addosso come una raffica.

«Sto aspettando di sapere cosa diavolo vuoi».

Scoparti. Aveva la lingua incollata al palato, totalmente sciolta.

«Se sei venuto a pretendere delle scuse, sappi che...».

Cosa? Cosa avrebbe dovuto sapere Taehyung? Che avrebbe voluto ammazzarlo? Che poteva andarsene a fanculo? Che lo detestava? O peggio, che lo odiava?

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