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Sono le 8 e mezza circa quando mi sveglio e noto il vuoto dentro il mio letto. Lui non c'è, sarà rimasto sicuramente scioccato da quello che è successo stanotte e se ne sarà andato. Come posso biasimarlo.

«Ho rovinato tutto, tutto, tutto» dico sprofondando la testa nel cuscino e soffocando la voce. Certo che doveva succedere proprio stanotte eh. Ora penserà che sono una strana impossessata, o una malata di mente, o una strana impossessata malata di mente. Cosa ho combinato. Ma mentre mi esaspero trovo un bigliettino sul comodino.

Sono uscito, scusa se ho preso le tue chiavi di casa senza dirtelo ma stavi dormendo e non volevo svegliarti. Ho chiuso il portone a chiave, quando torno apro io. Non dovrei tardare.

Karl.

Forse ancora non mi crede troppo patetica, meno male. Certo che mi sono proprio spaventata e mentre vado in bagno riprendo il mio sogno come se sia un film che sto rivedendo. Provo tutto quel ribrezzo per i miei genitori che mi viene da vomitare. Per fortuna che in questo momento sono il più lontano da me. Intanto Karl arriva casa, lo capisco dal tintinnio metallico e lo girare di una delle chiavi del mazzo nella serratura. Io sono in cucina ancora in pigiama e lui arriva giusto in tempo perché ho preparato due cappuccini, uno col caffè, per lui, e uno col cacao, per me. Lui invece ha portato i cornetti, uno al cioccolato, per lui, e uno vuoto, per me. Ci sediamo felicemente a fare colazione e gli do un bacio sulla guancia per ringraziarlo del cornetto. Sembriamo la miniatura di una coppia di novelli sposi, ma a) non siamo una coppia di sposi, b) non stiamo insieme, c) non siamo mai stati assieme, d) dubito che staremo mai insieme. Ma fa nulla, non serve stare insieme in quel senso se non sto insieme a lui fisicamente, e ora sono con lui fisicamente e questo già conta, il fatto che lui ci sia è una grande cosa. 

Dopo la colazione risaliamo di sopra perché devo rifare il letto, ma, non avendo voglia, mi ci butto sopra e lui si siede accanto a me; poi metto la testa sulle sue gambe e mi accarezza i capelli, attorcigliando delle ciocche attorno le sue dita.

«Ti va se parliamo di quello che è successo stanotte?»

Chiedergli di cosa stava parlando o fare la finta tonta come succede nei film non sarebbe servito a nulla e poi non voglio sembrare più patetica di quanto stanotte sono stata.

«Perché?»

«Perché quello che hai detto è assurdo.»

«Lo so.» ammetto.

«Eh a voglio sapere perché. Cosa hai sognato?»

«No, no, no, non posso.» rispondo arricciando le dita dei piedi, cosa che faccio sempre quando sono nervosa. 

«Sì che puoi, magari non vuoi.»

«Ecco, sì, esatto... non voglio.» farfuglio cercando di venirne fuori.

«Emma?» dice guardandomi negli occhi e io cedo al suo sguardo dolcemente magnetico.

«Karl.»

«Io ho sentito quello che hai detto quando ti sei svegliata.»

«Stavo urlando, sarebbe stato strano se fosse stato il contrario.»

«Appunto. E ora vorresti raccontarmi, per piacere, la storia dell'errore?» è testardo, non cede.

C'era una parte di me che vuole confidare questa cosa e togliersi un peso, ma l'altra mi diceva di tenerlo fuori per paura che qualcosa potesse cambiare. Ma l'istinto prevale...

«Karl, sono io l'errore.»

«Spiegati.»

«Pensavo avessi capito cosa intendessi.»

«Forse, ma dimmelo. Magari dai conferma alla mia teoria.»

«Quale sarebbe?»

«Voglio che parli tu, dai.»

«Diciamo che io non ero desiderata, sono l'errore di una notte.» dico con grande imbarazzo dopo un po'. Fatico a trattenere le lacrime ma devo.

«O cavolo» è l'unica cosa che dice, con il volto serio. Poi si alza di scatto e lo faccio anche io a mia volta perché ero appoggiata sulle sue ginocchia. Senza dire nulla corre giù dalle scale ed esce sbattendo la porta il più forte possibile, come travolto da un'ira che si è impossessata di lui, proprio come Achille. L'eco dello sbattere della porta si sente in tutta la casa. Non lo seguo, semplicemente crollo a terra piangendo.

Perché l'ha fatto? Questo è per colpa mia? Sembra che quello che ha detto lo ha fatto innervosire, ma non riesco a capire il perché e mi faccio mille paranoie. Non riesco proprio a capire il suo fare in questo momento. Semplicemente non riesco a connettere il cervello per cercare di capirlo, è come se i miei neuroni si siano spenti all'improvviso e abbiano fermato gli impulsi, come dei semafori rossi sulle strade che bloccano il traffico di tutte le auto così i miei pensieri sembrano fermi e inesistenti. Non penso più e fatico a rendermi conto di nulla. Sembro una tartaruga nel realizzare ciò che succede in un attimo.

In pochi secondi torno ad essere sola, e questo lo capisco. Lo capisco dall'eco della porta che echeggia ancora nella mia testa, dalla mancanza del suo calore, delle sue mani che mi accarezzano e della sua voce dolce come il miele d'acacia.

Sento che questo non pensare accompagnato dal cadenzare delle lacrime mi stancano e senza rendermene conto mi trovo addormentata, abbandonata a me stessa e alla mia solitudine.

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